dipendente assolto dopo 13 anni

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BRINDISI – Ha professato la propria innocenza per 13, lunghi, anni. Tre giorni fa (era l’8 gennaio 2025), nell’aula della corte d’appello di Lecce il presidente del collegio Carlo Errico lo ha interpellato, chiedendogli se fosse certo di voler rinunciare alla prescrizione. Carmine Preite, conosciuto da tutti come Floriano, ha risposto “sì”. Lui voleva che la giustizia italiana lo riconoscesse innocente, non prescritto. Qualche ora dopo il collegio giudicante è uscito dalla camera di consiglio e ha riconosciuto che sì, il 63enne brindisino Floriano Preite, dipendente Inps, non ha effettuato alcun accesso abusivo al sistema informatico dell’ente. Il suo legale, l’avvocato Ferruccio Gianluca Palazzo, ricorda che per leggere le motivazioni della sentenza occorrerà attendere 90 giorni, ma che il pronunciamento della Cassazione che ha disposto l’appello bis può già far intuire qualcosa. E precisamente che il campo d’applicazione dell’articolo 615 ter del codice penale – l’accesso abusivo a sistema informatico protetto – è stato “delimitato”.

Un documento alla base della vicenda

Ricostruire l’iter giudiziario non è facile. La vicenda di Preite si inserisce in un’altra indagine, che ha coinvolto principalmente un precedente direttore dell’Inps di Brindisi. Nel 2012 alla magistratura viene prodotto, dall’Inps del capoluogo adriatico, un documento unico di regolarità contributiva, un Durc. Attesterebbe il falso, ovvero che la posizione di una certa azienda è positiva. La procura di Brindisi indaga, tra gli altri, Preite e l’ex direttore, per questo e altri Durc ritenuti irregolari. È l’agosto 2012, il dipendente vuole vederci chiaro, dopotutto è un documento protocollato anni prima. Esegue un accesso al sistema informatico dell’istituto, a posteriori. Ma lui in quel momento fa parte di una differente unità organizzativa. Come si vedrà a breve, il documento originale e dunque protocollato da Preite in realtà non dice che la posizione contributiva della ditta è positiva.

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L’iter giudiziario di Preite

Intanto, all’ex direttore vengono mosse anche altre contestazioni e la sua vicenda giudiziaria si concluderà prima, ma diversamente. Intanto, i conti non tornano: il Durc che fa ha fatto partire l’inchiesta si rivela falso, la posizione contributiva dell’azienda per Preite non era “positiva”. Però il pm che si occupa del caso, Milto De Nozza, chiede il rinvio a giudizio nei confronti del dipendente, non per un documento falso, ma con l’accusa di aver commesso il delitto previsto dall’articolo 615 ter, l’accesso ritenuto abusivo appunto. C’è da dire che la procura aveva avuto il dubbio che Preite avesse effettuato quell’accesso postumo per “aggiustare” il Durc, ma questo era stato escluso categoricamente da un tecnico di alto livello: quel tipo di documento, una volta protocollato, non può essere modificato. La giustizia fa il suo corso, ma non come Preite si attende: nell’ottobre 2018 il tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, lo condanna per accesso abusivo a due anni e tre mesi di reclusione. Poi, nel gennaio 2020 la corte d’appello di Lecce conferma l’ipotesi accusatoria, ma riduce la pena a un anno. 

L’atto era legittimo

La “svolta” arriva nel maggio 2021: la quinta sezione penale della Cassazione annulla con rinvio la condanna. E, due giorni fa, dopo che il pg in aula ne chiede l’assoluzione, nell’appello bis Preite viene riconosciuto innocente, con formula piena. I giudici della Cassazione riconoscono che quell’accesso contestato era stato eseguito per verificare un atto adottato, legittimamente, dallo stesso dipendente. L’avvocato Ferruccio Gianluca Palazzo spiega che questo procedimento è importante perché determina una rilettura dell’articolo 615 ter, limitandone l’operatività. L’accesso di Preite, seppur non connesso alla mansione svolta in quel momento, era autorizzabile da un superiore. Era stato eseguito non per un’esigenza privata, visto che doveva verificare che quel Durc protocollato da lui anni prima non fosse stato nel frattempo manomesso. 

Un calvario partito da un falso

È vero che occorre attendere le motivazioni dell’appello bis, ma il solco era stato tracciato dalla sentenza della Cassazione. E certamente queste motivazioni le vorrà leggere anche Preite. Lo si ripete: per anni ha professato la propria innocenza: lui le regole e le leggi non le ha violate. Sapeva che il documento da cui è partito tutto era qualcosa di simile a una polpetta avvelenata (e questo non è un particolare di poco conto), visto che poi quel Durc si è rilevato corretto. “Io per tutti questi anni non mi sono mai assentato, sono sempre andato al lavoro, anche quando mi sentivo evitato”, spiega Preite. Che solo ora può tirare un sospiro di sollievo. E certamente anche di rabbia. È stato sì assolto, ma è stato pur sempre per 13 anni alle prese con la giustizia. E tutto per un documento che si è rivelato un falso.

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