Gaza. Al Qassam e la prova di forza

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1 Feb , 2025

Prova di forza numero 4 – Al Qassam più di Hamas

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Di nuovo Khan Younis. Di nuovo i membri di Al Qassam. La città del rilascio di due dei tre ostaggi israeliani (Ofer Calderon e Yarden Bibas), avvenuta oggi alle 9.30 ora di Gaza, è la stessa di giovedì scorso. Gli stessi i protagonisti del rilascio, le Brigate Izzedin al Qassam, il braccio militare di Hamas. Per il resto, tutto è diverso. Tutto, completamente diverso, com’era facile prevedere.

Le immagini di giovedì non erano state solo al centro dei durissimi attacchi di Bibi Netanyahu che avevano ritardato il rilascio di 110 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, di cui trenta minori, alcuni nati nel 2009… Le critiche erano arrivate – alte – anche da parte palestinese. Critiche per il caos nello spiazzo in cui era stata rilasciata, sempre a Khan Younis,  Arbel Yehud, visibilmente spaventata dalla folla che riempiva l’area, accanto alla casa distrutta di Yahya Sinwar. 

Le critiche di parte palestinese si chiedevano e si chiedono se è necessaria una prova di forza di questo tipo da parte delle Brigate al Qassam, mentre centinaia di migliaia di palestinesi mostrano, con la loro ‘marcia del ritorno’ verso nord, l’indescrivibile sofferenza vissuta nei precedenti quindici mesi, nella guerra su Gaza. E non è improbabile, in via ipotetica, che anche da parte dei negoziatori, tra il Cairo e Doha, si sia chiesto alle Brigate al Qassam di non ripetere le stesse modalità.

[Quello che manca, nel racconto dello scambio di queste settimane, è la parte del rilascio dei palestinesi. Molte poche immagini, e quelle che poi girano nei social mostrano i palestinesi detenuti e rilasciati in condizioni fisiche difficili, emaciati, smagriti, molti con la scabbia. E completamente rasati, gli uomini e i ragazzi, poco prima del rilascio, in un gesto di umiliazione di cui si dice poco, o niente. Palestinesi detenuti con sentenze definitive, con reati di sangue, e palestinesi – donne, uomini e soprattutto minori – tenuti in carcere senza accuse e in detenzione preventiva. Rilasciati, liberati, ma con la spada di Damocle di poter essere riarrestati, com’è già successo decine, centinaia di volte in questi decenni. La storia dei palestinesi detenuti, la storia della prigionia e dei prigionieri, è una storia che non è raccontata, e non solo da ora, nonostante le associazioni di difesa dei diritti umani e civili, associazioni palestinesi e israeliane e internazionali, denuncino da anni, e ancora di più ora, violazioni, mancanza di cure mediche e di cibo, pratiche umilianti, detenzione in isolamento, sino alle torture e alle morti in carcere. In un crescendo che ha il suo apice dopo il 7 ottobre. Un milione di palestinesi, tra il 1967 a oggi, sono stati detenuti. Molte salme di coloro che sono morti in carcere rimangono in mano israeliana, in cimiteri o in celle frigorifere.]

Torniamo a Gaza, al luogo in cui è avvenuto il rilascio di oggi, con modalità completamente diversa rispetto al rilascio di giovedì. A Khan Younis non c’era sabato mattina la folla, c’erano solo i membri di al Qassam, e probabilmente i gruppi più scelti. La prova di forza è stata, cioè, senza la parata e il pubblico: solo i miliziani, perfettamente organizzati, in divisa da forza militare, con la bandiera palestinese sulla manica delle uniformi. Il rilascio è stato veloce, senza ostacoli, con una precisione difficilmente prevedibile. Ancora una volta, però, il piccolo palcoscenico, i banner in arabo, inglese e in ebraico, le bandiere, i pickup di al Qassam, i miliziani in perfetta tenuta militare. E gli ostaggi, costretti a salutare, a ricevere i gadget. Tutto più veloce, ma tutto ancora lì. Al Qassam non cede a mostrare la prova di forza, evidenziando anche un apparato di comunicazione che non nasce da ora, e che già era stato chiaro ed evidente durante la prigionia e il rilascio di Gilad Shalit (nel 2011).

Le costanti, dunque, rimangono. Compresa l’iconografia dei martiri, parte di non poco conto perché i martiri, stavolta, sono la leadership delle Brigate al Qassam. Una delle interpretazioni che si può dare della messinscena di giovedì a Khan Younis, infatti, dalla scelta del luogo (vicino alla casa distrutta di Yahya Sinwar) fino al ‘bagno di folla’, è che fosse parte di una sequenza ben precisa. Prova di forza pubblica, manifesta, e poco dopo – la stessa sera – la trasmissione del video di Abu Obeida con il quale si comunicava ufficialmente che il capo delle Brigate Al Qassam, Mohammed Deif, era stato ucciso. Non si sa quando, non si sa dove. 

Abu Obeida, il volto-non volto di Al Qassam più conosciuto nel mondo nonoccidentale, il portavoce dell’ala militare di Hamas, ha comunicato, in sostanza, che alcuni dei più importanti leader delle Brigate erano stati uccisi. In particolare, Mohammed Deif e Marwan Issa, assieme ad almeno due alti comandanti locali, primo fra tutti quello della zona di Khan Younis. Sono i volti (per la prima volta quello di Mohammed Deif, sino a questo momento quasi ignoto) che compaiono oggi sui banner mostrati durante il rilascio degli ostaggi, prima a Khan Younis e dopo due ore a Gaza City, con la consegna alla Croce Rossa Internazionale di Keith Siegel, con una modalità molto simile a quella messa in piedi più a sud.

I banner mostrano i leader di al Qassam tutti insieme, a fare da corona alla Cupola della Roccia e alla Moschea di Al Aqsa, ancora una volta mettendo Gerusalemme al centro della scena, simbolo di coesione che va oltre Hamas e il suo consenso diretto. Manca, però, un volto, che pure ci si sarebbe aspettati. Quello di Yahya Sinwar, ucciso proprio nel sud della Striscia di Gaza, e della cui presenza sulla scena dei combattimenti si ha prova, ora, attraverso un video rilasciato proprio dalle Brigate al Qassam. Yahya Sinwar assieme a Marwan Issa, anche lui ucciso. Perché manca Yahya Sinwar? Perché la comunicazione che vediamo in questi giorni di tregua a Gaza è tutta, tutta completamente delle Brigate al Qassam. E Yahya Sinwar era dalla scorsa estate il presidente del politburo di Hamas, succeduto a Ismail Haniyeh, ucciso in un omicidio mirato extragiudiziale da Israele a Teheran. Yahya Sinwar non viene, in sostanza, considerato a pieno titolo delle Brigate al Qassam, bensì come il ponte tra l’ala politica e l’ala militare. Possono sembrare dettagli, ma in un tempo molto opaco, difficile per raccontare i cambiamenti dentro la struttura del movimento islamista, questi dettagli dicono molto. Moltissimo, a mio parere. Dicono anche che c’è una nuova leadership di al Qassam, e che molto probabilmente al suo vertice c’è Mohammed Sinwar, il fratello minore di Yahya, il probabile architetto della prigionia e del rilascio di Gilad Shalit. 

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