Tra gli argomenti più ‘battagliati’ in aula durante la discussione della Legge di Bilancio 2025, il dossier pensioni ha, alla fine, visto davvero pochissimi dei cambiamenti annunciati e promessi dalle forze politiche.
Non cambia l’età minima per accedere alla pensione di vecchiaia ferma a 67 anni per la necessità di rendere sostenibile il sistema previdenziale, e continuano ad essere necessari almeno 20 anni di contributi versati, sia per i lavoratori dipendenti che per gli autonomi.
A farla da padrona è ancora la tanto odiata riforma ‘Fornero’ mentre risulta scongiurato, almeno per quest’anno, il temuto aumento dell’età minima che era stato paventato, creando non poco caos, dopo l’aumento di alcuni mesi anagrafici nei requisiti generati dalle simulazioni del portale Inps.
Nessuna azione politica, in merito, ma più semplicemente la stabilizzazione dell’aspettativa di vita certificata dall’Istat, che non avendo richiesto adeguamenti, ha visto la conseguente assenza di incrementi per il 2025.
Requisiti, età e determinazione importi per le pensioni nel 2025
Ricapitoliamo quali siano i requisiti e l’età necessari per l’agognata pensione e come si determina l’importo degli emolumenti per il 2025.
Quota 103
Si conferma anche per il 2025 la possibilità di andare in pensione anticipata con la cosiddetta ‘Quota 103’ vala a dire la somma di almeno 62 anni di età anagrafica + 41 anni di contributi. Per coloro che avessero retribuzioni più alte è importante far notare che l’assegno dell’eventuale pensione sarebbe limitato a un tetto massimo costituito da un moltiplicatore di 5 volte rispetto al trattamento minimo Inps, con un massimo di circa 2.818 euro lordi al mese, fino al compimento dei 67 anni. Rimane il divieto di cumulare la pensione con redditi da lavoro, consentiti solo quelli derivanti da lavoro autonomo entro la soglia dei 5mila euro annui.
Opzione donna
Rimane la possibilità di accedere a Opzione donna in forma ristretta, con le stesse modifiche previste gli scorsi anni, ad alcune tipologie di lavoratrici, nello specifico le caregiver che assistono familiari con disabilità grave, donne invalide con riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74% e coloro che sono attualmente disoccupate e che non usufruiscono di alcun sostegno al reddito. In questi casi L’età anagrafica minima è di 61anni, ridotti a 60 in caso la lavoratrice abbia un figlio e a 59 con due o più figli, i contributi necessari sono 35 anni, maturati entro la fine del 2024. Per le lavoratrici dipendenti l’accesso è possibile solo dopo una finestra di 12 mesi dalla maturazione dei requisiti, per le autonome la finestra è di 18 mesi.
Ape sociale
Confermata, fino al 31 dicembre 2025, la misura di supporto a specifiche categorie di lavoratori in difficoltà denominata ‘Ape sociale’ che permette una sorta di ‘accompagnamento’ verso la pensione di vecchiaia. In questo caso l’importo sarà uguale a quello spettante per la pensione di vecchiaia ma potrà raggiungere per un tetto massimo di 1.500 euro lordi al mese, senza tredicesima e senza adeguamenti all’inflazione fino al raggiungimento dei 67 anni. Gli anni di età devono essere almeno 63 con 30 anni di contributi, ci sono poi delle caratteristiche specifiche per ogni tipologia, disoccupati, invalidi e lavoratori impiegati in lavori usuranti. Approvato il Fondo per i lavoratori precoci, coloro cioè che hanno accumulato 12 mesi di contributi effettivi prima dei 19 anni, per loro sarà possibile andare in pensione con almeno 41 anni di contributi totali.
Altri casi per la pensione anticipata
Pensione anticipata concessa a tutti coloro che hanno iniziato a lavorare presto anche a disoccupati, caregiver, lavoratori con invalidità civile e lavoratori impiegati in lavori usuranti, lavoratori con le stesse caratteristiche di quelli che possono beneficiare dell’Ape sociale, ma che prevede un’effettiva pensione anticipata, con importo è calcolato quindi sui contributi versati.
Già perché è bene ricordare che è solo dopo la riforma Dini del 1996 che il valore delle pensioni erogate è basato interamente sui contributi previdenziali versati. Prima di questa riforma, forse non nota ai più, le pensioni venivano calcolate invece in base delle retribuzioni percepite negli ultimi 5 anni lavorativi, con il risultato che molti lavoratori, ottenendo stipendi più alti all’apice della carriera grazie a incrementi di livello o cambi di mansione. Il sistema odierno invece prevede che l’importo delle pensioni future sia calcolato rispetto ai contributi versati, in media il 33/35% della retribuzione totale, rivalutato in base all’inflazione e moltiplicato per dei coefficienti di trasformazione che vanno ad aumentare con l’aumentare dell’età di pensionamento.
Il risultato è che le pensioni calcolate con il sistema contributivo sono nove volte su dieci inferiori rispetto a quelle calcolate se vi fosse ancora in vigore il vecchio sistema retributivo. Merito della riforma Fornero è stato quello di introdurre una sorta di salvaguardia sulle regole di calcolo, con l’introduzione di un sistema ‘misto’ per tutti quei lavoratori che abbiano iniziato a versare contributi prima del 1996.
Coefficienti più bassi e altre note dolenti
La Legge di Bilancio di quest’anno ha fissato tutti i coefficienti moltiplicatori a livelli più bassi rispetto al 2024, facendo sì che coloro che dovessero decidere di andare in pensione nel biennio 2025/2026, a partire da quest’anno si troveranno in banca un assegno più basso una riduzione dell’assegno pensionistico per chi si ritira. Pur a fronte del minimo aumento dovuto all’inflazione, l’adeguamento al ribasso si deve al dato sociografico che vede aumentare l’aspettativa di vita.
Altra nota dolente, seppure per una piccola quota di pensionati, la Legge di Bilancio2025 ha reintrodotto il contributo di solidarietà sulle cosiddette ‘pensioni d’oro’ in realtà forse d’argento visto che si applica agli assegni superiori ai 5mila euro lordi mensili col fine di redistribuire risorse verso le fasce più povere e garantire la sostenibilità del sistema previdenziale. Le promesse sono di ritenerla una misura temporanea, dovrebbe durare al massimo 5 anni, ma le trattenute con un sistema di aliquote progressive vanno dal 10% sull’importo eccedente i 5mila euro fino al 20% su importi superiori ai 15mila euro, hanno scatenato feroci critiche, fino ad accuse di incostituzionalità. In realtà il gettito in entrata della misura sembrerebbe avere una davvero limitata efficacia, inoltre si teme possa incentivare in qualche modo meccanismi di evasione.
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