“Questo articolo è tratto dal capitolo “Lavoro pubblico” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)”
Comprendere il rapporto tra i giovani e mondo del lavoro rappresenta un passo cruciale per ogni tipo di organizzazione. A differenza delle generazioni precedenti, i giovani sotto ai 35 anni – la cosiddetta Generazione Z e i Late Millennials – considerano il lavoro solamente all’ottavo posto nella propria scala valoriale[1]. Oltre ad avere un’importanza minore, per i giovani l’impiego deve essere allineato ai propri ideali, interessi, passioni e contribuire al benessere personale, alla società e all’ambiente circostante. La ricerca del lavoro diventa una ricerca di significato più che di guadagno[2], alzando di molto le aspettative in merito alla possibilità di trovare un ambiente soddisfacente che coniughi opportunità di carriera, garanzie e sia in linea con le capacità, curiosità e aspirazioni individuali[3].
Dall’altra parte, il mercato del lavoro, con le sue difficoltà strutturali, non riesce ad allinearsi a queste prospettive e a restituire le garanzie di cui i giovani hanno bisogno per realizzarsi nei propri desideri e aspettative[4], causando una crescente insoddisfazione e disillusione. Da una indagine recente[5] emerge che la metà dei giovani è spaventata in primis dallo sfruttamento e dalla mancanza di tutele sul luogo di lavoro, elementi che hanno un peso forte nel processo decisionale.
Unendo questi due fattori – la rivalutazione del valore e del significato del lavoro nella propria vita e la crescente sfiducia verso il mercato del lavoro – si comprende perché i giovani oggi rifiutino una visione dell’impiego come di qualcosa di cui “essere grati”, facendo valere il proprio potere negoziale per raggiungere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e una maggiore autonomia nella gestione del proprio tempo e delle proprie responsabilità. Questo mutamento di prospettiva generazionale, unito ad altri fattori economici, tecnologici e demografici – non ultimi la crisi pandemica e l’invecchiamento della popolazione – pone nuove sfide che, se non affrontate seriamente, finiscono per alimentare il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro.
Occasione perfetta o vicolo cieco: la palla al pubblico
Questa ondata di cambiamento ha rimescolato le carte: sebbene il settore privato rimanga il più ambito – soprattutto per chi proviene da contesti socioeconomici agiati – il divario con il pubblico non è affatto enorme[6]. Infatti, è diventata chiara la difficoltà delle imprese nell’adattarsi alle aspettative dei giovani lavoratori, un po’ per la dimostrata inerzia nella proposta di modelli lavorativi radicalmente diversi, ma anche per una minore corrispondenza con le aspirazioni sociali e la voglia di contribuire ad un futuro migliore tramite il proprio lavoro. A queste priorità rispondono molto più naturalmente il settore pubblico e il terzo settore, che stanno emergendo come contesti di riferimento per la ricerca di impiego[7]. Se il secondo è quello a cui è riconosciuta una maggiore gratificazione sul piano valoriale, è il primo che, sulla carta, combina al meglio due elementi di primaria importanza per i giovani: la ricerca di welfare e tutele sul luogo di lavoro e la possibilità di contribuire alla creazione di Valore Pubblico e impatto positivo sulla società.
Sebbene il settore pubblico potrebbe avere le carte in regola per risultare fortemente attrattivo per questo segmento, nella realtà l’età media di entrata nella Pubblica Amministrazione (PA) è ancora 34,3 anni, la percentuale di impiegati pubblici sotto i 35 anni è del 12%, e solo il 5,9% ha meno di 30 anni[8]. Se in passato la concorrenza con il settore privato e i tagli alla spesa pubblica hanno giocato un ruolo importante, oggi è principalmente la visione della PA stessa – derivata da stereotipi diffusi e da una reale rigidità innovativa – l’ostacolo che la rende una prospettiva difficilmente immaginabile per un giovane sulla soglia del mondo del lavoro. La possibilità di diventare un employer ambito, capace di attrarre talenti, è dunque nelle mani del settore pubblico stesso.
Rimboccarsi le maniche e costruire la strada per il rinnovamento
Per cogliere questa opportunità, la PA dovrebbe rivedere le logiche consolidate e sperimentare in maniera ambiziosa e responsabile, anche stimolando un confronto a livello internazionale.
Anzitutto, i giovani cercano stimoli continui e possibilità di crescita personale e professionale e vogliono vedere riconosciuti i loro sforzi e il loro impegno. Le possibilità di avanzamento nel pubblico impiego non possono essere limitate o poco chiare, ma devono essere delineati percorsi trasparenti, con maggiori possibilità di progresso in grado di valorizzare il singolo rispetto ai suoi studi, esperienze, competenze e propensioni. Per arricchire ulteriormente l’esperienza lavorativa si dovrebbe aumentare la possibilità di mettersi in gioco e progettare esperienze trasformative che soddisfino il bisogno di originalità e unicità dei giovani.
