da UniCredit a MPS, le strategie e il ruolo di Berlino

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L’integrazione tra gli istituti di credito italiani mette il turbo. Una serie di offerte sul piatto – tra cui spiccano le operazioni titaniche di UniCredit su Banco BPM e MontePaschi su Mediobanca – promettono un 2025 nuovamente ricco per l’M&A bancario. A spingere in questa direzione sono fattori finanziari, competitivi e tecnologici. C’è chi parla di Risiko, ma «non è un gioco» sottolinea il Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana Antonio Patuelli. «È una ricerca di maggiori economie, risultati ed efficienza, sempre nel rispetto del lavoro di ogni singola persona».

Questa nuova spinta all’aggregazione viene dopo due esercizi – 2023 e 2024 – segnati da un lieve calo nel numero dei deal nei servizi finanziari, passati da 75 nel 2022 a 69 nel corso dell’ultimo anno (Fonte: EY M&A Barometer). Principale responsabile è la politica monetaria delle Banche Centrali. Queste ultime, rialzando i tassi d’interesse a partire da luglio 2022, hanno fatto venire meno alcune importanti spinte alla fusione. Su tutte, la disponibilità di credito a basso costo, utile per mettere in atto leve finanziarie anche ambiziose. Ora, però, che la Banca Centrale Europea e – più timidamente – la Federal Reserve tagliano i tassi d’interesse di riferimento, il Mercato cerca di farsi trovare pronto per un nuovo ciclo. E i vari attori riprendono a guardarsi intorno in cerca di accordi vantaggiosi.

I fattori finanziari

La prima e più importante serie di incentivi che spingono nella direzione di una rafforzata attività di M&A è di ordine squisitamente finanziario. Grazie all’innalzamento dei tassi d’interesse di riferimento, gli istituti di credito hanno assistito a un’impennata dei rispettivi margini d’interesse – la differenza tra gli interessi passivi versati dalla banca ai suoi correntisti e quelli attivi ricevuti dai debitori. Tra giugno 2022 e dicembre 2024 il margine d’interesse medio è passato da 142 a 204 punti base, dopo aver toccato picchi ancora maggiori nel corso di 2023 e 2024 (Fonte: Rapporti ABI).

Contabilità

Buste paga

 

Gli effetti sugli utili sono evidenti: nel complesso, in Italia sono passati dai 16,4 triliardi del 2021 ai 50,2 stimati per il 2024 (Fonte: FABI). Simili profitti generano avanzi consistenti, specialmente nelle società di maggiori dimensioni, anche al netto di buyback e distribuzione di dividendi. Ora questa abbondanza di liquidità resta in attesa di essere impiegata: la via delle acquisizioni sembra essere la più appetibile per farlo. Tanto più che la discesa dei tassi, seppur moderata, comincia a minacciare la redditività da record dell’ultimo triennio. In tal senso le economie di scala, che una fusione societaria può potenzialmente generare, rappresentano un’occasione per mantenere i rendimenti – e con essi i dividendi distribuiti agli azionisti e il valore dei titoli azionari – prossimi al  recente picco.

A completare il quadro sono le insolvenze che, man mano che giungono a maturazione i prestiti concessi ai tassi maggiorati, tendono ad aumentare. Secondo Allianz, nel 2024 sarebbero cresciute del 22%. Ne risultano erosi gli utili, tra perdite prodotte dalle vere e proprie sofferenze o derivanti da un saldo solo parziale. Un problema che, a lungo andare, può portare a situazioni economicamente insostenibili.

Fonte: EY

Il ruolo di UniCredit

L’anno è stato inaugurato da una serie di offerte già sul tavolo. Ad aprire le danze è stato l’assalto di UniCredit a Commerzbank, quarto gruppo tedesco per asset totali (la stessa UniCredit è il quinto), avvenuto a settembre. Dopo aver acquistato il 9% delle azioni della concorrente, l’istituto guidato da Andrea Orcel ha comprato opzioni per poter portare la sua quota al 28%. Ma il blitz di Piazza Gae Aulenti pare essersi impantanato, perché da allora la vicenda non è andata avanti. Nell’attesa dell’autorizzazione da parte dell’autorità di vigilanza europea Single Supervisory Mechanism (SSM) a procedere all’acquisizione di una porzione superiore al 10%, l’operazione ha raccolto critiche. I più scettici sono i vertici di Commerzbank e lo stesso Governo tedesco, che a sua volta detiene il 12%. Il risultato, per ora, è un nulla di fatto.

