I 50 anni della Nasa del restauro. Dalla Madonna del Cardellino all’Adorazione dei Magi: le opere tornate a splendere grazie all’Opificio di Firenze

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Un’eccellenza che tutto il mondo ci invidia. Con la legge che mezzo secolo fa istituì il ministero per i Beni culturali e ambientali, nacque anche la versione moderna dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, uno degli istituti più importanti e rinomati nel campo del restauro non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.

La sua storia origina nel 1588, all’indomani dell’insediamento di Ferdinando I de’ Medici a granduca di Toscana, dopo l’improvvisa – e ancora non completamente chiarita – morte del fratello Francesco. L’Opificio nacque come manifattura di corte specializzata nella lavorazione delle pietre dure, per la creazione di oggetti artistici destinati ad arredare le dimore granducali o a essere offerti in dono. La sua prima sede fu collocata nella “Galleria dei lavori”, nel braccio di levante degli Uffizi. La sua esistenza proseguì con successo fino alla fine del XIX secolo, anzi nel 1738 proprio dall’Opificio si staccò un gruppo di intagliatori per andare a Napoli dove, per volere di Carlo III, avrebbe visto la luce il Real Laboratorio delle Pietre Dure di Napoli, poi Manifattura di Capodimonte.

Con la nascita del Regno d’Italia, da manifattura l’Opificio divenne ben presto un centro specializzato nel restauro operando non solo a Firenze, ma anche in tutta Italia e all’estero. Con la fine della seconda guerra mondiale l’Opificio si occupò del recupero di importanti opere danneggiate agendo principalmente nell’ambito del restauro lapideo, dei mosaici, delle terrecotte.

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Parallelamente, nel 1932 lo storico dell’arte Ugo Procacci fondò il Gabinetto Restauri della Soprintendenza delle Belle Arti di Firenze, ovvero il primo laboratorio di restauro moderno d’Italia, tra i cui grandi pregi ebbe l’applicazione delle indagini scientifiche come atto preliminare al restauro, a cominciare dalla radiografia.

L’Opificio e il Gabinetto restauri marciarono separati fino al 1966, anno dell’alluvione di Firenze, quando il secondo dovette trasferirsi alla Fortezza da Basso, considerato il grande numero di opere da restaurare. A quel punto emerse l’esigenza di creare un moderno centro di restauro che facesse tesoro delle competenze di entrambi gli istituti che, infatti, furono riuniti nel 1975 grazie all’azione di un altro storico dell’arte, Umberto Baldini, il quale divenne direttore dell’Opificio delle pietre dure fino al 1983; a lui sarebbero succeduti, tra gli altri, personaggi di spicco come Antonio Paolucci, Giorgio Bonsanti, Cristina Acidini (per due volte), Marco Ciatti ed Emanuela Daffra che lo guida dal 2022. Il resto – si fa per dire – è storia recente.

Oggi l’istituto è diviso in tre sedi. La prima è quella storica di via degli Alfani, nel centro di Firenze, a due passi dal duomo: qui, oltre al piccolo, ma seducente museo, vi sono i laboratori dei settori bronzi e armi antiche, materiali ceramici, plastici e vitrei, materiali lapidei, mosaico e commesso fiorentino, oreficerie. Poi il grande laboratorio di restauro della Fortezza da Basso, dove riprendono vita materiali cartacei e membranacei, dipinti su tela e tavola, pitture murali, sculture lignee policrome, materiali tessili, ma vi sono anche numerosi laboratori scientifici e di diagnostica) diretto da Sandra Rossi. E infine e il laboratorio di Palazzo Vecchio, alla base della Torre d’Arnolfo, dove riprendono vita arazzi e tappeti.

Da quei laboratori vi sono passati innumerevoli capolavori. Farne la lista sarebbe impossibile, ma per esempio negli ultimi 20 anni si sono rifatti il look capi d’opera come i due Crocifissi di Giotto della Basilica di Santa Maria Novella e della Chiesa di Ognissanti, il Crocifisso di Donatello della Basilica di Santa Croce, varie opere di Raffaello a cominciare dalla Madonna del cardellino della Galleria degli Uffizi, l’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci, L’ultima cena di Giorgio Vasari, tra le vittime illustri dell’alluvione e che chi scrive contribuì a “far conoscere” all’allora direttore del Laboratorio restauri della Fortezza, Marco Ciatti; e ancora il Tabernacolo dei Linaioli e la Pala di San Marco di Beato Angelico, le formelle della cosiddetta Porta del Paradiso di Ghiberti, il David di Donatello, l’Altare argenteo di San Giovanni Battista dell’Opera del Duomo e tanti, tanti altri capolavori.

Talvolta poteva succedere che vi fossero dei problemi di difficile soluzione, come il pericolo che le lunghe assi delle grandi pale d’altare risultassero molto sensibili all’umidità dell’aria e i cui movimenti di allargamento e contrazione finissero col causare danni al manto pittorico. In effetti capitò agli inizi degli anni Duemila a La discesa di Cristo al Limbo, una grande pala alluvionata di Bronzino, dietro la quale il restauratore-falegname Ciro Castelli si inventò l’inserimento di una serie di mini-molle in carbonio nella parte posteriore del dipinto, sì da mantenere costante la tensione delle tavole nonostante gli sbalzi di umidità nell’aria. Ecco perché l’Opificio è stato definito più volte – a ragione – “la Nasa del restauro“.

Senza contare le missioni all’estero, come quando nel 1998 l’Opificio si era occupato della pulitura e restauro dell’altare monumentale che ospita le reliquie del missionario spagnolo San Francesco Saverio nella città indiana di Goa, che proprio i maestri dell’Opificio avevano realizzato alla fine del XVII secolo su commissione del granduca Cosimo III.

Attualmente i tecnici dell’Opificio sono impegnati su più fronti, come il cantiere aperto della Cappella Bardi di Santa Croce, con le pitture di Giotto, il cantiere lucchese nel Duomo di San Martino dove è custodito il miracoloso Volto Santo, la pergamena singola di una miniatura di Beato Angelico proveniente dall’Abbazia di Vallombrosa, alcuni costumi di scena dei film di Federico Fellini provenienti da Rimini.

Di recente conclusione sono i restauri dell’Albero d’oro di Lucignano (in provincia di Arezzo), suggestivo reliquiario alto quasi tre metri, realizzato in rame dorato, argento e smalti, con rami decorati da corallo, cristalli e miniature su pergamena, e il Fonte battesimale di Jacopo della Quercia, del Duomo di Siena.

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Non è noto un programma di appuntamenti celebrativi del 50esimo anniversario della fondazione della versione moderna del famoso istituto statale di restauro. Nell’attesa… cento di questi giorni.

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Nella foto in alto | Il laboratorio di restauro della Fortezza, immagine di proprietà dell’Opificio delle Pietre Dure, distribuita alla stampa (Crediti: Cecilia Frosinini/wikipedia)



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