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Se il finanziamento del superbonus rappresenta ancora la spesa più alta, e non è tra quelle “buone”, la vera sfida del “nuovo Piano Marshall” è creare le premesse per uno sviluppo sostenibile

I vertici europei hanno spesso evocato il Piano Marshall ( lanciato nel 1947 a favore di 16 paesi) nel presentare il Next Generation e le sue ambizioni globali. “L’Europa ha bisogno di un nuovo Piano Marshall” dichiarava il 14 aprile 2021 la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, indicando per il Next Generation UE un modello di riferimento dalla persistente carica simbolica.

Pur nelle loro innegabili differenze, non da ultima il contesto storico di riferimento (da un lato un continente materialmente distrutto dalla guerra, dall’altro economie paralizzate dalle misure restrittive per contrastare la pandemia) ora come allora si sono posti e si pongono problemi analoghi, per citarne qualcuno, come il rapporto tra spese e riforme, il rapporto tra aiuti e prestiti, la connivenza tra istanze di natura politica e il funzionamento della macchina amministrativa, la non sempre facile messa a sistema di iniziative rivolte al settore pubblico con quelle destinate agli operatori economici privati e, infine, la governance degli investimenti sul territorio.

Non volendo rubare il lavoro agli storici che ci diranno se avremo o meno imparato dagli errori del Piano Marshall, evitando di reiterarli nell’attuazione del nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il famigerato PNRR) e agli economisti che ci diranno quanto e come il grande pacchetto finanziario di 194 miliardi di euro e rotti avrà contribuito a incrementare il nostro PIL, a oramai poco più di due anni dal termine -previsto a dicembre 2026 – credo sia possibile provare ad azzardare una prima previsione in merito all’impatto del piano nel nostro Paese.

Non solo numeri

Chi si aspetta a questo punto un elenco delle risorse spese e di quelle che ragionevolmente saranno spese rimarrà deluso. Credo vivamente che lo spendere o meno tutte le risorse che ci sono state affidate non sia il fulcro della questione, per almeno due motivi: il primo è che la grande maggioranza delle risorse sono a prestito; quindi, se non saranno spese le potremo restituire senza aspettare la scadenza trentennale del rimborso. Il secondo motivo è che la spesa è spesso “drogata” dagli automatismi, infatti, nelle prime rilevazioni di spesa del PNRR emerge con tutta chiarezza che ad andare per la maggiore è stata la quota di sostegno del superbonus, che ho alcune reticenze a definire “buona spesa”.

Obiettivi

Per fare una valutazione, dunque, il punto è un altro e ruota attorno alla risposta alla seguente domanda: stiamo imparando da questa esperienza un nuovo approccio per impegnare le risorse pubbliche? Opere inutili, sprechi, ritardi decennali pesano sulla passata gestione di risorse pubbliche nel nostro paese come un macigno e dunque qualsiasi nuovo modello sarebbe benvenuto.

Sul fatto che il PNRR abbia imposto una vera e propria rivoluzione culturale per riforme e investimenti pubblici è altrettanto evidente. I 614 obiettivi prefissati dal Piano recentemente rimodulato, tra “milestones” e “target” scandiscono come un metronomo la musica del piano, la cui esecuzione non è legata all’impiego delle risorse ma all’incedere sullo spartito. Le note rappresentano ora la pubblicazione di un bando di gara per selezionare gli operatori economici che dovranno realizzare gli studentati, ora la posatura di un certo numero di colonnine elettriche per la ricarica, ora la piantagione di un certo numero di alberi nei centri urbani, ma anche l’adozione di una legge di riforma ( della giustizia civile, quella penale, della pubblica amministrazione ecc. ecc.) e, cosa ancora più importante in quest’ultimo ambito, i vari e spesso insabbiati decreti attuativi che tali riforme mettono in pratica.

Ogni sei mesi, in concomitanza dello scadere di una rata di erogazione dei contributi e dei prestiti (a dicembre potremo procedere alla richiesta della VII rata) la Commissione europea ma anche l’opinione pubblica, verifica se lo spartito è stato eseguito correttamente. In caso positivo la commissione liquida la rata, oppure, al contrario, come accaduto l’anno scorso, posticipa il pagamento sino a che tutte le note (gli obiettivi) siano state eseguite nella giusta sequenza.

Per fare questo l’amministrazione pubblica coinvolta ai vari livelli, non può più arroccarsi dietro ai tradizionali alibi come “ho impegnato legittimamente le risorse”, “ ho accusato ritardi per colpa di un iter autorizzativo che non governo” “non disponevo delle risorse” ecc. e deve trovare essa stessa la soluzione puntando al raggiungimento del target o dei traguardi indicati nello spartito.

Questo salto culturale impone una dirigenza pubblica che non ha avuto ancora il tempo di acquisire le nuove competenze manageriali richieste, come la capacità di pianificare cronoprogrammi verificabili e gestire con efficienza tutte le risorse umane coinvolte. Impone anche uffici pubblici perfettamente digitalizzati e la disponibilità di dati spesso di non facile reperimento e tutto questo mi fa dubitare sulla piena riuscita del piano nel 2026.

Il dato positivo, tuttavia, è che questo immane e diffuso sforzo di pianificazione strategica ha rimosso le resistenze e l’attaccamento al “vecchio sistema” e spingerà soprattutto i funzionari pubblici più giovani ad orientarsi verso il nuovo modello di gestione e controllo della spesa pubblica non più legato al solo “quanto”, ma anche al “come” e soprattutto al “quando”

Non importa se alla fine qualche opera dovrà essere riprogrammata o ridimensionata, quello che conta e questo sarà il vero e primo successo del nostro PNRR, sarà la diffusa la convinzione di non potere tornare indietro, di essere entrati in una nuova dimensione dove il fattore tempo ha una rilevanza fondamentale non solo per la competitività del nostro paese ma anche per la sua capacità di resistere alle crisi future che sicuramente ci metteranno nuovamente alla prova. Se ci riusciremo il PNRR passerà alla storia come l’avvento anche nel nostro paese dello sviluppo, economicamente e socialmente sostenibile.

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