Il caso Elmasry, il rovescio dell’interesse nazionale

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Al netto degli attacchi alla magistratura, le dichiarazioni del governo e degli opinionisti di destra sul caso Elmasry ruotano intorno a un unico messaggio: rilasciare l’aguzzino libico e riportarlo a casa con tutti gli onori è stato fatto «nell’interesse della nazione».

A quanto pare il messaggio funziona e convince una parte non irrilevante dell’opinione pubblica, invocando due assunti di apparente realismo politico.

Primo: decidere chi possa entrare e chi meno nel proprio territorio è una prerogativa cui nessuna nazione può rinunciare, se non vuol perdere del tutto la propria sovranità. Secondo: in casi di emergenza, il controllo dei flussi migratori può richiedere il pugno di ferro, giustificando anche il ricorso a gruppi criminali che, su nostro ordine e con i nostri soldi, compiono orrori di cui nessuna nazione civile vuol sentirsi responsabile ma dei quali, purtroppo, nessuna nazione ha mai potuto fare a meno per difendere la propria civiltà.

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I due assunti sollevano una quantità di dubbi già sul piano generale ma, nel caso specifico, trascurano un dettaglio macroscopico: che Elmasry e gli altri trafficanti di esseri umani non sono né servitori né alleati della nostra nazione. Prendono di sicuro i nostri soldi, ma è una pietosa finzione che prendano ordini da noi o che agiscano nel nostro interesse.

Nei centri di detenzione libici, i migranti vengono regolarmente torturati non per dissuaderli dal varcare i sacri confini europei ma per costringere le famiglie a versare migliaia di euro, nella speranza di vederli alla fine imbarcati su una delle carrette del mare dirette a Lampedusa.

I trafficanti insomma aprono e chiudono il rubinetto delle migrazioni a loro arbitrio, sommando i soldi estorti alle famiglie a quelli versati sull’unghia dall’Italia e dall’Europa. Ammesso perciò che qualcuno stia davvero governando i flussi migratori, sono i gruppi criminali a farlo – nel loro esclusivo interesse – e non certo le nazioni che ne subiscono il ricatto.

Con buona pace dei nostalgici, l’epoca in cui una nazione come l’Italia poteva imporre il suo interesse sovrano a un paese africano sei volte più grande è passata da un pezzo. E ad aggravare i danni contribuisce la rivalità fra le nazioni europee, incapaci di promuovere un’azione congiunta e di contendere a Russia e Turchia la posizione di forza sul piano militare e diplomatico.

Per tenere in piedi i loro interessi in Libia, oggi l’Eni e il governo italiano devono mendicare la benevolenza di tutte le fazioni armate del paese, rendendosi di fatto ricattabili a tal punto da dover offrire ai ricattatori ogni sorta di benefit, incluso il rientro a casa su un volo di stato. Pretendere su queste basi di governare un fenomeno di portata intercontinentale come le migrazioni è pura propaganda.

Il che non toglie, ovviamente, che occorra cercare una via per sottrarsi ai ricatti. Non solo e non tanto nell’interesse della nazione, ma per mettere fine alla mostruosità che permette oggi ai gruppi criminali di lucrare sulle sofferenze di migliaia di persone, con la sistematica complicità dei governi europei. Il punto è intendersi su cosa voglia dire, realisticamente, adottare misure di governo su fenomeni di tale portata.

Sappiamo tutti che la causa principale delle migrazioni è il divario mostruoso tra l’Europa e l’Africa nell’accesso alle risorse e al reddito. «Governare» uno squilibrio così esplosivo può avere due significati opposti: difendere con ogni mezzo il proprio privilegio o, al contrario, tessere una tela di relazioni cooperative perché gli squilibri si attenuino in misura graduale e tollerabile, a vantaggio della stabilità dell’intera area.

Tra le due opzioni non ci sono vie di mezzo. L’America di Trump, per esempio, sta imboccando senza esitazioni la prima strada. È una scelta arrogante che, a lungo andare, potrebbe anche risolversi in un completo fallimento. Almeno però sui tempi brevi, l’America first può giovarsi dell’innegabile supremazia militare e finanziaria di una superpotenza.

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Non disponendo delle stesse armi, l’Europa non ha in effetti altra strada che la seconda opzione. Sarebbe quindi nel suo interesse rafforzare innanzitutto la cooperazione tra i paesi membri dell’Unione, per accrescerne il peso politico e negoziale. E decidersi a riconoscere che le migrazioni si ridurranno solo il giorno in cui sarà possibile aspirare a una vita decente anche rimanendo a casa propria, senza doversi avventurare in mare.

I nostri alleati naturali dovrebbero essere perciò le forze che, nei singoli paesi africani, cercano realmente di creare condizioni di vita e di sviluppo più libere ed eque, anche se questo volesse dire calmierare gli interessi predatori delle aziende straniere.

L’agenda delle nuove destre prevede invece l’esatto opposto: disintegrare l’unione europea e armare criminali e dittatori perché mantengano le popolazioni nel terrore. Una ricetta sicura per accelerare il declino dell’Europa, alimentando la vergogna della sua stessa società civile e il disprezzo dei popoli che la circondano. E tutto questo, in nome dell’interesse nazionale.



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