Germania, le pagelle della crisi. Da Scholz a Lindner e Merz #finsubito prestito immediato

Olaf Scholz
Quando ormai era tardi, e talvolta quando era sotto pressione, Olaf Scholz ha sfoderato il carattere del politico di razza. Anche cacciando e annullando Lindner, aprendo la via alle elezioni a modo suo. Iperpreparato, freddo (da ministro delle Finanze veniva chiamato Scholzomat, perché era robotico come un bancomat) ha fallito nell’unica dote che non può mancare a un leader: la capacità di connettersi con il proprio popolo. Ha accentrato l’economia, e in sostanza si è comportato come i capi-reparto promossi direttori che pensano ancora di fare il lavoro di prima. In fondo è sempre rimasto vicecancelliere, com’era con Merkel. Autore di frasi sibilline come «Io sono il cancelliere e per questo vale così». Peccato che molta parte del mondo non sapesse come si chiama il cancelliere tedesco. Oltre i demeriti, il fallimento è suo.

Christian Lindner
Ha fallito anche l’uscita di scena, o la chiusa del pezzo. E questo per un leader, e un partito liberale che avevano in un finale con i fuochi d’artificio l’unica chance di riscatto, è imperdonabile. A 45 anni, Christian Lindner era un peso leggero, ma ha voluto a tutti i costi stare alle Finanze. Qui ha subito l’ingerenza e l’esperienza del capo Scholz, a cui non ha saputo rispondere. Si è trincerato nel dogmatismo, nell’austerità ideologica che è agli antipodi dello stile e del credo dei liberali inglesi. E, colpa suprema, per assecondare il partito che precipitava dall’11 al 4 per cento, ha rotto l’unità tedesca a Bruxelles. Ieri ha lasciato con le lacrime agli occhi, mentre Steinmeier gli consegnava il foglio di licenziamento. Forse sentiva anche il peso del partito, che rischia una storica scomparsa.

Robert Habeck
In alcuni momenti, in cui esibiva il carisma di Willy Brandt, la capacità di raggiungere le menti e i cuori, tanti in Germania hanno detto: ecco chi doveva essere il cancelliere. È successo con il discorso sull’antisemitismo, quando il suo video è stato visto in 2 giorni da dieci milioni di persone. O anche all’inizio della guerra in Russia, quando stringendo accordi dalla Norvegia al Qatar sembrava il nuovo Zar dell’energia. Poi qualcosa si è rotto: complice la sfortunata e ideologica «legge sulle pompe di calore», che ha fatto rivoltare il Paese contro i Verdi. E Robert Habeck, che prima di entrar in politica a 35 anni scriveva con successo fiabe per bambini, non ha retto alla prosa d’una quotidianità litigiosa, fatta di compromessi. Due mesi fa ha preso in mano i Verdi, dovrà reinventarli.

Friedrich Merz
È stato il mattatore del governo. Sua l’idea, da capo dell’opposizione, di portare il bilancio del «semaforo» alla Corte Costituzionale, che l’ha bocciato perché non rispettava il «freno al debito», ma lo bypassava con stratagemmi truffaldini. Il governo, senza fondi, ha cominciato a litigare e a morire lì, nell’autunno di un anno fa. Poco empatico, popolare quanto Scholz (cioè pochissimo), Friedrich Merz è però competente, parla un ottimo inglese, è conservatore ma non populista e molto europeista. Dopo un esilio dalla politica durato 15 anni, dopo aver perso ogni set, game e partita contro Angela Merkel, a 68 anni si ritrova ad essere il probabile prossimo cancelliere della Germania. Dopo Trump (da cui lo divide tutto), il più grande comeback della storia recente.

Boris Pistorius
Un nome che piace molto a sinistra. Boris Pistorius, della Spd, alla guida della Difesa, è tuttora il politico più popolare della Germania. Ha compiuto, alla prima prova da ministro, un’impresa: è riuscito a far capire e accettare ai tedeschi la necessità del riarmo. Uomo del Nord, schietto o meglio senza peli sulla lingua (senza fogli davanti alla bocca, dicono i tedeschi), pragmatico e centrista, ha la capacità di parlare in modo semplice, toccando i sentimenti delle persone. Non impeccabile, però, nella gestione del ministero. A lungo si è guardato a lui come al possibile candidato cancelliere Spd, quando alcuni nel partito volevano sostituire Scholz come Biden. Ma il cancelliere ha chiuso ogni spiraglio. Sarà per un’altra volta, forse, se mai giocherà a quel livello.

Alice Weidel e Sahra Wagenknecht
Senza voto, come si diceva una volta nei tabellini delle partite calcistiche. Alice Weidel, leader dell’estrema destra Afd, e Sahra Wagenknecht, capa della sinistra populista che porta il suo nome (Bsw), sono le due stelle emergenti ed estremiste della politica tedesca. Ma in questa legislatura, nel Parlamento (Wagenknecht anche perché ha fondato la Bsw 10 mesi fa) non si sono viste, e non hanno inciso. Si sono radicate nell’Est, ma i loro restano partiti da social, che nella ordinata politica tedesca — vecchio stile quando si tratta di governare — non decidono nulla. E pur viaggiando al 18% (l’Afd) e all’8% (Bsw), a differenza degli altri Paesi, le due formazioni populiste resteranno anche al prossimo giro fuori dai giochi che contano. Regine di numeri.

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