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È stata pubblicata poche settimane fa l’edizione cartacea del 2024 (in due versioni: sintetica ed estesa) del rapporto Minicifre della Cultura. Minicifre è l’esito di un progetto promosso dal Ministero della Cultura, e curato dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali e dalla Fondazione Scuola dei Beni e Attività Culturali. Le pubblicazioni sono disponibili anche in formato digitale, e il progetto alimenta un portale navigabile, interrogabile e con elaborazioni scaricabili. Le Minicifre, che in questa nuova veste sono state diffuse a partire dal 2023, rappresentano per molti versi la ripresa della meritoria pubblicazione, dallo stesso nome, che l’allora Ministero dei Beni e delle attività culturali aveva prodotto dal 2009 al 2015.
Allora, e ancor più oggi, Minicifre risponde all’esigenza, espressa da più parti, di disporre di una raccolta sistematica di dati e statistiche sul mondo della cultura in Italia per osservarne l’andamento e le trasformazioni. I temi trattati comprendono la domanda, l’offerta e politiche culturali. Il sistema si articola in otto ambiti/raggruppamenti tematici: Patrimonio culturale, Biblioteche e archivi, Arti plastiche e visive, architettura contemporanea e design, Editoria e stampa, Spettacolo, Formazione e occupazione in cultura, Risorse economiche per la cultura, Benessere, salute e cultura. La realizzazione dell’edizione 2024 del progetto si è avvalsa per il Ministero della Cultura – Direzione Generale Educazione, ricerca e istituti culturali di Elisabetta Borgia e Silvia Rossi, per la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali della responsabile Area Ricerca Alessandra Ferrighi, per le società CLES srl e PTS Spa, che hanno raccolto ed elaborato i dati, rispettivamente di Alessandro Leon e Angela Tibaldi, e dei ricercatori delle due organizzazioni e quali referenti scientifici, degli scriventi Annalisa Cicerchia e Antonio Taormina. Rimandiamo alla lettura del rapporto (disponibile in open access) per gli opportuni approfondimenti; nelle righe che seguono proponiamo note e riflessioni su alcuni dei temi principali affrontati nel rapporto.
I SETTORI CULTURALI E LA LORO RAPPRESENTAZIONE STATISTICA
La rappresentazione statistica dei settori culturali è complessa per numerose ragioni, alcune delle quali sono proprie della specificità del contesto italiano.
Dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, nel mondo, si lavora alla perimetrazione statistica degli ambiti culturali, che vuol dire rispondere a un quesito molto pratico: che cosa va incluso, quindi misurato, e che cosa non va incluso.
Le prime strutture concettuali di riferimento delle statistiche della cultura erano ispirate da un modello di economia e di società tipicamente fordista, ripartito rigidamente fra le attività, le risorse, la spesa, i prodotti, i processi, i servizi legati al mondo del lavoro e della produzione e quelli legati al tempo libero, alla ricreazione e alle vacanze. Per questo motivo, a lungo quelle statistiche sono state associate e a volte aggregate in modo indistinguibile a quelle relative allo sport, al turismo, e perfino al culto. Di questo accorpamento si trova ancora qualche traccia, ogni tanto, come per esempio nella configurazione dei dati sulla spesa, per esempio quella delle amministrazioni regionali o quella delle famiglie (la voce complessiva “servizi culturali” comprende, sorprendentemente, anche le lotterie e le scommesse!!!).
Negli anni Novanta, con la nuova stagione della Economia della cultura, lo sviluppo teorico della disciplina ha fatto da base a sensibilità diverse e a una domanda nuova ed evoluta di descrizione statistica di fenomeni pienamente economici: la produzione e il consumo di beni e di servizi culturali, gli investimenti, le imprese, l’occupazione, e così via. Le sperimentazioni hanno messo in luce che i fenomeni culturali presentano specificità e qualità atipiche, legate alla loro inscindibile componente intangibile, valoriale e simbolica, ma che questo non ne impedisce il trattamento statistico, almeno fino a un certo livello di analisi.
Le difficoltà di misurazione, per contro, non mancano.
A volte, a fronte di una definizione concettuale chiara e operativa – per esempio, quella delle diverse categorie di beni culturali (storico-artistici, architettonici, archeologici, demoantropologici, mobili e immobili, ecc.), la quantificazione è resa ardua in pratica dalla numerosità elevatissima degli oggetti: quanti beni culturali ci sono in Italia? La penosa e ridicola frottola della percentuale (a volte 70, a volte 80…) della quota italiana di beni culturali del mondo è ridicola proprio perché nessuno ha mai completato il conteggio finale, né dei beni italiani, né di quelli mondiali.