La cosa non sembra aver impensierito UniCredit, visto che appena due mesi dopo, a novembre, ha lanciato un’offerta pubblica di scambio su Banco BPM. Anche questa proposta, che mira a rilevare il 100% della società con 10 miliardi di euro per poi delistarla, ha incontrato un certo sfavore. Sia consiglio di amministrazione sia Governo l’hanno accolta freddamente, facendo perfino emergere l’ipotesi dell’applicazione del golden power per bloccare l’operazione. BPM, impegnata a sua volta in un’offerta pubblica di acquisto su Anima Holding, con l’intento di creare un’unica factory per i prodotti assicurativi e legati al mondo del risparmio. Quest’ultima operazione, già approvata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), si accompagna all’acquisto, all’inizio di novembre, di una quota del 5% in Monte dei Paschi di Siena, l’altro principale distributore dei prodotti di Anima.

MPS all’assalto

Ma la novità che fa più rumore è l’offerta pubblica di scambio lanciata proprio da Monte dei Paschi di Siena sulla totalità delle quote di Mediobanca. A sorprendere è il soggetto stesso dell’operazione: negli anni passati la banca più antica del Mondo – fondata nel 1472 – finita al centro di inchieste giudiziarie e in difficoltà per via della fragilità patrimoniale, è stata oggetto di alcuni massici interventi di salvataggio da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ora, con il MEF decisamente ridimensionato nell’assemblea – è passato dal 68,25% del 2017 al 11,73% odierno – e forte di oltre un miliardo e mezzo di utili nei primi nove mesi del 2024, l’istituto prova a espandersi aggredendo un player dall’immagine inscalfibile.

L’esito del tentativo resta però incerto: tante le sopracciglia alzate nel CdA di Piazzetta Cuccia, che ha già giudicato l’operazione come ostile. Come per UniCredit, l’affare potrebbe prolungarsi vari mesi: tappe fondamentali, parallelamente all’iter autorizzativo da parte di CONSOB, saranno l’assemblea annuale di MPS con la presentazione del bilancio consolidato in data 17 aprile e quella trimestrale di Mediobanca l’8 maggio, quando si potrà testare la disponibilità degli azionisti ad accettare la proposta, che garantisce un 5% di premio sui valori di Mercato.

Le altre operazioni

Un altro deal, strettamente connesso a quello lanciato da MontePaschi, coinvolge GENERALI e la francese Natixis, divisione dedicata alla gestione patrimoniale del gruppo BPCE. Il 21 gennaio le due società hanno firmato un memorandum of understanding con cui si impegnano in una joint venture che unirà le rispettive attività di gestione, per un totale di circa 1,9 trilioni di euro di asset. L’operazione, che impegna la banca italiana a un contributo preliminare di 15 miliardi di euro, solleva le obiezioni di alcuni grandi azionisti, in particolare Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, la cassaforte di famiglia Del Vecchio, a loro volta tra i pesi massimi in quota MPS. La loro interazione con Mediobanca – altro grande socio GENERALI, al 13% – nell’ambito di questa operazione potrebbe tradire le intenzioni riguardo all’offerta pubblica di scambio del gruppo senese.

Nell’ambito dei crediti deteriorati e del credito alle piccole e medie imprese si profila invece la creazione di un nuovo e grande operatore. È il possibile risultato dell’OPAS lanciata da Banca Ifis sulla giovane Illimity, fondata 6 anni fa dall’ex Poste Italiane e Intesa Sanpaolo Corrado Passera. Ma l’acquisizione, non concordata, incontra per ora freddezza da parte del board, nell’attesa della pubblicazione dei risultati 2024 e dell’esito dei vari passaggi burocratici autorizzativi.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Dubbi e incognite

