«Spesso il male di vivere ho incontrato» è la più bella poesia di Eugenio Montale. Quando la scrisse nel 1925 non avrebbe mai immaginato che nel 2030, secondo le previsioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, la depressione, il male di vivere, sarebbe diventata la malattia più diffusa al mondo. La prima causa di disabilità e la principale voce di spesa sanitaria. Ne soffrono più di 300 milioni di persone. È il male del millennio. Se il poeta W.H. Auden definì il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale come «l’età dell’ansia», per gli studiosi Horwitz e Wakefield siamo nell’«età della tristezza». Dopo la pandemia i numeri sono diventati impressionanti: dieci milioni di italiani sono depressi, lo conferma Felice Damiano Torricelli, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Enpap, l’Ente nazionale di previdenza e assistenza degli psicologi: «Durante il Covid l’aumento è stato del 25 per cento. Un dato concreto è che tra il 2018 e il 2023 il fatturato complessivo della categoria è raddoppiato. E anche quest’anno il trend è in crescita. Un terzo degli italiani è in terapia e l’87 per cento dei colleghi utilizza l’online per offrire servizi psicologici sempre più accessibili».
Eppure, sempre secondo una ricerca dell’Enpap, più del 20 per cento degli intervistati vorrebbe andare dallo psicologo, ma non può per ragioni economiche. Una percentuale analoga, secondo uno studio dell’Irccs Ospedale San Raffaele, ha sperimentato nella vita almeno un episodio depressivo. Come disse Indro Montanelli: «La depressione è una malattia democratica: colpisce tutti». Andrea Pomella ne ha parlato nel romanzo L’uomo che trema (Einaudi), «un reportage di guerra dal teatro della mia mente». Racconta: «La storia della mia depressione inizia una mattina del 2017 mentre ero al lavoro. Di colpo mi sono trovato in un deserto bianco. Niente aveva senso. Non provavo nulla, nessun sentimento, neanche se pensavo a mio figlio. Era spaventoso, come morire. Ogni depressione è diversa dall’altra. Sono arrivato alla conclusione che ci sono sia cause organiche che traumi personali. In molti mi hanno detto che avevo avuto coraggio a parlarne. Come se un uomo dovesse vergognarsi di stare male».
Sono le donne da sempre a uscire allo scoperto. Ma nelle scorse settimane un altro scrittore, Paolo Cognetti, ha raccontato della sua grave depressione e del Tso subito. Il Trattamento sanitario obbligatorio. Gli psichiatri lo nominano a fatica, tendono a dire che si interviene in casi rari. Non sempre è così. Giovanni M., 22 anni, romano, racconta la sua esperienza di grande dolore: «Da sempre l’ansia mi controlla, mi blocca, mi manipola. Non puoi combatterla, contro cosa combatti? Avevo 18 anni, una sera l’ennesima lite con la mamma. Ero in preda alla rabbia, non ragionavo. Lei mi disse una cosa che per me era intollerabile, persi la testa, le diedi uno schiaffo. Chiamò la polizia. Mi ammanettarono. Poi arrivarono i medici, mi sedarono e mi portarono nel reparto psichiatrico dell’Ospedale Santo Spirito. Ero molto agitato, hanno dovuto legarmi. Quando mi sono risvegliato in quel reparto ho visto cose tremende. Era una giungla. Ricordo che mi misero vicino a un senzatetto con gravi problemi psichiatrici, mi sputavano addosso, uno mi tirò un cazzotto. Uscii dopo una settimana, per un mese non riuscii a parlare. Tutto questo ti resta dentro e ti logora».
Daniela Leveni, psicoterapeuta presso l’ambulatorio psicosociale di Zogno dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, osserva: «La fascia d’età dell’insorgenza dei disturbi mentali si è notevolmente abbassata, una volta era 35 anni, oggi la depressione si manifesta in adolescenza. Lavoro in una struttura che accoglie gli adulti, da noi arrivano diciottenni che sono già passati dalla neuropsichiatria infantile. Nelle fasce alte vediamo persone che purtroppo un po’ per anzianità o malattia hanno uno sviluppo maggiore della depressione». Secondo l’Istituto Superiore di Sanità la depressione colpisce quasi il 10 per cento tra gli ultra-65enni. Negli ultimi anni anche molti uomini hanno chiesto aiuto, dopo la pandemia tanti avevano perso il lavoro o il ruolo sociale. Continua la psicologa: «Siamo in una società sempre più intollerante verso la sofferenza e la frustrazione. Ansia, tristezza e rabbia sono le emozioni che ci dominano e necessitano di interventi».
Siamo come Cappuccetto Rosso, ci avventuriamo ogni giorno nel bosco della nostra mente, dove non incontriamo solo la depressione, ma anche i cosiddetti «disagi sotto soglia»: attacchi di panico, paura dei cambiamenti, sentimenti di colpa, ossessioni e una maledetta solitudine. Spesso per molti è una scelta imposta. Come se ci sentissimo a disagio nel mondo di oggi. In Inghilterra e in Giappone esiste un ministero per la Solitudine. Fa sorridere pensarlo da noi, ma forse non è utopia. Basta guardare centinaia di video sul web dove i giovani festeggiano quando evitano di uscire la sera per incontrare gli amici. Restare a casa in pigiama sembra essere la parte eccitante della giornata. Per i boomer, che sognavano la serata al Plastic, è difficile da capire. Siamo tormentati dal tempo. Gli americani hanno coniato la parola «fresent», crasi tra presente e futuro. Viviamo un eterno presente. I social ci tengono al guinzaglio in un rapporto sadomaso che neanche il Marchese de Sade avrebbe potuto immaginare. Onanisti dello schermo, ce la suoniamo e ce la cantiamo, sommersi da immagini e notifiche che arrivano in continuazione neanche fossero cartelle dell’Agenzia delle entrate. Continua Pomella: «L’orizzonte del futuro è stato abolito. Da vent’anni viviamo una scissione tra corpo e mente». Si può guarire? «Si migliora, si peggiora, ma la depressione non va mai via. Ma ora conosco le contromisure che devo prendere: corro. Correre fa benissimo, sviluppa endorfine e serotonina».
