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Ho letto con attenzione le riflessioni del Prof. Donato Iacobucci apparse ieri su queste colonne al riguardo del legame tra marchio e creazione del valore ritenendole più che condivisibili. Sostenere che la creazione di valore nelle nostre imprese si stia sempre più concentrando nelle attività a valle della catena, ovvero quelle più vicine al mercato (branding e distribuzione in primis) è cronaca. Tanto più nell’industria del lusso dove il valore percepito di un prodotto è maggiormente correlato alla sua capacità di conferire uno status piuttosto che alle caratteristiche tecniche intrinseche del prodotto stesso.
L’acquirente di una macchina utensile sarà molto più attento alle caratteristiche tecniche ed alle prestazioni del prodotto rispetto al cliente interessato ad una borsa di lusso. Il ragionamento svolto da Iacobucci è a mio avviso corretto anche quando rileva come sia la dimensione aziendale la variabile che influisce maggiormente sugli investimenti in acquisizioni. Questione annosa ed assai dibattuta: il nanismo di gran parte della nostra industria nazionale. Tante meravigliose PMI destinate ad essere acquisite da imprese di maggiori dimensioni perché apparentemente incapaci o solamente non intenzionate a crescere, spesso come conseguenza della scarsa propensione ad aprire il capitale a terzi per il timore di perdere il controllo della governance. Ma quale imprenditore non intenzionato a liquidare il proprio asset è disposto a perdere il controllo dell’azienda pur nella prospettiva di vederla crescere? Il vero problema in Italia è, semmai, l’inefficienza del sistema dei capitali e della legislazione che lo regola. Zuckerberg controlla Meta con circa il 13% del capitale, Bezos controlla Amazon con meno del 9% delle azioni.
Non può peraltro passare inosservata la migrazione delle sedi legali di numerosi campioni dell’industria italiana in Olanda (CNH, Exor, Mediaset, Brembo, Campari per citare solo alcuni dei casi più noti) quasi sempre per un motivo: la possibilità di avere un voto multiplo. La possibilità cioè di coinvolgere investitori nel capitale di una società senza perderne il controllo grazie ad un peso diverso e maggiore delle azioni detenute dal socio che controlla la governance dell’impresa. Questa possibilità , in Italia, è fortemente limitata rispetto a Paesi come Olanda o Stati Uniti. Questo spiega anche perché la Borsa di Milano capitalizza meno di mille miliardi di euro, circa un terzo di singole società come Apple, Microsoft o Nvidia. Un orticello rispetto alle grandi praterie delle maggiori Borse mondiali. Un mercato dal quale tenersi lontano per la maggior parte dei grandi investitori internazionali che cercano liquidità e contesti dove poter operare rapidamente in entrata ed in uscita dai propri investimenti. Un mercato dei capitali più efficiente consentirebbe a tante imprese italiane di finanziare il proprio sviluppo senza che ciò comporti l’obbligo per il socio di controllo di cedere il controllo della governance, coinvolgendo soci finanziari interessati non a gestire ma ad un rendimento adeguato al rischio. E se le imprese strutturate, come visto, vanno alla ricerca di mercati finanziari più efficienti, gli imprenditori a capo di aziende meno organizzate sono spesso costretti a cedere la proprietà a fronte della crescente competizione internazionale.
Si pensi a quanti miei colleghi hanno fatto questa scelta solo perché non in grado di poter liquidare i propri familiari o poter adeguatamente finanziare i propri progetti di crescita. Come membro del Consiglio di Amministrazione di AssoNEXT (Associazione Italiana delle PMI Quotate) sono stato recentemente coinvolto nella presentazione del Fondo Nazionale Strategico Indiretto, promosso da Cassa Depositi e Prestiti con l’obiettivo di rafforzare la patrimonializzazione delle imprese italiane tramite lo sviluppo del mercato dei capitali.
Al riguardo auspico che 1) venga fissata una quota minima di investimento del Fondo in PMI quotate su listini diversi da quelli a maggior capitalizzazione, 2) sia fissata una soglia per l’intervento del Fondo in fase di quotazione (IPO) o di aumento di capitale accessibile ad imprese di minori dimensioni e che 3) i soggetti terzi operatori di mercato (OICR) che affiancheranno il Fondo nella sua operatività vengano selezionati non solo per le loro caratteristiche dimensionali ma anche per la loro esperienza di investimento in imprese medio piccole (Track Record). Solo attraverso il miglioramento del funzionamento del nostro mercato dei capitali potremo finalmente mettere a disposizione delle nostre PMI i capitali per crescere e dar loro un’alternativa alla vendita ai grandi gruppi internazionali.
*Presidente Confindustria Ancona
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