Meloni “giudizializza” la lotta politica, ma è una mossa rischiosa

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Per la premier l’indagine aperta dalla procura di Roma è un’occasione da cavalcare, dato che una fetta consistente degli italiani pensa che la magistratura sia politicizzata. Lo scontro con le toghe però carica di maggior peso politico la riforma della separazione delle carriere. Con il pericolo di uscirne sconfitta

Giorgia Meloni è una politica abile e sa cavalcare le occasioni. Non v’è dubbio che la magistratura, pur nell’esercizio legittimo dei suoi uffici, abbia ripetutamente offerto negli ultimi mesi delle occasioni alla premier per eccitare il suo elettorato nella crociata contro la magistratura. Quest’ultima è una istituzione che ha vissuto anni di crisi sul piano della legittimazione pubblica a casa della politicizzazione interna.

“Giudizializzazione” della politica

Basti pensare che in un sondaggio della fine del 2024 mostrava che soltanto poco più del 30 per cento degli italiani ha fiducia nei giudici e che oltre la metà degli intervistati ritiene che siano politicizzati. Agli occhi dell’elettorato di centrodestra, sin dai tempi di Silvio Berlusconi, la magistratura, o comunque una parte di essa, è l’avversario che cerca di rovesciare con le inchieste i risultati elettorali.

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I pm sono avvertiti come attori che mirano a imporre una moralizzazione della politica o una costrizione della sovranità popolare che non vengono riconosciute né accettate. Le questioni di moralità, legalità nazionale e internazionale non rilevano quasi mai per l’elettore di destra, per il semplice motivo che la magistratura non è percepita come istituzione imparziale.

Il fatto che i magistrati, alti funzionari dello stato va ricordato, disertino l’aula in cui parla il ministro della Giustizia per protesta o si prestino a partecipare al dibattito mediatico ingaggiando una dialettica con il governo non aiuta il potere giudiziario a rafforzare la propria autorevolezza di fronte alla maggioranza degli italiani. Meloni è di tutto ciò ben consapevole e per questo, anche con toni populisti, rilancia la propria offensiva e la riforma costituzionale della giustizia.

È pericoloso che un capo di governo asserisca che se vogliono fare politica «i giudici si candidino»? Certo che lo è, come lo è ogni conflitto tra poteri, e in particolare quelli che coinvolgono in modo diretto l’esecutivo. È parte di un processo di delegittimazione e discredito delle istituzioni che può far male al paese.

La “giudizializzazione” della politica, cioè concentrare il cannone della propaganda contro il potere giudiziario, operata dalla destra è la stessa faccia della medaglia della politicizzazione della giustizia. Entrambe esistono, entrambe possono mettere in crisi la governabilità del sistema politico.

Il problema dell’opposizione

Qui però esiste anche un problema legato all’opposizione. Troppo a lungo il centrosinistra si è nascosto dietro la magistratura, ha negato la politicizzazione della giustizia, ha sperato che le inchieste dessero una mano ad indebolire gli avversari, ha sabotato ogni tentativo di riforma del potere giudiziario quando è stata al governo. In questo scenario, la sinistra preferisce lasciar che sia Meloni a dettare l’agenda, a confidare in uno scontro tra destra e magistratura nella speranza che il conflitto indebolisca il governo.

Un atteggiamento dannoso anche questo verso la giustizia, che contribuisce ad esacerbare, e rendere credibili per una fetta consistente di elettori, le accuse di politicizzazione scagliate dalla destra. Per altro sul caso Almasri la pistola del centrosinistra è scarica per due motivi. Il primo è che il governo avrà anche pasticciato nella gestione, ma è evidente che la partita rientra nella più ampia logica della ragion di stato.

Accordi con i poteri libici sulla limitazione dei flussi migratori richiedono il sacrificio di alcuni aspetti del diritto internazionale e la prevalenza di una logica di intelligence e sicurezza nazionale. Senza contare che questi rapporti diplomatici per fermare l’immigrazione sono iniziati e continuati quando il Pd era al governo ed è pertanto difficile oggi attaccare con credibilità e decisione Meloni.

Il secondo motivo è che, come sulla magistratura, la premier sulla ragion di stato per limitare l’immigrazione ha gioco facile poiché gli indirizzi dell’opinione pubblica in materia sono chiari e vanno nella direzione della destra.

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Una nuova fase populista

Questo quadro, in conclusione, proietta il governo in una fase nuova: da quella dell’amministrazione prudente per legittimarsi a livello internazionale a quella della riforma costituzionale, con toni duri e populisti, in una logica di scontro tra poteri. La riforma della giustizia diviene così cruciale per la maggioranza poiché è l’unica riforma istituzionale, viste le difficoltà di premierato e autonomia regionale, che può avere successo e cambiare la sostanza del potere.

Questa è certo una opportunità per Meloni, ma è anche un rischio perché da ora in poi quella riforma si carica di significati politici forti e spingerà la magistratura inquirente a setacciare con minuzia ogni attività del governo. Da ultimo, una eventuale sconfitta al referendum sulla separazione delle carriere dei giudici, dopo uno scontro di tale portata, potrebbe trasformare la forza di oggi in una debolezza di domani.

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