Dazi, la Ue tra cautela e fermezza. Linea dura di Macron e Scholz

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BRUXELLES L’Europa si barrica in difesa per resistere al ciclone Donald Trump. E il “ritiro” informale tra i leader di ieri a Bruxelles, nato con il proposito di “fare spogliatoio” e coordinare le posizioni tra i 27 sulla sicurezza (militare) del continente, finisce per essere messo in ombra dai possibili dazi americani con cui l’amministrazione repubblicana minaccia di accendere una guerra commerciale con l’alleato europeo. «L’applicazione di dazi danneggerebbe tutti, tanto loro quanto noi», è il mantra razionale e diplomatico che mette d’accordo i capi di Stato e di governo dell’Ue durante i lavori nel Palais d’Egmont del centro della capitale belga, prima occasione per un confronto aperto dopo l’insediamento del tycoon. E mentre, da Washington, il Telegraph riportava che la Casa Bianca sarebbe vicina all’applicazione di un prelievo universale del 10% sull’export europeo dopo aver già colpito Messico (misura sospesa per un mese) e Canada, a Bruxelles prevalevano cautela e fermezza nella risposta. «Non ci sono vincitori in una guerra dei dazi; a ridersela sarebbe la Cina», ha messo in guardia Kaja Kallas, capa della diplomazia Ue: «Siamo strettamente interconnessi. Abbiamo bisogno dell’America, e anche l’America ha bisogno di noi. L’imposizione di dazi aumenta i costi, non è favorevole né per i costi né per i consumatori».

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IL FRONTE FRANCO-TEDESCO

Ma sono state Parigi e Berlino a ritrovare la tradizionale sintonia franco-tedesca e a dimostrare di non voler indietreggiare davanti alle rivendicazioni di Trump, che recrimina all’Ue di avvantaggiarsi negli scambi con gli Usa, alla luce di un surplus commerciale di oltre 156 miliardi di euro (nei servizi è in positivo Washington di 104 miliardi). «Sia gli Stati Uniti sia l’Europa traggono vantaggio dallo scambio di beni e servizi. Se i dazi rendessero tutto questo difficile, ne risentirebbero negativamente entrambi», ha premesso il cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz, prima di passare al contrattacco: «Una cosa, però, è chiara. In quanto area economica forte, possiamo gestire autonomamente i nostri affari e rispondere ai dazi con altri dazi. È ciò che dobbiamo fare e lo faremo». Sulla stessa linea il presidente francese Emmanuel Macron: «Se sarà attaccata» da un punto di vista commerciale, «l’Europa dovrà farsi rispettare e reagire». Anzi, per l’inquilino dell’Eliseo l’offensiva americana potrebbe avere un pregio: «Portarci a essere uniti e più concreti». Proprio il mantenimento dell’unità a 27 (e pure oltre, vista la partecipazione del premier britannico Keir Starmer, per la prima volta dalla Brexit) era uno dei principali obiettivi del “ritiro” informale voluto dal presidente del Consiglio europeo António Costa, determinato a evitare la trappola delle divisioni e dei negoziati bilaterali con Washington che finirebbero per avvantaggiare il tycoon. A rompere il coro è il solito Viktor Orbán, il premier ungherese di rito trumpiano e putiniano che su Facebook ha parlato di «tornado Trump che si è abbattuto su Bruxelles e ha messo tutto sottosopra. Qui a Bruxelles regala il caos più totale; abbiamo bisogno di un cambiamento». Il polacco Donald Tusk, “l’altro Donald” che fino a fine giugno ha la presidenza di turno semestrale del Consiglio Ue ha giocato la carta programmatica, pur evidenziando il «crudele paradosso» di minacce commerciali che arrivano da un tradizionale alleato quale gli Stati Uniti: «Dobbiamo evitare a tutti i costi un’inutile e sciocca guerra commerciale».

LA STRATEGIA

Che per il premier di Varsavia significa anche aumentare gli acquisti di beni dagli Usa per ridimensionare il surplus commerciale, senza finire per legarsi mani e piedi al “Buy European”, cioè al proposito di privilegiare negli appalti pubblici solo prodotti fabbricati in Europa. «Sono convinto che possiamo gestire la situazione, ci sono sempre questioni tra alleati, grandi o piccole», ha provato a minimizzare gli attriti il segretario generale della Nato Mark Rutte, veterano dei consessi Ue a cui ha partecipato per 14 anni come premier olandese. E una «soluzione» s’è detta disposta a trovarla – pur escludendo ogni cessione di sovranità – pure la premier danese Mette Frederiksen, a proposito della Groenlandia, territorio autonomo della Danimarca, che è finito al centro delle mire espansionistiche di Trump, rilanciate ieri dal vicepresidente Usa JD Vance. «Sono d’accordo con gli americani sul fatto che l’estremo nord e la regione artica stanno diventando sempre più importanti», ha detto: è possibile «trovare un modo per garantire sicurezza e deterrenza. Siamo disposti a farlo noi e anche la Nato».

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