A volte, invece, la quantificazione è resa difficile dalla mancanza di adeguati passaggi definitori e operazionali dei concetti che descrivono i fenomeni da misurare, come accade per i beni culturali intangibili, sui quali, non di meno, sono state avviate misure di salvaguardia, promozione e valorizzazione, sia in Italia, sia in ambito internazionale.
Il campo culturale è straordinariamente complesso, e abbraccia le dimensioni delle istituzioni pubbliche, le organizzazioni private con finalità di lucro e quelle prive di scopo di lucro; mette insieme fenomeni organizzativi di grandissime dimensioni, come accade per i giganti industriali della musica, del cinema, dell’editoria, o della televisione, e imprese individuali, come sono spesso gli studi di architettura, o quelli di pittori, scultori, decoratori, restauratori, ecc. Ha una interessante base materiale e tangibile, come è per le opere d’arte visive, per l’architettura, o il design; e, nello stesso tempo, si esprime nell’intangibilità della musica, della poesia, della narrativa, dell’espressione teatrale, e così via. E a tutto questo, la rivoluzione digitale ha impresso uno sviluppo di cui siamo appena agli esordi, con nuovi contenuti, nuovi media, nuove modalità – ibride – di produzione e di fruizione.
Non meno articolato e complicato è il quadro delle politiche, e in questo l’Italia ha un proprio profilo, distinto rispetto a quello di altri paesi europei. Dalla riforma del Titolo V, molte competenze sulla cultura sono infatti in capo alle amministrazioni regionali, che le hanno interpretate con un grado notevole di diversità (in alcuni casi, non c’è nemmeno un assessorato alla cultura; in altri casi, la materia culturale è trattata, ora insieme allo sport, ora al turismo, ora alle politiche giovanili, ecc.).
Le ingenti risorse aggiuntive comunitarie pervenute soprattutto dalla metà degli anni Novanta e fino al 2013 alle Regioni per interventi sulla cultura, su capitoli come quelli della coesione e dello sviluppo hanno avuto un impatto importante e, se si rileggono i programmi operativi dei diversi cicli di programmazione, si rimane colpiti dalla povertà di indicatori statistici utilizzati per la cultura: quasi sempre, solo “numero di ingressi nei musei statali” (che in alcune regioni non ci sono affatto).
Le diverse storie delle politiche culturali regionali (e comunitarie) e statali si sono tradotte in effetti diretti, tanto sulla domanda, quanto sulla produzione di dati specifici. Per quanto riguarda l’Amministrazione centrale, dalla sua fondazione a metà degli anni Settanta, il Ministero, come del resto mostra l’articolazione interna delle risorse e della spesa, anche nel tempo, ha dato priorità quasi esclusiva al patrimonio culturale (tangibile), per attività innanzitutto di tutela e di conservazione, e in seguito anche di valorizzazione. Non bisogna dimenticare peraltro che settori chiave (come l’editoria e la stampa, la radio e la televisione) sono presidiati da altri dicasteri, compresi la Presidenza del Consiglio, gli Esteri, l’Interno, Imprese e Made in Italy, Istruzione, ecc. Solo con il governo Draghi, per inciso, la denominazione del Ministero è divenuta “della Cultura”.
Le politiche culturali richiedono sempre di più una base di dati affidabili e aggiornati e, a loro volta, sono generatrici di dati di natura amministrativa che, una volta adeguatamente armonizzati, sono ormai considerati una fonte importante dell’informazione statistica.
I lettori avranno modo di apprezzare direttamente come questa complessità di lungo periodo e a più dimensioni sia stata recepita dalle Minicifre e, per quanto possibile, rispecchiata nella lettura statistica dei fenomeni culturali in Italia.
I RAPPORTI CON IL TERRITORIO
Il progetto Minicifre si inserisce in un più ampio contesto di attività di ricerca e monitoraggio sugli andamenti e le trasformazioni del settore culturale e creativo che ricomprende sia realtà nazionali sia territoriali. Rappresenta in tale ambito un punto di riferimento importante in quanto fornisce dati attendibili, accurati, aggiornati, coerenti e condivisibili.
Nel rapporto del 2024, dedica particolare spazio, in diversi dei domini che affronta, a statistiche e analisi riguardanti le Regioni italiane. 14 di queste, tramite leggi di settore o altri provvedimenti, hanno istituito Osservatori della cultura, alcuni dei quali esprimono livelli di eccellenza, altri operano in maniera discontinua o non sono stati implementati.
