Caterina Ceraudo: “Un ristorante a Milano? Mi piacerebbe, ma i costi sono troppo alti”

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“A Milano ci passa il mondo: hai la possibilità ogni sera di riempire il tuo ristorante. Cosa che invece da noi non succede, o succede solo per certi periodi dell’anno. Ogni volta che ci vengo mi stupisce perché le persone che vengono a cena non lo fanno per caso, vogliono conoscere uno chef, un ingrediente. È una città esaltante. Anche l’ultima volta che ci ho lavorato è stata una bellissima serata”. Caterina Ceraudo a Milano, dove più volte ha pensato di aprire un suo ristorante ma si è sempre spaventata per i costi di avvio attività, ha portato per una sera in tavola il suo orto, quello del Dattilo a Strongoli (Crotone).

L’ha fatto da Eataly Smeraldo, in una delle cene organizzate con Identità Golose dedicate ai Giovani Talenti – Incontro Con la Cucina del Futuro (le prossime date saranno con Trattoria Contemporanea, il 12 febbraio; Gaetano Torrente del ristorante Al Convento il 12 marzo e con Valerio Serino, chef del ristorante Tèrra a Copenaghen, il 25 marzo). Migliore chef donna d’Italia nel 2017, e stella Michelin con Dattilo (dal 2019 anche stella verde) si è presentata a Milano con la purezza dei sapori calabresi, autentici, immediati: due ore nette di cena, tempo perfetto per conoscere il suo progetto, la sua idea di cucina. Nel menu, il fungo porcino della Sila con latte e prezzemolo; le linguine con cime di rapa e peperoncino dolce; maiale, verza e anice nero; fino al Panettone “Naturalmente” prodotto in casa (e disponibile tutto l’anno al Dattilo a colazione), zabaione speziato al passito.

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La Milano da mangiare in questo momento è sotto i riflettori per le critiche dello chef Felice Lo Basso. Lei che sensazione ha della città?

“Posso dire la sensazione data dagli eventi in cui ho lavorato. Ogni volta che mi approccio a Milano, mi piace tanto come città, perché è dinamica, mi affascina tanto. Si mangia bene a tutti i diversi livelli di ristorazione. Ho sempre trovato grande interesse nel conoscere cucine differenti. Anche da Eataly abbiamo fatto sold out subito. Credo sia un bel segnale per dire che la gente è interessata a conoscere progetti nuovi. Poi se penso al punto di vista di Lo Basso, certo non si può dire che Milano non sia una città cara, in cui è facile trovare personale. Sono tutte dinamiche che incidono sul lavoro di tutti i giorni”.

Lei ha mai pensato di aprire un ristorante a Milano?

“Voglio essere sincera: a Milano ci ho pensato tantissime volte ad aprire qualcosa. Quello che mi ha sempre frenato sono stati i costi elevati: i costi di partenza sono alti, e questo è a prescindere dalla bravura dello chef. Poi la città nell’ultimo anno è cambiata tanto. Lo vedo anche solo soggiornando sempre negli stessi hotel come sono cambiati i prezzi. Milano è una città che ti mette a dura prova, ma è anche vero che ti dà grandi possibilità. Puoi riempire sempre il ristorante, da noi invece non è così scontato. Sono zone che si riempiono solo durante pochi periodi dell’anno, mentre a Milano ci passa il mondo”.

Come presenterebbe il suo progetto di cucina a chi non la conosce?

“Una cucina semplice e autentica. Racconto quello che so fare, non mi invento niente. Tutto quello che metto in tavola non è altro che una sintesi di quello che ho appreso durante il mio percorso. Quello che non conosco, lo studio, per poi inserirlo magari in futuro nel menu. Racconto esattamente quello che ho intorno a me, i miei gusti, i miei sapori. Porto in tavola tutto quello che mi piace. Il mio obiettivo è raccontare il territorio attraverso i miei piatti. E spero che il cliente lo colga al meglio”.

Quali sono i prodotti e i piatti su cui sta lavorando in questo momento?

“Questo è un periodo silente, di pausa, perché ci stiamo riorganizzando per l’apertura che sarà ad aprile. Non riesco mai ad essere precisa su quello che inserirò in menu perché le stagioni sono cambiate nettamente e il mio lavoro si svolge molto attorno al mondo dei vegetali. Il menu racconta questo aspetto, quello che ho intorno in questo preciso momento. Per una questione di onestà. Chi viene qua da noi deve vedere che i prodotti dell’azienda agricola sono gli stessi che vede nel piatto e nell’orto. Per me è una questione di rispetto, è un approccio diverso. Il piatto ti deve raccontare quello che sta succedendo in questo preciso momento intorno a te e a tutto quello che è la produzione e la raccolta. Deve essere una sintesi di tutto il lavoro fatto prima”.

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Non solo a pranzo o a cena, l’ospitalità prevede anche il momento della colazione

“Puntiamo molto sulla colazione dei nostri ospiti. Chi viene da noi, non solo al ristorante, si ferma spesso alcuni giorni. E la colazione ha un ruolo molto importante nel nostro servizio. Tutto quello che proponiamo è tutto fatto da noi. Facciamo conoscere al cliente delle chicche locali oppure dei prodotti che facciamo noi per primi. Per me è un modo per creare energia positiva su tutto il territorio. Abbiamo fatto una selezione di piccoli produttori per la salsiccia e la soppressata locale. Abbiamo la ricotta di pecora appena preparata da un piccolo caseificio vicino. Poi abbiamo una novità: una tarte tatin di cipolla rossa di Tropea e caciocavallo. Le uova rigorosamente alla calabrese: un tipo di omelette con salsiccia, caciocavallo e dragoncello. Oppure l’uovo al tegamino con il peperoncino dolce. La colazione è un pasto importante e va curata nel dettaglio come gli altri pasti”.

Qual è la visione che ha della cucina del futuro?

“Sicuramente una cucina più attenta ai dettagli. Una cucina che guarda molto al territorio, che rispecchi totalmente il posto dove si trova. Per intenderci, la cosa più triste è trovare nel piatto gli stessi ingredienti di in un altro ristorante che magari si trova a 400 chilometri di distanza. Io se vado in un posto voglio mangiare quel posto”.



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