Uta, nuova tragedia in carcere: detenuto suicida in cella

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Il 2025 inizia con una tragedia nelle carceri della Sardegna. Un detenuto si è tolto la vita in una cella dell’istituto penitenziario di Uta, un gesto che amplifica ulteriormente il dramma vissuto da centinaia di persone dietro le sbarre. Il suicidio, purtroppo, non è un caso isolato, ma una triste realtà che affligge i penitenziari sardi, dove la situazione è sempre più insostenibile.

“Un detenuto di 49 anni si è tolto la vita impiccandosi. Nonostante l’immediato tentativo dei medici del 118, allertati dagli agenti, non c’è stato nulla da fare. A,R.O., originario di Uras, aveva più volte manifestato grave disagio con atti di autolesionismo per cui era costantemente monitorato. L’estremo atto, che ha suscitato vivo sgomento nell’Istituto, si è verificato nelle prime ore del mattino, intorno alle 5”. La conferma arriva da Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo diritti riforme Odv facendo osservare con amarezza che “il primo suicidio del 2025 nella Casa circondariale riporta l’attenzione sulle gravi condizioni di sovraffollamento”. “Non si può più tacere su quanto avviene nei nostri istituti penitenziari – sottolinea – dove persone fragili, nonostante l’impegno degli operatori, non possono stare dietro le sbarre. Occorrono serie iniziative per garantire il diritto alla salute in luoghi adeguati ai bisogni di chi è in difficoltà per problematiche psichiche. Senza un intervento concreto, temo che andremo incontro ad altri episodi drammatici”.

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“E’ un suicidio annunciato”, tuona Irene Testa, garante regionale dei detenuti, “inutile tenere in cella e non in comunità persone con disagii che manifestano e continuano ad avere problemi. Uta ha record di affollamento, il personale è allo stremo. Così non si può andare avanti”. 

Secondo i dati più recenti, diffusi dall’ufficio statistico del ministero della Giustizia, il 2025 si apre con numeri allarmanti. Il carcere di Uta, uno dei principali dell’isola, ha registrato un incremento del 30% nel sovraffollamento. Al 31 dicembre 2023, l’istituto ospitava 601 detenuti contro una capienza di 561 posti, mentre un anno dopo i numeri sono saliti a 768. Una crescita vertiginosa, che non ha trovato alcun riscontro in un aumento del personale penitenziario, tanto meno in quello sanitario e psicologico, da sempre carente in queste strutture. E la preoccupazione non riguarda solo il numero dei detenuti, ma anche le condizioni in cui vivono anche le guardie carcerarie.

La situazione si complica ulteriormente a Sassari-Bancali, dove i dati sono altrettanto preoccupanti: nell’ultimo periodo, i detenuti sono aumentati da 472 nel 2023 a 536, a fronte di 454 posti disponibili. La capacità degli istituti penitenziari sardi è dunque ben lontana dal rispondere alle esigenze della popolazione carceraria, creando un terreno fertile per fenomeni di tensione, frustrazione e, purtroppo, atti estremi come il suicidio.

Un altro aspetto critico che emerge dai dati è la gestione degli istituti. Due dei più grandi penitenziari dell’isola, Uta e Bancali, sono attualmente diretti da reggenti e non da direttori titolari, una condizione che aggiunge ulteriori difficoltà a un sistema già al limite delle sue possibilità. Il 56,9% dei detenuti sardi è concentrato in queste due strutture, con un numero complessivo di ristretti che ha superato le 2.200 unità, di cui 49 donne. Tra questi, solo circa mille sono di origine sarda, il che rende evidente come il sovraffollamento non sia solo un problema numerico, ma anche sociale.

Il tema del sovraffollamento carcerario è sempre stato un nodo cruciale per la giustizia italiana. Ma in Sardegna, dove la geografia e le difficoltà logistiche complicano ulteriormente la gestione, l’emergenza è diventata ormai una questione quotidiana. La scarsità di risorse umane e materiali rende difficile garantire condizioni di vita dignitose per i detenuti e per gli operatori penitenziari. Le strutture carcerarie non sono più in grado di offrire nemmeno i servizi minimi necessari a garantire la sicurezza e il benessere di chi vive all’interno di quelle mura.

In un simile contesto, il suicidio di un detenuto diventa purtroppo un tragico epilogo di una situazione che da tempo si aggrava senza trovare risposte concrete. La mancanza di investimenti in programmi di reinserimento sociale, il sovraffollamento, e la carenza di personale qualificato sono solo alcune delle problematiche che contribuiscono a rendere le carceri della Sardegna un luogo di sofferenza e disperazione. Quella di Uta è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che colpisce tutta la regione, ma che non può essere ignorato. La tragedia che segna l’inizio del 2025 è un campanello d’allarme. 



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