Bart De Wever è il nuovo premier

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Bruxelles – Ci sono voluti quasi otto mesi, ma alla fine anche il Belgio ha un governo in carica. La guida dell’esecutivo federale è stata affidata a Bart De Wever, leader del partito conservator-nazionalista fiammingo Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-Va) che dopo le elezioni dello scorso giugno è il più forte dei cinque membri della coalizione. L’accordo faticosamente raggiunto tra le forze politiche prevede, tra le altre cose, una stretta sull’immigrazione e la rimodulazione di alcune delle generose politiche sociali nazionali.

La coalizione che sostiene il nuovo governo belga sarà dunque composta, oltre ai nazionalisti di destra dell’N-Va (che al Parlamento europeo fanno parte del gruppo dei Conservatori dell’Ecr, ma non sono iscritti al partito), da altri due partiti fiamminghi – i cristiano-democratici del Christen-Democratisch en Vlaams (Cd&V, membro del Ppe) e i socialdemocratici del Vooruit (parte dei Socialisti europei) – e due valloni, i centristi di Les engagés (Le) e i liberal-conservatori del Mouvement réformateur (Mr), entrambi affiliati a Renew. La maggioranza parlamentare detiene 81 seggi sui 150 della Camera dei rappresentanti, l’Aula bassa del legislativo bicamerale belga.

Questa alleanza pentapartitica è stata ribattezzata “Arizona” dai colori dei suoi membri, che ricordano quelli della bandiera dell’omonimo Stato in Nordamerica. Ma la capacità di trovare una posizione di compromesso sui temi più controversi è tutta da verificare, e secondo molti osservatori le difficoltà riscontrate dai negoziatori in fase di trattative non sono affatto di buon auspicio.

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Saldo e stralcio

 

I colloqui per formare il governo erano iniziati all’indomani del voto, celebratosi lo scorso 9 giugno quando gli elettori avevano rinnovato contemporaneamente i propri rappresentanti al Parlamento federale e a quello europeo. Le urne avevano confermato uno slittamento a destra dell’assemblea, con un notevole avanzamento dell’N-Va (primo partito con il 16,7 per cento) e il record storico dei secessionisti fiamminghi del Vlaams belang (Vb), arrivato secondo col 13,8 per cento.

Il 54enne De Wever – che in passato aveva dichiarato di voler “far evaporare” il Belgioera dunque stato incaricato di dare vita ad un esecutivo dal re Philippe, ma prima di vedere la fumata bianca sono passati 234 giorni. Non che una gestazione così lunga sia del resto una novità in Belgio: dopo le elezioni del 2019 ce ne erano voluti 493, mentre il record è stato segnato nel 2010 con 541 giorni di impasse.

Il giuramento di De Wever come primo ministro è avvenuto stamattina (3 febbraio) nelle mani del monarca, dopo che l’accordo era stato finalmente raggiunto nella serata di venerdì (31 gennaio). I negoziatori sono rimasti al tavolo delle trattative per tutta la notte, fino alla mattina di sabato, per limare il programma.

Oltre al primo ministro, che raccoglie il testimone dal liberale fiammingo Alexander De Croo, l’N-Va porta a casa tre dicasteri (quello delle Finanze, la Difesa e la Migrazione); altri quattro li ha ottenuti l’Mr (inclusi i portafogli dell’Economia e degli Interni), mentre Vooruit, Cd&V e Le hanno insediato due ministri ciascuno.

Ogni forza politica ha rivendicato i propri successi nelle negoziazioni e nella definizione dell’agenda di governo, che sulla carta prevede diversi punti chiave. Si va dalla riduzione delle tasse sul lavoro al mantenimento dell’indicizzazione di salari e pensioni all’inflazione (pur con alcuni correttivi rispetto al sistema attuale, come la riduzione dei sussidi di disoccupazione per gli under-55), dagli investimenti sulle rinnovabili (che si accompagneranno a una maggiore tassazione dei combustibili fossili) al potenziamento delle linee ferroviarie.

E poi dall’abolizione del Senato e lo stop del finanziamento statale ai partiti ad una nuova attenzione alla sanità pubblica, dall’introduzione di un “contributo di solidarietà” rivolto alle fasce più abbienti della popolazione (un’imposta del 10 per cento sulle plusvalenze derivanti dalla vendita di azioni) e ad un aumento delle tasse sulle banche fino ad un giro di vite sull’immigrazione irregolare e sui controlli di frontiera, accoppiato ad una procedura accelerata per i rimpatri e da una stretta sui ricongiungimenti familiari.

Del resto, l’inasprimento delle politiche migratorie – così come l’aumento degli investimenti nel settore della difesa, altro punto del programma del nuovo governo – segue un trend che sta interessando l’intero continente in questa fase politica, caratterizzata da un marcato spostamento a destra non solo dell’Eurocamera ma anche dello stesso esecutivo comunitario.

Il che si riflette anche nell’orientamento delle cancellerie rappresentate al Consiglio: il Belgio va ora ad unirsi ad un fronte sempre più numeroso di Stati membri guidati da esecutivi conservatori, cui si aggiungeranno prossimamente anche la Germania (dove il leader della Cdu e probabile prossimo cancelliere Friedrich Merz sta flirtando con l’ultradestra dell’AfD) e l’Austria (a Vienna la destra post-nazista dell’Fpö sarà con ogni probabilità alla guida del governo per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale).

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