Confisca dei beni utilizzati per commettere i reati societari: depositata la sentenza della Corte costituzionale (n. 7/2025)

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Corte Costituzionale, 4 febbraio 2025, sentenza n. 7
Presidente Amoroso, Relatore Viganò

Come avevamo anticipato, la Corte di cassazione – nell’ambito del processo Banca Popolare di Vicenza – aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2641, primo e secondo comma, cod. civ., nella parte in cui assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato, in relazione agli articoli 3, 27, primo e terzo comma, 42 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, nonché agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento agli articoli 17 e 49, par. 3, CDFUE.

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Con la sentenza n. 7 del 2025, la Corte costituzionale ha ritenuto la questione fondata e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato nonché,  in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, primo comma, cod. civ., limitatamente alle parole «e dei beni utilizzati per commetterlo».


Pubblichiamo, di seguito, il testo del comunicato stampa della Corte costituzionale:

Reati societari: sproporzionata la confisca obbligatoria dei beni utilizzati per commettere il reato
L’obbligo di disporre la confisca di tutti beni utilizzati per commettere un reato societario, anche nella forma della confisca di beni di valore equivalente, può condurre a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati, ed è pertanto incompatibile con la Costituzione.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza numero 7, depositata oggi, con la quale ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’articolo 2641, primo e secondo comma, del codice civile, che prevedeva questo obbligo.
La questione è stata sottoposta alla Corte costituzionale dalla Corte di cassazione nell’ambito del processo relativo alla crisi della Banca popolare di Vicenza.
In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto, a carico di quattro imputati, la confisca dell’importo di 963 milioni di euro, ritenuto corrispondente alle somme di denaro utilizzate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea, dei quali gli imputati erano stati ritenuti responsabili. In particolare, il Tribunale aveva calcolato l’importo da confiscare sommando tutti i finanziamenti concessi a terzi dalla Banca popolare affinché acquistassero azioni della stessa Banca, senza poi dichiarare tali finanziamenti secondo le modalità previste dalla legge.
In secondo grado, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato in parte la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Il Procuratore generale aveva quindi proposto ricorso alla Corte di cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avesse erroneamente disapplicato l’articolo 2641 del codice civile, che impone al giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere, tra gli altri, i reati di aggiotaggio e di ostacolo alle funzioni di vigilanza, o comunque beni o somme di valore equivalente.
La Corte di cassazione, condividendo i dubbi della Corte d’appello circa la possibile sproporzione di una confisca di quasi un miliardo di euro a carico di quattro persone fisiche, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo 2641 del codice civile, ritenendo necessario l’intervento della Corte costituzionale per statuire definitivamente sulla compatibilità o incompatibilità della norma con i principi costituzionali e, al tempo stesso, con i diritti stabiliti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
La Corte costituzionale ha, anzitutto, osservato che la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato ha natura di vera e propria pena di carattere patrimoniale, che – in quanto tale – deve rispettare il principio di proporzionalità. Questo principio vieta, in particolare, che le pene patrimoniali risultino sproporzionate rispetto alle condizioni economiche dell’interessato, e in ogni caso alla sua capacità di far fronte al pagamento richiesto. Una legge che, come l’articolo 2641 del codice civile, impone in ogni caso di confiscare agli autori del reato l’intero importo corrispondente ai beni utilizzati per commettere un reato, anche quando i beni appartenevano ad una società, è strutturalmente suscettibile di produrre risultati sanzionatori sproporzionati, perché non consente al giudice di adeguare l’importo alle reali capacità economiche e patrimoniali delle singole persone fisiche colpite dalla confisca.
La norma è stata così dichiarata parzialmente incostituzionale. Spetterà al legislatore valutare se introdurre una nuova disciplina della confisca dei beni strumentali e delle somme di valore equivalente, nei limiti consentiti dal principio di proporzionalità, così come previsto in altri sistemi giuridici e nella stessa legislazione dell’Unione europea.
Resta invece in vigore l’obbligo di confiscare integralmente i profitti ricavati dal reato, in forma diretta e per equivalente, a carico di qualunque persona – fisica o giuridica – che risulti effettivamente avere conseguito le utilità derivanti dal reato.
Resta ferma, inoltre, la facoltà per il giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere il reato prevista in via generale dell’articolo 240 del codice penale, nel rispetto del principio di proporzionalità.
Roma, 4 febbraio 2025



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