E a proposito di crediti deteriorati, i livelli di insolvenza toccati al momento non sembrano tali da impensierire gli istituti di credito. O quantomeno, da costringere a ipotizzare accordi “salvagente” per operatori di Mercato troppo carichi di Non Performing Exposures. Nel complesso, lo stock di NPE delle banche europee significative passa dai 357 miliardi rilevati a marzo 2023 a 373 a giugno del 2024. L’NPE ratio – rapporto tra il credito deteriorato e lo stock dei finanziamenti – si mantiene però ben al di sotto dei livelli di rischio, attestandosi all’1,86% (Fonte: Banca Ifis). Per di più, gli istituti vantano livelli di liquidità tali da poter assorbire eventuali imprevisti, all’apparenza. Il Common Equity Tier Ratio 1 (CET1), parametro di riferimento per le riserve di capitale adottato dalle istituzioni, supera il 16%. Ben oltre il requisito minimo del 4,5% imposto dalla normativa Basilea III.

Insomma, la prospettiva di crisi aziendali sembra allontanarsi, complici soprattutto gli utili stellari degli anni passati. Da questo punto di vista, la necessità di fusioni e acquisizioni potrebbe risultarne ridotta rispetto ad altre fasi, caratterizzate da elevate criticità sul fronte creditizio.

D’altra parte, non si tratta del solo dubbio che grava sull’annunciata stagione di M&A: un primo elemento che rema in direzione contraria è la persistenza dei tassi a livelli relativamente elevati (3-3,15% per i Paesi dell’Eurozona), almeno rispetto ai tassi zero o negativi che avevano caratterizzato gli anni ’10 del 2000. Con un costo del denaro ancora alto, svanisce la possibilità di effettuare operazioni a leva particolarmente ardite per finanziare le acquisizioni. E se a questo inconveniente possono forse ovviare le già osservate ampie disponibilità di capitali, restano i dubbi riguardo alla direzione futura della politica monetaria. Il quadro che ne deriva mostra una generale incertezza nei Mercati, non necessariamente favorevole a operazioni di grandi dimensioni. Un’incertezza decisamente acuita dai fattori contingenti del periodo: dai conflitti internazionali tutt’ora in corso, alla recente elezione alla Casa Bianca di Donald Trump.

Da ultimo, a ostacolare l’aggregazione è la stessa situazione del Mercato finanziario italiano, in un certo senso già maturo da questo punto di vista.

«Il mondo bancario italiano è quello che in Europa ha avuto, nei quindici anni passati, la maggiore vivacità a livello di operazioni» ha sottolineato Patuelli. «Alcune costrette, a seguito di crisi bancarie, ma la grandissima parte per scelta responsabile e autonoma di manager, azionisti e amministratori. Tant’è che l’Italia ha il più basso numero di banche rispetto agli abitanti: con una popolazione di 58 milioni di individui, abbiamo solamente 100 gruppi. Un numero molto più basso rispetto a quelli del resto d’Europa – sia in assoluto, sia in proporzione». Una situazione che restringe i margini di espansione dei grandi istituti di credit sul Mercato domestico, dove rischiano di incorrere nel veto delle autorità antitrust.

Il posto dell’Europa

Una potenziale soluzione potrebbe essere quella di fusioni transnazionali, attraverso i confini dell’Unione Europea, tali da creare economie di scopo e scala senza rischiare di accendere la spia del monopolio. Lo sviluppo di accordi di questo tipo era stato tiepidamente auspicato dalla stessa Presidente BCE Christine Lagarde. «Sarà molto interessante vedere questo processo di consolidamento cross-border nel prossimo futuro, dopo che molte autorità avevano auspicato fusioni transfrontaliere».

Una novità che potrebbe aprire un nuovo capitolo nel Mercato bancario europeo e compiere un ulteriore step verso quella capital markets union auspicata da anni. In tal senso, l’esito di un’operazione come quella Unicredit-Commerzbank potrebbe dettare il ritmo per gli anni a venire. Su questo fronte, la palla passa ora alla SSM – che dovrà autorizzare l’operazione – ma soprattutto al nuovo Governo tedesco che si insedierà all’indomani delle elezioni del 23 febbraio. «Senza il sostegno di Berlino, difficile portare a termine l’operazione» ha detto lo stesso AD di Unicredit Andrea Orcel.                  ©

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📸Credits: Canva          

Articolo tratto dal numero dell’1 febbraio 2025 de il Bollettino. Abbonati!





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