La questione riguarda l’applicazione e l’interpretazione delle diverse norme che hanno nel tempo concesso crediti d’imposta relativi a incrementi occupazionali.
L’art. 7, comma 10, della legge n. 388/2000, esclude, per l’ultimo trimestre 2000, la debenza dell’ulteriore beneficio del credito d’imposta per gli incrementi occupazionali dal 1° gennaio 2001, essendo possibile per gli incrementi verificatisi in tale trimestre usufruire ancora del credito d’imposta disciplinato dall’art. 4 della legge n. 448/1998, cui si aggiungeva, al più, la nuova previsione dell’ancora diverso beneficio del credito d’imposta di cui al comma 1 del citato art. 7 (Sez. 5., sent. 18 giugno 2014, n. 13839).
La ricostruzione di tale sistema non richiede complesse operazioni esegetiche (Sez. 5, ord. 15 marzo 2011, n. 6056), sicché non emergono le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni, richiesto dall’art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992 (Sez. VI-5, ord. 26 giugno 2019, n. 17195), oggettivamente evidenziabili e non solo soggettivamente percepiti come tali.
È pur vero che l’esercizio di tale potere da parte delle Corti di giustizia tributarie è discrezionale per quanto attiene alla valutazione delle condizioni obbiettive di incertezza normativa, ma è anche vero che esso non è sindacabile in sede di legittimità, solo se adeguatamente motivato (Sez. 5, ord. 29 gennaio 2024, n. 2604).
In ogni caso, il potere disapplicativo della Corte non può estendersi anche alla parte dell’atto impositivo che calcola gli interessi dovuti sulle somme oggetto di una ripresa fiscale comunque considerata legittima, in quanto l’art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992 è chiaro nel limitare tale potere alle sanzioni non penali.
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