Internazionale: le banche e il rispetto dei diritti umani

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Il Global Human Rights Benchmark 2024 di BankTrack valuta 50 delle maggiori banche mondiali in base alle loro politiche e pratiche sui diritti umani, utilizzando 21 criteri ispirati ai Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani.

L’analisi copre quattro aspetti fondamentali:

  • Impegno politico: quanto le banche riconoscono ufficialmente la loro responsabilità nel rispettare i diritti umani.
  • Due diligence: il processo di identificazione, prevenzione e mitigazione dei rischi legati ai diritti umani nelle attività finanziate. In altre parole, se una banca presta denaro a un’azienda, deve valutare gli impatti sociali e ambientali di tale operazione.
  • Trasparenza: la pubblicazione di informazioni dettagliate sulle attività finanziarie e i relativi impatti sui diritti umani.
  • Accesso ai rimedi: la possibilità per le persone colpite da violazioni dei diritti umani di ottenere giustizia attraverso meccanismi bancari o istituzionali.

Per la prima volta, il rapporto introduce nuovi indicatori specifici, tra cui:

Microcredito

per le aziende

 

Tutela dei difensori dei diritti umani: protezione per attivisti e comunità locali che si oppongono a progetti dannosi.

Consenso libero, preventivo e informato (FPIC): il diritto delle popolazioni indigene a decidere autonomamente se accettare o rifiutare progetti che impattano il loro territorio.

Diritto a un ambiente sano: valutazione di come le banche contribuiscano (o meno) a proteggere l’ambiente e il benessere delle comunità.

Le banche non rispettano i diritti umani: i dati del rapporto BankTrack 2024

Il quadro che emerge è preoccupante:

🔴 Tre quarti delle banche analizzate non rispettano la metà degli standard sui diritti umani. Questo significa che molte banche non adottano nemmeno le misure di base per prevenire violazioni.

🔴 Banche italiane sotto la media: Intesa Sanpaolo e UniCredit registrano punteggi insufficienti, senza miglioramenti significativi rispetto agli anni precedenti.

Le banche e i finanziamenti ai settori più controversi

Le principali banche europee continuano a finanziare industrie ad alto impatto sociale e ambientale:

💰 Combustibili fossili: petrolio, gas e carbone sono tra i principali responsabili del riscaldamento globale, eppure ricevono ancora miliardi di dollari in investimenti.

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💣 Industria bellica: molte banche finanziano la produzione di armi, incluse quelle esportate in paesi coinvolti in conflitti e violazioni dei diritti umani.

🏗️ Progetti con impatti devastanti sulle comunità locali: grandi infrastrutture come dighe, miniere e oleodotti spesso causano espropri di terre e danni ambientali irreversibili.

Dal 2016 al 2022, le banche UE hanno erogato 327,15 miliardi di dollari a questi settori:

  • 239,63 miliardi di dollari per il fossile.
  • 87,42 miliardi di dollari per l’agroindustria nel Sud globale, spesso legata a deforestazione e sfruttamento del lavoro.
  • Solo 11,26 miliardi di dollari (meno di un quarto) per mitigare la crisi climatica.

Le banche che finanziano la crisi climatica

Ecco la classifica delle banche europee con il maggior coinvolgimento nel finanziamento delle energie fossili:

1️⃣ BNP Paribas – 49,55 miliardi di dollari.

2️⃣ Société Générale – 41,7 miliardi.

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3️⃣ Crédit Agricole – 37,57 miliardi.

4️⃣ ING Group – 21,14 miliardi.

5️⃣ UniCredit – 18,40 miliardi.

6️⃣ Intesa Sanpaolo – 11,95 miliardi.

Nel frattempo, nel mondo proliferano le “carbon bombs”, ovvero progetti di estrazione di gas, petrolio e carbone che, se portati a termine, rilascerebbero oltre 1 miliardo di tonnellate di CO₂ – tre volte le emissioni annue dell’Italia.

📌 Deutsche Bank finanzia ben 83 di questi progetti.

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📌 BNP Paribas supporta 59 iniziative.

ENI: il campione italiano del fossile

Il rapporto evidenzia il ruolo centrale di ENI, la società energetica controllata dallo Stato italiano, nel perpetuare la dipendenza dai combustibili fossili.

🛢️ Dal 2016 al 2022, ENI ha ricevuto:

  • 4,01 miliardi di dollari da UniCredit.
  • 3,45 miliardi di dollari da Intesa Sanpaolo.
  • 3,19 miliardi di dollari da BNP Paribas.
  • 3,03 miliardi di dollari da Crédit Agricole.

