Furti in casa nel territorio chiantigiano: sì, è un problema vero. Fenomeno complesso che non ha soluzioni facili

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Ce lo diranno i dati sugli ultimi due-tre mesi del 2024 e su questo inizio 2025, se e quando verranno diffusi (non ci sono mai, da questo punto di vista, “appuntamenti statistici” cadenzati, e forse dovrebbero esserci), ma la sensazione non inganna.

Il fenomeno dei furti, in particolare nelle case e negli appartamenti, nel territorio chiantigiano ha subito una forte accelerata. E’ innegabile.

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Anche chi, come il sottoscritto, racconta questo territorio ormai da quasi 25 anni, fa fatica a ricordare un periodo in cui sia stato così presente e pervasivo. Per settimane e settimane.

Ne diamo conto ogni giorno, con attenzione e cura: nel nostro lavoro di cronaca e racconto di quel che accade da un lato, ma anche di sensibilizzazione e prevenzione dall’altro.

Capiamo quindi la sensazione di rabbia, frustrazione e impotenza che traspare nei pensieri e nelle parole di tanti cittadini: la avvertiamo in quello che ci dicono, la leggiamo nei commenti sui social.

Chi scrive peraltro lo ha anche provato sulla propria pelle qualche settimana fa. Non è piacevole. Per nulla.

Detto questo, si tratta di un problema complesso: e ai problemi complessi mal si addicono le soluzioni facili.

Semplificare con l’appello ad armarsi in proprio, al “ci pensiamo noi”, non è risolutivo e, per quanto ci riguarda, non è un percorso che per noi del Gazzettino del Chianti è (né deve essere) percorribile. Lo dicono, del resto, tutti i dati sui Paesi che questo percorso lo hanno fatto, e che si trovano anche a dover fare i conti con tutti gli effetti collaterali di logiche del genere.

Partiamo da quel che dice il codice penale, nel suo articolo 624 bis (furto in abitazione e furto con strappo): Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500″.

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Questo dice, ad oggi, la Legge dello Stato. Troppo poco? Non sta a me deciderlo. Ma un dibattito pubblico, politico, serio, quello sì: si sono aggravate le pene per la guida in stato di ebbrezza, si può pensare di farlo per i furti in casa.

Essendo comunque abituato a non buttare mai la palla in campo avversario, ma a cercare invece sempre di giocarla, secondo quel che posso fare e le mie capacità, il mio pensiero va verso una semplice riflessione: stante la situazione attuale, cosa possiamo fare?

Affidarci alle forze dell’ordine, carabinieri in primis, presenti in ogni comune con le loro Stazioni: instaurando un rapporto sempre maggiore di vicinanza e collaborazione.

E sfatiamo un mito, i carabinieri non “chiudono” alle 17, come leggiamo a tambur battente in tanti commenti sui social.

In quell’orario più o meno tutte le Stazioni chiudono al pubblico (insomma, è l’orario “di ufficio”), ma i militari operano ben oltre, notte compresa. Con pattugliamenti, appostamenti (anche in borghese), controllo del territorio, indagini.

Sono pochi dal punto di vista numerico? Anche qui la politica faccia il suo lavoro. E, se lo sono, si aumentino le donne e gli uomini nelle nostre Stazioni.

Ma prima di tutto serve rendere ancora più saldo, più sincero, il patto di fiducia reciproco fra cittadini e forze dell’ordine. Del resto, la sfiducia porta a qualcosa di costruttivo?

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Più telecamere? Gli stessi carabinieri le chiedono alle amministrazioni comunali. Io non sono contrario: si stabilisca bene dove e come (in particolare, oltre all’installazione, chi e come controlla, per renderle funzionali) e si provveda. Servono più che altro come elemento per le indagini, ma possono comunque rappresentare anche un deterrente.

Controlli di quartiere, di zona? Io la chiamerei semplicemente collaborazione fra vicini: ne è stato un esempio quel che è accaduto domenica scorsa a San Casciano (ne abbiamo parlato qui). Diamoci una mano l’un con l’altro, senza girarci dall’altra parte.

I nostri paesi, le nostre strade, piazze, non sono più quelle che abbiamo vissuto per decenni.

Fino a metà anni Novanta molti nonni vivevano in casa con figli e nipoti, magari lavorava solo un componente del nucleo familiare, a scuola non c’era il tempo pieno e c’erano intere zone in cui le case erano state realizzate in contemporanea (fine anni Settanta, primi anni Ottanta), con una massiccia presenza di persone, in tutte le ore del giorno.

Oggi non è più così. Serve quindi ottimizzare al massimo le “risorse comunitarie”: chi c’è vigili anche per chi non c’è. In una attenzione diffusa che va implementata.

Ciascuno di noi lo può fare: se nota qualcosa o qualcuno di strano, se sente un allarme suonare. Prima di tutto si componga il 112 e lo si comunichi. Poi, se si conosce chi vive nella zona, una telefonata, un messaggio, possono fare la differenza.

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Capitolo protezioni personali: troppo spesso capita che il “lavoro” dei ladri venga agevolato. Da una porta chiusa senza mandate, da una persiana lasciata aperta, da un allarme presente ma non inserito. Ognuno di noi faccia il massimo che può in questo senso: è risolutivo? No. Dà un contributo? Sì.

Serve, insomma, agire di comunità, richiamando ognuno alle proprie responsabilità e ai propri ruoli: la politica, le istituzioni, le forze dell’ordine. E noi cittadini.

Senza far finta che il problema non ci sia, o che sia derubricabile a una semplice percezione.

Il problema c’è, è reale. E va affrontato in modo adulto e costruttivo. La tanto citata “qualità della vita” passa (anche) da qui.

©RIPRODUZIONE RISERVATA



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