Il rischio è fondatissimo. «Dall’entusiasmo così si passa al fastidio. Di più alla rottura di scatole. La gente ferma anche me per strada e mi chiede: “Professore, allora, che state facendo in piazza Sant’Oronzo? Sono mesi che è tutto coperto dalle recinzioni, quasi non si può camminare e sull’anfiteatro non ci si può affacciare da nessuna parte”. E io stesso, che ho speso tutta una vita per l’archeologia, non so cosa sta succedendo». L’archeologo Francesco d’Andria, professore emerito di UniSalento e accademico dei Lincei, “padre” di Rudiae e scopritore della dea Atena a Castro (di cui cerca caparbiamente ancora la testa mancante) è tra i tanti che si è entusiasmato davanti al progetto di “Lecce romana” sollecitato a caratteri cubitali proprio da Nuovo Quotidiano di Puglia e lanciato mesi fa dal sindaco Adriana Poli Bortone che, davanti all’anfiteatro romano che emergeva dagli scavi in via Alvino, aveva detto: «Si tratta di scoperte archeologiche straordinarie che vanno valorizzate. Lecce non è solo barocco». E il primo cittadino era stato così bravo da portare in poco tempo a casa 18 milioni dai fondi di coesione. Un’occasione eccezionale per valorizzare il monumento romano in piazza Sant’Oronzo. L’hanno capito tutti in città, persino i commercianti dalla lamentela facile, pronti ad accollarsi mesi, forse anni, di disagi, di cantieri e ruspe in vista di un traguardo così importante: una piazza Sant’Oronzo che finalmente fa diventare protagonista l’anfiteatro, che diventa un tutt’uno con esso, che lo mette in rilievo in una ritrovata armonia urbanistica. In che modo? Le ipotesi si sono sprecate: con delle lastre di vetro che lasciassero in vista gli scavi. Con un ponte che regalasse una passeggiata sulle rovine e sulla storia.
Ma l’entusiasmo e la storia si sono poi fermati qua. Sull’anfiteatro romano si sono spenti i fari. L’iter – si dirà ed è vero – è complesso per arrivare ad un progetto. Dal Comune trapela pochissimo («Attendiamo indicazioni dalla Soprintendenza») e dalla Soprintendenza non trapela nulla. Silenzio. Così la città aspetta di sapere mentre l’unico dato oggettivo è che ad oggi l’anfiteatro è “scomparso”, circondato da due cantieri differenti, off-limits a leccesi e visitatori.
«Ci sarebbe da dire che il mistero si addensa su piazza Sant’Oronzo – dice D’Andria -. Sono mesi che si lavora senza che si sappia nulla. Anche io, che ho dedicato una vita all’archeologia, sono costretto a spiare dalla serratura della porta per cercare di capire cosa sta succedendo dietro quelle recinzioni». Esattamente quello che fa la città che in questi giorni, ad esempio, si chiede cosa siano quelle strutture che sono emerse in via Verdi, l’altra via, prolungamento di via Fazzi, che costeggia il monumento romano e dove sono in atto gli scavi per la sostituzione del basolato. I saggi effettuati lo scorso novembre non avevano trovato nulla di archeologicamente rilevante. Ma qualcosa è uscito fuori. La richiesta di consulenza al professore è d’obbligo. «Da quello che posso vedere io – continua il direttore del museo di Castro (sì, è anche questo, per chi non lo sapesse) – mi sembrano strutture più recenti rispetto all’anfiteatro, forse risalenti al quartiere medievale». Di più il professore D’Andria non si sbilancia. Di certo anche sotto via Verdi il monumento romano continua ad estendersi. Per ora si possono fare solo ipotesi.
Lecce romana
«Proprio per questo – spiega l’accademico dei Lincei – è arrivato il momento che studiosi, Università e tutta la città sappiano qualcosa. La gente inizia a stufarsi. È giunto il momento che si esca fuori da tutto questo mistero e che si racconti, con una comunicazione adeguata, quello che sta accadendo: solo così si può avere dalla propria parte la forza e il consenso della comunità. Naturalmente ne ho parlato anche con il sindaco che però mi ha detto che attende indicazioni dalla Soprintendenza. Così un ente aspetta l’altro, non si capisce chi deve fare cosa e non si va avanti. Non si capisce quando arriveranno questi soldi. Non si capisce che tipo di intervento si voglia fare. Il rischio è di ritrovarsi tutti contro, anche se il progetto di “Lecce romana” è così bello e, restando in tema, spero che a Rudiae presto possa essere “scoperto” il teatro: sarebbe il quarto edificio romano in città, una cosa straordinaria. L’archeologia – tiene a ricordare D’Andria – non è cosa privata, l’archeologia è pubblica, se non viene condivisa viene percepita non come una risorsa ma come una rottura di scatole. La Convenzione di Faro esalta la dimensione sociale dell’archeologia. Per questo sono convinto che sia giunto il momento di un’iniziativa di condivisione da parte di qualcuno. Serve una strategia un po’ più ampia sul futuro, delle linee generali almeno. Insomma iniziamo a parlarci. Io qualche idea ce l’ho e come sempre sono pronto a dare il mio contributo. Ma cominciamo a muoverci, altrimenti ripavimentiamo tutto e diciamo che abbiamo scherzato».
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