La Corte di Appello non ha convalidato il trattenimento dei migranti, sospendendo la decisione in attesa che si pronunci la Corte di Giustizia Ue: una non-decisione annunciata. La premier Giorgia Meloni sa che accusare i magistrati di ostacolare l’operazione è un comodo alibi
È la cronaca di una non-decisione annunciata, quella della Corte di Appello di Roma, che ha sospeso il giudizio di convalida del trattenimento in Albania di 43 migranti, bengalesi ed egiziani, e operato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. I giudici di Roma hanno chiesto a quelli dell’Ue di valutare «se il diritto Unitario consenta o meno di designare un paese sicuro quando le condizioni sostanziali per la sua designazione non sono soddisfatte per alcune categorie di persone».
L’opinione della Corte di Appello, espressa nel provvedimento, «è che il diritto unitario non consenta di designare sicuro un paese con esclusione di categorie – e a maggior ragione di dichiararlo sicuro per intero quando risulti che per alcune categorie di persone non lo sia – per considerazioni che corrispondono sostanzialmente a quelle già espresse nella motivazione della sentenza del 4 ottobre 2024 dalla Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea con riferimento alla esclusione per parti del territorio, sentenza pregiudiziale avente efficacia erga omnes».
Dinanzi alla Corte già pende più di un rinvio pregiudiziale avente il medesimo contenuto. L’udienza sarà il 25 febbraio, ma le motivazioni si conosceranno solo ad aprile.
Ora i migranti torneranno in Italia. Non saranno sottoposti alla procedura accelerata di esame delle loro richieste di asilo, ma a quella ordinaria, provvista di maggiori garanzie, che consentirà di accertare se, a livello individuale, corrono rischi in caso di rimpatrio nei paesi di origine.
I precedenti
La pronuncia della Corte di Appello fa seguito a quelle della Sezione specializzata in materia di immigrazione del tribunale di Roma, che nell’ottobre scorso non aveva convalidato il fermo in Albania di 12 migranti provenienti da paesi – Egitto e Bangladesh – dove i diritti di alcuni gruppi sociali sono a rischio; e che a novembre aveva sospeso la convalida per altri nove stranieri, originari degli stessi paesi.
Al governo non è bastato togliere la competenza a decidere sulle convalide dei fermi in Albania ai giudici del Tribunale di Roma e attribuire la competenza stessa alla Corte di Appello per ottenere decisioni più gradite. Così come, nell’ottobre scorso, non era bastato a blindare la lista dei paesi sicuri il fatto di spostarla da un decreto interministeriale a un decreto-legge, fonte primaria. Avevamo scritto subito che i tribunali avrebbero potuto disapplicare anche quest’ultimo, perché il principio della prevalenza del diritto dell’Unione rispetto a quello nazionale vale per qualunque fonte. E così poi è stato.
La strategia di Meloni
Ci si aspettava che il governo, dopo i primi due fallimentari trasferimenti di migranti nei centri albanesi, attendesse la pronuncia della Corte di Giustizia Ue che – come detto chiarirà se un paese sicuro dev’essere tale non solo in ogni parte di territorio, ma anche per ogni categoria di persone. Evidentemente, Giorgia Meloni doveva dimostrare che stava concretizzando le affermazioni fatte ad Atreju – «i centri per migranti in Albania funzioneranno, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano» – e perciò ha proceduto al nuovo trasferimento di migranti.
Ma forse c’è anche altro, ed è una strategia ben precisa. La presidente del Consiglio sa che imputare alla magistratura il flop dell’operazione Albania rappresenta un comodo alibi. Quindi, insistere con i trasferimenti dei migranti, trasferimenti cui continuano a seguire decisioni che non ne convalidano il fermo, le consente di non ammettere che tale operazione non regge né dal punto di vista giuridico né tantomeno da quello economico.
Meloni sa pure che mostrarsi vittima della magistratura le porta consenso, come attestano i sondaggi successivi alla sua iscrizione nel registro degli indagati, insieme ad altri componenti del governo, per il caso Almasri. E insistere con i trattenimenti in Albania, senza attendere la pronuncia della Corte Ue, permette a Meloni di dimostrare al proprio elettorato che, se il problema dell’immigrazione non si risolve grazie alla soluzione albanese – che soluzione non è, e non lo sarebbe nemmeno se i centri funzionassero a pieno ritmo – la colpa non è sua.
Ora i centri in Albania restano di nuovo vuoti, e non a causa dei giudici, ma di una strategia attuata in spregio agli italiani, i cui soldi continuano a essere spesi per finanziare l’operazione, e agli stranieri che vengono trasportati avanti e indietro come pacchi postali. Fino a quando, al momento non è dato sapere.
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