Inoltre, in un mondo sempre più digitalizzato, è fondamentale che la PA si muova con consapevolezza, adottando strumenti tecnologici che permettano di lavorare in modo agile e in linea con il resto delle organizzazioni. La digitalizzazione non è solo una questione di efficienza, ma anche di attrattività per chi è cresciuto immerso nella tecnologia, e la sua assenza può rivelarsi una barriera importante nella scelta.
Un altro fattore su cui lavorare è la diversità di background e competenze negli uffici pubblici, aspetto cruciale per una generazione che desidera lavorare in contesti multidisciplinari, dove può confrontarsi con esperienze e prospettive diverse, arricchendo il proprio bagaglio culturale e professionale. Puntare su una forza lavoro che rispecchia la varietà esistente nei percorsi di studi e nelle esperienze diventa una leva potente per attrarre i giovani.
Poi, se le generazioni precedenti accettavano di buon grado orari fissi e routine prevedibili, la flessibilità è una componente che i giovani considerano essenziale, così come una cultura organizzativa che la promuova. La PA potrebbe essere, in questa direzione, un luogo di sperimentazione di forme di lavoro e politiche innovative, come la settimana lavorativa corta, dimostrando di essere in prima linea nell’affrontare le trasformazioni nell’organizzazione del lavoro. Non meno importante sarebbe investire sulla responsabilizzazione: sentirsi parte attiva di progetti e decisioni è cruciale per alimentare la motiva- zione dei dipendenti più giovani. Servirebbe superare la rigidità e la frammentazione dei processi in ottica di una più autonoma gestione individuale o di team per aumentare la percezione dell’impatto generato e il senso di realizzazione.
Per rendere la PA più attraente si potrebbe poi puntare su una maggiore collaborazione con le università e gli istituti di formazione, promuovendo apprendistati, dottorati o altri tipi di iniziative, partecipando attivamente ai career fair, organizzando spazi di collabo- razione e formazione, cioè moltiplicando le occasioni di contatto e scambio tra giovani e pubblico. Toccare con mano, anche solo per una breve periodo, il pubblico impiego aiuterebbe a scardinare alcuni dei preconcetti ancora presenti e a ridurre l’asimmetria di informazioni insita nel sistema di reclutamento, che prevede una scarsa conoscenza iniziale del contenuto e del contesto lavorativo in cui si sarà inseriti.
Ultimo, ma non per importanza, è il tema del reclutamento che, nonostante gli sforzi recenti verso la semplificazione e l’ammodernamento, è ancora lontano dall’essere comparabile con i meccanismi del privato a livello di tempistiche, complessità procedurali e valorizzazione delle specificità personali.
Il futuro del lavoro pubblico: dinamico, tutelato e appagante
Per disegnare una traiettoria nuova, è necessario superare le differenze di valori, metodi e visioni tra le generazioni che governano il pubblico e i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, dimostrando una ritrovata capacità di stare al passo di un mondo in trasformazione. Nel farlo, la PA si deve differenziare in ottica positiva dal settore privato anziché imitarlo, facendo leva sui propri elementi caratteristici e originali e mettendosi in dialogo con i giovani per diventare un luogo che coniuga welfare e tutele con una autentica missione sociale, dove avere voce in capitolo e giocare un ruolo attivo nel fronteggiare le grandi trasformazioni globali.
In questa prospettiva, si instaurerebbe un circolo virtuoso: un servizio pubblico che funziona bene attirerà giovani brillanti e qualificati, con competenze e una comune voglia di mettersi in gioco e contribuire alla creazione di valore pubblico. Questo arricchirà ulteriormente la PA, perché, una volta entrati, i giovani avrebbero un ruolo chiave nella trasformazione dei processi e delle dinamiche interne, contribuendo a rendere il settore pubblico ancora più efficiente e all’avanguardia.
Questo tema, da tempo al centro del dibattito, deve divenire una priorità di cambiamento in ottica positiva e orientata al futuro, per evitare di ripetere dinamiche di mancato ricambio generazionale che comprometterebbero seriamente la capacità del Paese di rispondere alla complessità e alle sfide urgenti di oggi e di domani. Con questa ambizione, il pubblico impiego può ritornare ad essere una aspirazione per le nuove generazioni, che – ormai superato il paradigma del posto fisso – punterebbero ad una carriera nel servizio pubblico come prima scelta perché dinamico, tutelato e appagante.
[1] Ipsos. Rapporto giovani e lavoro – Risultati dell’indagine, 2024.
[2] “Cosa cercano i giovani nel mondo del lavoro?”, Randstad, consultato il 13 settembre 2024.
[3] Ipsos. ITALIA 2024, un paese divergente, Ispos edizioni, 2024.
[4] CNG-AIG-Eures. Giovani 2024: il bilancio di una generazione, 2024.
[5] Ipsos. Rapporto Giovani e lavoro – Risultati dell’indagine, 2024.
[6] CNG-AIG-Eures. Giovani 2024: il bilancio di una generazione, 2024.
[7] CNG-AIG-Eures. Giovani 2024: il bilancio di una generazione, 2024.
[8] Elaborazione su dati OpenBDAP a cura dell’autrice (sono esclusi il settore sanità e istruzione).
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