Merita dunque particolare attenzione il ruolo che Minicifre assume rispetto alle Regioni, laddove in assenza di organismi attivi sul versante dell’osservazione culturale, rende disponibili elementi informativi di supporto ai decisori politici e alle stesse imprese presenti sul territorio. I dati e le statistiche che propone possono altresì gettare le basi per consentire alle amministrazioni pubbliche di avviare attività di ricerca permanenti, in quanto indicano rotte di navigazione riconoscibili e ripercorribili. Il progetto Minicifre della cultura risponde altresì alle esigenze conoscitive degli Osservatori culturali di emanazione regionale operativi che svolgono comparazioni tra i territori a livello regionale e nazionale dando luogo ad analisi e inferenze.
Rappresenta di fatto un esempio di sistema informativo della cultura condiviso tra i diversi livelli di governo.
LA FORMAZIONE E L’OCCUPAZIONE
Tra i temi centrali affrontati nel rapporto vi sono la formazione e l’occupazione in cultura, per la cui trattazione sono state consultate diverse fonti, quali EUROSTAT, ISTAT, l’Ufficio Statistica e Studi (USTAT) del Ministero dell’Università e della Ricerca e l’INPS.
Il quadro complessivo che emerge presenta elementi di grande interesse. A partire dall’alto numero di iscritti ai corsi di area culturale che afferiscono all’ istruzione superiore e dunque all’Università, al sistema dell’Alta Formazione artistica musicale e coreutica (AFAM) agli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy): sono infatti 448.000.
Rispetto al totale degli iscritti, la percentuale è pari al 20,1 %, la più alta tra i paesi dell’Unione europea, che vede una media del 14,3%; va sottolineato che l’Italia guida questa classifica da diversi anni. Questo è forse uno degli elementi più rilevanti del rapporto poiché testimonia una diffusa vocazione delle nuove generazioni del nostro paese nei confronti delle professioni della cultura, un risultato che trova origine nel portato storico della nostra produzione culturale.
Nel triennio preso in considerazione nel rapporto, che va dal 2020/21 al 2022/23, sono altresì aumentati sia gli iscritti sia i diplomati in tutte e tre le aree dell’istruzione superiore, così come la formazione erogata dal Ministero della cultura ha visto raddoppiare i partecipanti ai corsi di formazione continua dedicati ai dipendenti.
Per quanto riguarda l’occupazione, secondo Eurostat il totale degli occupati nel 2023 in Italia è di 825.100 (+7% rispetto al 2021) un numero significativo ma inferiore, seppure di poco, alla percentuale media europea dei lavoratori della cultura rispetto al totale dei lavoratori (3,5% vs 3,8%.) La crescita occupazionale che emerge dallo studio testimonia di fatto il superamento delle criticità determinate dalla pandemia COVID-19; uno dei settori che hanno visto il maggiore incremento risulta lo spettacolo che registra però il permanere, relativamente a talune figure artistiche, di una sostanziale precarietà. Tra le discrasie che il rapporto rileva troviamo un’inaccettabile disparità di genere, nella retribuzione dei dipendenti del settore culturale privato, a favore della componente maschile, che peraltro prevale anche numericamente, rappresentando il 55%.del totale.
ABSTRACT
The 2024 print edition (in two versions: summary and extended) of the Minicifre della Cultura report was published a few weeks ago. Minicifre is the outcome of a project promoted by the Ministry of Culture, and edited by the Directorate General for Education, Research and Cultural Institutes and the Fondazione Scuola dei Beni e Attività Culturali. The publications are also available in digital format, and the project feeds a navigable, searchable portal with downloadable elaborations. The Minicifres, which in this new guise have been disseminated since 2023, represent in many ways a revival of the meritorious publication of the same name that the then Ministry of Cultural Heritage and Activities had produced from 2009 to 2015.
Annalisa Cicerchia è una economista della cultura, e dai primi anni Novanta si occupa di valutazione di impatto delle politiche culturali, di indicatori culturali e del rapporto fra cultura, arte e ben-essere. Dal 1999 è titolare di corsi in materia di management delle attività culturali presso l’università di Roma Tor Vergata; insegna presso RomaTre e presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione ed è autrice di numerosi libri, rapporti di ricerca e articoli scientifici.
Antonio Taormina. Analista culturale, è un componente del Comitato Scientifico della Fondazione Symbola e del Comitato di direzione della rivista Economia della Cultura. Insegna Progettazione e gestione delle attività di spettacolo presso l’Università di Bologna. È autore di numerosi saggi e articoli. Tra i volumi che ha curato: La formazione al Management culturale (FrancoAngeli 2017), Lavoro culturale e occupazione (FrancoAngeli 2021).
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