È la dura legge del marketing

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Quando chiudi con un’esperienza e devi aprire un’altra realtà, tirare giù la claire in un posto e tirarla su in un altro non basta. Se hai una tua nicchia di visibilità, e qualche aggancio con la stampa, non è difficile costruire un lancio che faccia rumore. È così che la dipartita da Milano di Felix Lo Basso, chef pugliese trapiantato a Milano con cinque ristoranti aperti negli ultimi vent’anni e cinque stelle Michelin conquistate, che ha annunciato il suo espatrio in Svizzera sparando a zero sulla città che l’ha accolto, ha fatto quel che doveva: creare rumore di fondo, scalpore, indignazione, solidarietà. Ha avuto l’effetto sperato: far parlare della nuova apertura che – senza questo annuncio – probabilmente non avrebbe avuto due righe in cronaca.

Ma una banale questione di marketing e comunicazione acchiappa-click, che cosa si porta dietro?

Intanto, crea un parallelo tra fine dining e sicurezza percepita. Dire che a Milano i ristoranti funzionano meno perché la città è insicura non fa benissimo. E se invece un certo tipo di ristoranti funzionano meno per via dei loro prezzi sconsiderati? E anche: qualcuno che metta in dubbio la qualità e il format della propria proposta?

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Abbiamo fatto, con la complicità di un collega, una ricerca trasversale per vedere come sono le disponibilità delle prenotazioni, nei ristoranti fine dining a Milano e in altre regioni o in paesini più tranquilli.
Alba è una città sicura o non sicura? Questo mese puoi andare da Crippa quando vuoi, a novembre e dicembre era impossibile anche solo pensarci.
A Gardone Riviera com’è la delinquenza? Da Lido 84, icona della ristorazione gourmet, ci sono tre mesi di lista d’attesa, sempre e da sempre.
In piazza Duomo a Milano alla sera non passeggi tranquillo. Eppure il due stelle Verso, cucina creativa e prezzi decisamente alti, è pieno.

Il problema, allora, non sono i soldi o la delinquenza, sono i contenuti: che sono oggettivamente di grande livello, quelli citati sono tutti mostri sacri. Altri locali, forse, interessano meno a una certa fetta di pubblico oggi, che cerca tra le innumerevoli proposte quelle più congeniali, più attuali, più buone, più “giuste” per i tempi. Sicurezza o no, costi alti o no.

Le opinioni che hanno seguito la dichiarazione sono state tante, ma pochi sono riusciti ad analizzare con lucidità il tema. Una lettura intelligente e oggettiva è venuta da Roberta Antonioli, storica PR di tanti nomi prestigiosi nel mondo dell’enogastronomia, in grado di dare una visione professionale, alta e circostanziata sul tema, dal punto di vista della comunicazione: «Intanto uno chiude e sente questo bisogno incontenibile di farlo sapere a tutti rilasciando interviste. A me non sembra normalissimo. Il punto è che l’intervista, nella maggior parte dei casi, serve per togliersi il peso di dosso, tirando la colpa su fattori davvero ridicoli. Ne abbiamo sentite di ogni, una più ridicola dell’altra, ma almeno si parla di voi, questo sì. Dico che c’è anche l’opzione del silenzio, del capire perché non ha funzionato, considerando che il perché sta sempre dentro al nome di chi conduce la baracca. Sbagliare è normale, umano e doveroso. Senza sbagli la vita sarebbe una grande noia, questa è la verità. Sapere andare dentro lo sbaglio, capirlo e andare oltre, sta lì la sfida, che è la sfida più bella che possa capitare, è un paradosso ma è così. Se non funzioni in piazza del Duomo mentre gli altri lavorano a manetta, se ti sposti in zona molto benestante e non funzioni neanche lì, poniti delle domande, magari. Sbagliare, fallire, cadere, perdere, non è una vergogna, è semplicemente la vita, anche a Milano, anche se ti danno la stella, che non c’è scritto da nessuna parte che ti conferisca la sicurezza a piacere innanzitutto e a non chiudere». E questo è un altro bel tema, che si intreccia fortemente all’altra polemica di qualche mese fa, su chi decide scientemente di non volerla più, la stella, per potersi permettere di giocare in un altro campionato, di avere un altro tipo di clientela, di cambiare passo e format per costruire un ristorante di successo, senza per forza avere pretese di alta ristorazione gastronomica. Un punto non banale, che ci riporta all’essenza del ristorante: che non è in alcun modo la stella, ma la sua capacità di essere attrattivo e di funzionare perché piace alle persone.

Giacomo Gironi, maître al parigino Hémicycle, ha scritto sul tema un altro pensiero decisamente condivisibile: «Milano è una città che ti dà tanto e ti toglie troppo. Se te ne vai, parenti compresi, si scordano di te. Salvo se non fai capolino tu, o peggio se non sei economicamente interessante. Capisco Felix e anche la decrescita del mercato della Michelin. Quindi le strade sono due: o sei disruptive (anche se la tua attività preleva chiaramente denaro dalle cosche) o punti alle tre stelle, a oggi vero Olimpo gastronomico. Tutto quello che c’è nel mezzo, se non è interessante per la capitale del fashion, viene presto cestinato. Se riesci a smarcarti da queste logiche fai bene ad andartene. Poi però c’è l’altra faccia della medaglia. E quando invece sei attraente? Disruptive? Rock & roll? Cioè: quando sei nella zona di interesse, cosa diventa Milano? Il parco giochi delle opportunità. Poi sta a te capire come usarlo e non esserne usato».

Servono capacità, intraprendenza, dedizione assoluta, ma anche abilità nel cogliere i desideri di una città capricciosa e modaiola, che è però in grado di cogliere la bontà e renderla un successo, se la si sa costruire e mantenere.





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