Secondo Felicia Giagnotti, presidente di Fondazione Progetto Itaca invece c’è una via d’uscita. «Io sono stata una paziente. Grazie all’aiuto di Itaca sono riuscita a fare della mia malattia non solo un elemento di crescita, ma di grande soddisfazione personale. Mi ha permesso di dare un contributo a migliaia di persone». Progetto Itaca è nato 25 anni fa da un piccolo gruppo di familiari di persone con malattie mentali o loro stessi pazienti. «In questi anni le cose sono cambiate, anche se a macchia di leopardo. Nel Paese ci sono realtà più avanzate, dove la malattia è affrontata non come una colpa, una responsabilità della famiglia. E punta ancora culturalmente indietro. Come primo obiettivo abbiamo la trasformazione sull’immagine della malattia mentale, che se individuata in tempo si può superare e tornare a stare bene. Tutto è legato al riconoscimento, al rivolgersi alle strutture e ai medici specializzati: la diagnosi precoce impedisce la cronicizzazione». Dal 1999 il Progetto ha avuto l’intuizione di aprire a Milano una Linea d’ascolto nazionale, cui solo nel 2024 si sono rivolte circa novemila persone. Nel 2012 è nata la Fondazione che oggi conta 17 sedi in 13 regioni. In questi anni d’attività sono state aiutate 160 mila persone. «Abbiamo avviato un Progetto di prevenzione nelle scuole. Lo scorso anno sono stati raggiunti 17 mila studenti. Un intervento rivelatosi così efficace che verrà esteso alle Università. Eppure a tutt’oggi il 44 per cento degli italiani non si rivolge agli specialisti in caso di bisogno», conclude la presidente.
Ma ci sono anche le conseguenze economiche, soprattutto in una società della performance come la nostra, spiega Gianluca Castelnuovo, docente di Psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano e psicoterapeuta presso l’Irccs Istituto Auxologico Italiano: «Presto la vera spesa sanitaria non riguarderà le tradizionali patologie organiche, piuttosto la componente depressiva. Non c’è salute, senza salute mentale. In Inghilterra un membro della London School of Economics e uno psicologo dell’Università di Cambridge hanno misurato i costi effettivi dell’intervento psicologico, dimostrando che se c’è un supporto nelle fasi iniziali questo porta a un risparmio notevole sul Servizio sanitario. In Italia siamo in ritardo di 15 anni, ma ci arriveremo. Ci vuole un grosso lavoro di prevenzione, non possiamo pensare di salvare una persona al Pronto soccorso».
Intanto anche Vivere Meglio, progetto di Enpap, ha aiutato oltre novemila pazienti, seguiti gratuitamente. Un’esperienza unica in Italia. Accedendo a una piattaforma nazionale veniva data la possibilità di fare uno screening anonimo (tuttora possibile) e poi si veniva indirizzati a uno specialista. «Un successo al di là delle aspettative, in particolare gli interventi più brevi di consulenza e sostegno hanno funzionato con due terzi delle persone» spiega il professor Paolo Michielin, psicoterapeuta e docente di Psicologia clinica all’Università di Padova, anima del progetto. In più di 150 mila hanno scaricato gli opuscoli gratuiti, utili e approfonditi di auto-aiuto (dal lutto all’ansia sociale). «La salute mentale resta però la Cenerentola del servizio sanitario. Si va avanti, ma si arranca. E molti malati ormai sono rassegnati». Il male di vivere ti blocca, ti prende per mano e non ti abbandona. Quando passerà il tempo di soffrire? Si chiede Pippo Delbono, regista teatrale e attore, che parla della sua malattia feroce durata tre anni: «La depressione è perdere la speranza, la fede. Non distingui più le cose belle. Tutto è difficile. La depressione è un fatto sia individuale sia collettivo. Quando sto male mi sento solo. “Caduta” è la parola chiave. Si precipita in un buco nero. Ed è come stare in altalena. Su e giù». Il male di vivere ti fa desiderare di farla finita. C’è chi resta settimane a letto al buio. C’è chi guarda ossessivamente la finestra, vorrebbe aprirla e saltare giù. Ma non ce la fa. Il «Morire vivi», come diceva lo psicanalista Donald Winnicott. C’è chi ogni notte sale su una montagna russa. In ore senza sonno o con un sonno malsano, impastato di pensieri. Sempre più veloci e ossessivi. Una sensazione atroce: la mente scivola via come una sottoveste. E resti nudo. Senza appigli, né parole. Scoperto, vulnerabile.
Aldo Agroppi è morto poche settimane fa. È stato un grande del nostro calcio, ma soprattutto il primo sportivo a parlare della sua depressione: «È una malattia oscura che ti logora dentro. Io la definisco il tumore dell’anima. Non ne guarisci». n
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