Si scrive America First, si legge Trump First

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Rivolgendosi a una nazione per metà entusiasta e per metà ancora stordita dalla più straordinaria riscossa politica della storia americana, Donald Trump si è dipinto come il salvatore della patria scelto da dio per finalmente trasformare America First, ‘l’America prima di tutto’, da slogan a realtà, e ‘fare l’America di nuovo grande’ (make America great again).

La commistione di politica, ideologia ed escatologia megalomane è particolarmente interessante perché Trump ha legato, come nessun presidente prima di lui, le sorti della nazione alla sua vicenda politica. In questa prospettiva, l’attuazione di America First è indissolubilmente legata al potere personale di Trump stesso. 

L’agenda di governo di America First

Ma procediamo con ordine. L’America First si può raccontare con tante categorie, tutte che finiscono in ‘ismo’. La prima è declinismo, l’idea che l’America sia in una fase di decadenza morale e politica. Non importa che il declino sia immaginario – gli Stati Uniti vengono da quattro anni di crescita sostenuta e disoccupazione ai minimi storici o quasi, e continuano a essere fucina di innovazione tecnologica e godere di indiscussa superiorità militare. Conta intercettare la percezione di un declino dei costumi e stabilire il nesso fra rinascita e leadership di Trump. 

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America First è anche nativismo, l’unificazione di nazione e confini, questi ultimi costruiti come mura a protezione degli americani dal crimine e la corruzione che l’immigrazione, tanto più quella irregolare, porta con sé. Sul confine Trump ha costruito la sua fortuna politica, e non sorprende quindi che il giorno stesso dell’inaugurazione abbia promesso di mandare le truppe al confine, deportare milioni di irregolari, espellere stranieri di paesi considerati nemici ricorrendo a una dimenticata legge del 1798 (l’Alien Enemies Act), e abolito per decreto lo ius solis per i bambini nati da genitori stranieri nonostante sia iscritto nella Costituzione

Al nativismo è collegato il nazionalismo cristiano, imperniato sulla convinzione che l’opera dello stato debba riflettere il nesso indissolubile fra nazione americana e religione cristiana. Di qui il riconoscimento ufficiale di due generi (contro la teoria che ne fa un costrutto sociale), peraltro diffuso ben oltre l’elettorato cristiano, e gli attacchi al sistema di istruzione che insegnerebbe agli studenti a “odiare il loro paese” per aver inserito nei programmi scolastici una rivisitazione critica di alcune fasi della storia americana come l’espropriazione dei nativi e lo schiavismo. 

Nel nazionalismo cristiano si iscrive la riesumazione da parte del ‘Destino Manifesto’ (Manifest Destiny), lo slogan con cui nell’Ottocento l’espansione ai danni delle tribù native (ma anche a Cuba e alle Filippine) veniva giustificata come realizzazione di un disegno divino. Seppur limitato al Canale di Panama (per ora), l’espansionismo torna in un programma di governo dopo oltre un secolo. 

In politica estera, America First è un misto di protezionismo e unilateralismo, conditi da una dose di cinismo non interventista. Il mondo, per Trump, è un’arena in cui patti sempre transeunti fra potenze sostituiscono i regimi multilaterali (come l’Accordo di Parigi o l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, da cui ha subito ritirato gli Stati Uniti) e le alleanze (inclusa la Nato) sono ridotte a clientele. I dazi sono in questo senso non tanto uno strumento a difesa dell’industria domestica quanto una leva per disciplinare i clienti e competere coi forti. America First vuole dire affermare il primato degli Stati Uniti senza che questo comporti oneri diplomatici e militari, da cui discende la ricerca di un equilibrio fra potenze senza grande riguardo per il diritto internazionale e gli Stati presi in mezzo.

Anche l’oligopolismo non è in contraddizione con America First se vuol dire assicurare agli Stati Uniti un vantaggio incolmabile nello sviluppo di tecnologie d’avanguardia. Così si spiega l’allineamento e in alcuni casi la genuflessione a Trump dei vari Elon Musk (SpaceX, Starlink, X, Tesla) Mark Zuckerberg (Meta), Jeff Bezos (Amazon), Peter Thiel (Palantir) e molti altri. I grandi capitani d’industria high tech si aspettano l’abbattimento delle tasse e il massimo livello di deregolamentazione, peraltro da perseguire anche in regimi fiscali e regolamentari esteri (come quelli europei). In cambio, Trump si aspetta soprattutto una cosa: lealtà, a partire dalla rimozione di ogni strumento di moderazione dei contenuti e fact-checking sui social media. E qui finalmente arriviamo all’agenda personale che si cela dietro America First e che costituisce la maggiore novità rispetto al primo mandato di Trump.

L’agenda personale di America First

A differenza del 2017, quando fu catapultato alla Casa Bianca con sorpresa generale (anche la sua), questa volta Trump si presenta con una macchina organizzativa strutturata, in parte definita dal think tank ultraconservatore Heritage Foundation nel rapporto Project 2025

Convinto che la burocrazia federale e l’establishment repubblicano lo abbiano ostacolato nel primo mandato, Trump ha fatto dell’assoluta lealtà il criterio principale per le nomine in posizione chiave dell’amministrazione. In particolare, Trump mira a piegare quello che dispregiativamente chiama lo ‘stato profondo’ (deep state) – militari, intelligence, magistratura inquirente e agenzie investigative – affidandone la guida a fedelissimi, anche con posizioni politiche controverse o senza qualifiche adeguate. Questo spiega, fra l’altro, la nomina di un conduttore della Fox e guerriero anti-woke alla guida del Pentagono (Pete Hegseth), un’ex Democratica con simpatie filo-russe a capo dell’intelligence (Tulsi Gabbard) e un cospirazionista dichiarato alla direzione dell’Fbi (Kash Patel). 

Non è un caso che, fra i suoi primi ordini esecutivi ce ne sia uno che richiede un rapporto sull’uso del governo come arma politica (weaponisation of government) da parte dell’Amministrazione Biden – naturalmente senza prove. Utilizzando un oscuro dispositivo giuridico noto come Schedule F, Trump potrà sostituire funzionari amministrativi sgraditi con lealisti.

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Tutto questo solleva preoccupazioni che la macchina statale sarà usata – questa volta per davvero – per perseguitare avversari politici e intimidire la stampa critica. Non sarà necessario passare per incriminazioni o censure. Inchieste amministrative, audit fiscali, ritiro delle licenze o campagne d’odio sulle piattaforme social non più moderate potrebbero essere più che sufficienti, dati i costi legali e la pressione psicologica sofferta dai bersagli di queste iniziative. In questo senso, America First è caratterizzata da una forma soft di autoritarismo.

La più clamorosa delle decisioni prese da Trump il giorno dell’inaugurazione è la grazia o commutazione di pena per chi era stato condannato per aver assaltato il Campidoglio il 6 gennaio 2021. Agli occhi del presidente, questi eversori hanno commesso il supremo atto di lealtà: mettere Trump al di sopra della legge e dell’ordine costituzionale. Perché America First vuol dire, prima di tutto, Trump first.



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