Nonostante le dichiarazioni sulla neutralità carbonica entro il 2050, ENI continua a investire massicciamente in petrolio e gas, soprattutto in Africa (Egitto, Mozambico, Angola e Libia).

Conclusioni: stop ai finanziamenti fossili

Per rispettare l’Accordo di Parigi e limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, è essenziale:

Lasciare sottoterra almeno il 60% di gas e petrolio e il 90% del carbone. Se estratti, questi combustibili renderebbero impossibile raggiungere gli obiettivi climatici.

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Ridurre drasticamente le emissioni globali, frenando la dipendenza da fonti fossili e incentivando le rinnovabili.

Bloccare il finanziamento delle banche ai combustibili fossili, poiché senza investimenti il settore fossile perderebbe la capacità di espandersi.

Finché le banche e i governi continueranno a sostenere economicamente l’industria fossile, la transizione ecologica resterà solo un’illusione.

Industria della Difesa e Banche nei Conflitti Globali: Impatti, Investimenti e Profitti

Come l’industria bellica e il settore finanziario influenzano le guerre nel mondo

L’industria della difesa e gli interessi finanziari giocano un ruolo cruciale nei conflitti globali. Un esempio evidente è la guerra in Medio Oriente, con particolare attenzione alla crisi umanitaria di Gaza. Dal 7 ottobre 2023, quando il conflitto è esploso, i mercati finanziari hanno subito scossoni significativi: mentre le borse mondiali crollavano, le azioni delle aziende produttrici di armi registravano aumenti vertiginosi.

Questo fenomeno non è nuovo: già nel 2022, con l’escalation della guerra tra Russia e Ucraina, si era osservato un simile andamento. I principali beneficiari di questa crescita sono stati colossi del settore come Lockheed Martin, Northrop Grumman e Leonardo, quest’ultima con un incremento del 40% nel valore delle azioni in soli sei mesi (da 13 euro il 6 ottobre 2023 a 17,3 euro nel gennaio 2024). Leonardo, inoltre, controlla un’importante società americana fusa con l’israeliana Rada, della quale detiene l’80% del capitale.

Il ruolo delle banche nei conflitti: finanziamenti e investimenti

Parallelamente, le banche e gli istituti finanziari traggono profitti dagli investimenti nel settore bellico. Morgan Stanley e TD Bank hanno visto crescere il valore dei loro investimenti nel comparto della difesa del 7% nello stesso periodo. Questo meccanismo evidenzia il complesso militare-industriale-finanziario, in cui il capitale bancario sostiene l’industria della difesa attraverso prestiti, obbligazioni e acquisizioni azionarie.

Secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), nel 2022 le prime cinque aziende del settore difesa erano statunitensi, seguite da imprese britanniche, russe, cinesi ed europee, tra cui Leonardo, che destina l’83% del proprio bilancio al settore militare.

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Saldo e stralcio

 

Un rapporto dell’ONG Facing Finance, intitolato “Dirty Profits”, ha rivelato che dieci banche europee hanno finanziato l’industria bellica con 24,2 miliardi di euro tra il 2016 e il 2018. Tra queste, spiccano:

  • Lloyds Bank e UniCredit, con prestiti per 4,1 miliardi di euro ciascuna
  • Crédit Agricole e Deutsche Bank, tra i principali investitori nel settore bellico

Conseguenze geopolitiche e responsabilità sociale

Le banche non si limitano a investire, ma assumono anche ruoli attivi nei Consigli di Amministrazione delle aziende belliche, alimentando un circolo vizioso tra finanza e guerra. Questo sistema contribuisce all’escalation dei conflitti e alle violazioni dei diritti umani, destabilizzando intere aree geopolitiche.

La crisi climatica e l’aumento dei conflitti armati richiedono scelte responsabili da parte di governi, istituti finanziari e aziende. È necessario disinvestire dai settori che alimentano guerre e distruzione ambientale, orientando il capitale verso un’economia sostenibile e pacifica.

Se le banche continueranno a ignorare la loro responsabilità sociale, anche i lavoratori potrebbero subirne le conseguenze, poiché un sistema finanziario che privilegia il profitto a discapito dei diritti umani e ambientali alimenta instabilità economica e sociale. Il sindacato ha quindi il compito di ampliare la sua azione, vigilando affinché le politiche bancarie non contribuiscano a sfruttamento e violazioni dei diritti fondamentali.





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