Auto, il futuro dell’Ue passa anche per l’economia circolare

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Mentre prende il via il dialogo strategico sul futuro dell’automotive in Europa, ripartono anche i lavori sul nuovo regolamento sulla circolarità dei veicoli. Che potrebbe diventare “merce di scambio nel dialogo tra Ue e costruttori”, spiega il presidente di ADA Anselmo Calò


Da un lato il tavolo strategico sul futuro dell’automotive, lanciato la scorsa settimana dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen alla presenza dei principali stakeholder di un’industria in crisi profonda. Dall’altro la ripresa dei lavori sulle regole di progettazione e gestione a fine vita dei veicoli allo studio di Consiglio e Parlamento Ue, che non hanno ancora definito le rispettive posizioni negoziali. Due dialoghi alle battute iniziali ma che “finiranno a breve per intersecarsi”, dice a Ricicla.tv Anselmo Calò, presidente di ADA, associazione nazionale degli autodemolitori, su quello che appare già come il primo vero banco di prova della nuova regola aurea della politica economica e industriale dell’Ue: tenere insieme decarbonizzazione e competitività.

Una partita che i player dell’automotive europeo e le istituzioni dell’Unione giocheranno non solo sul campo della transizione verso la mobilità a zero emissioni – e annesse sanzioni per i produttori in ritardo – ma anche su quello dell’economia circolare, con l’introduzione dei nuovi vincoli su ecodesign e riciclo dei veicoli previsti dalla proposta di regolamento europeo presentata a luglio del 2023 dalla commissione von der Leyen 1. Trovare un punto di caduta tra le prerogative della filiera del fine vita, decisa a salvaguardare il mercato dei materiali riciclabili e dei pezzi di ricambio, e le esigenze delle case auto, che temono costi ulteriori in uno scenario caratterizzato da domanda in calo e incertezza in aumento, non sarà facile, visto che “i contenuti del regolamento potrebbero diventare merce di scambio nel dialogo tra Ue e costruttori”, dice Calò. Il rischio, insomma, è che data la contingenza il dialogo sul futuro dell’auto possa diventare un monologo delle case produttrici, con l’Ue pronta a recepirne le istanze pur di salvare dalla crisi un settore chiave dell’industria continentale. Per questo le imprese del fine vita si stanno muovendo sia a livello nazionale che europeo per farsi sentire a loro volta.

EuRIC, la principale federazione europea delle imprese del riciclo, ha pubblicato un paper con una serie di proposte chiave per “raggiungere un approccio equilibrato” al nuovo regolamento. A partire dalla conferma dei nuovi obiettivi di contenuto minimo di plastica riciclata (il 25% di quella contenuta in ogni veicolo, a sua volta per il 25% recuperata da veicoli a fine vita), ma da associare a obblighi di certificazione che scongiurino il rischio di un’impennata delle importazioni di polimeri riciclati a buon mercato, e non tracciati, provenienti dall’estero. Il paper di EuRIC prosegue poi con un appello alla neutralità tecnologica e, in particolare, a non fissare stringenti requisiti di trattamento dei veicoli che prescindano dall’esistenza di una domanda di mercato per materiali riciclati e pezzi di ricambio. No quindi alla introduzione di obblighi di qualità dei riciclati, e nel caso dell’acciaio solo a condizione che venga introdotto un obiettivo di contenuto minimo riciclato del 30%. Da rivedere anche i previsti vincoli di smantellamento per cruscotti, finestrini e sistemi di infotainment, meglio se associati a un rafforzamento delle misure per promuovere il riutilizzo di ricambi usati a discapito dell’acquisto di pezzi di sostituzione nuovi e a buon mercato. Necessario, aggiunge EuRIC, anche un giro di vite sui traffici illegali, con incentivi alla rottamazione, misure di contrasto al mercato parallelo online e l’obbligo di consegnare agli impianti di trattamento veicoli a fine vita che non siano stati precedentemente cannibalizzati delle parti di maggior valore.

Ma il fronte sul quale si fanno più ampie le distanze tra i desiderata delle case auto e quelli dei gestori a fine vita resta il previsto rafforzamento della responsabilità estesa del produttore, con l’obbligo di introdurre sistemi EPR in tutti gli Stati membri. L’obiettivo dell’Ue è soprattutto quello di garantire l’adeguato finanziamento delle operazioni di trattamento attraverso un maggiore coinvolgimento, anche economico, dell’industria automotive, che sarà chiamata a compensare i costi non coperti da pezzi di ricambio e materiali secondari. Questo, avvertono però i riciclatori, non deve tradursi “in un eccesso di costi e adempimenti burocratici” tali da impattare negativamente “sul libero mercato del riciclo e del riuso”, scrive EuRIC. Cosa che avverrebbe se, come chiesto dai produttori, si introducesse l’obbligo per ogni impianto autorizzato di siglare un contratto di fornitura con le case costruttrici al fine di poter operare. “Anche il governo italiano sembrerebbe orientato in questa direzione – spiega Calò – e la cosa ci preoccupa, perché significherebbe traslare la potestà di rilasciare l’autorizzazione dallo Stato alla casa costruttrice“. Una forzatura, sul piano giuridico, con ripercussioni economiche e occupazionali gravi su un settore che, solo in Italia, conta oltre 1400 imprese autorizzate in Italia e 40 mila posti di lavoro.

Secondo EuRIC, invece, oltre a garantire adeguata rappresentanza agli operatori del fine vita, i sistemi EPR dovranno “assicurare la leale concorrenza” sul mercato, anche demandando a operatori terzi e indipendenti il calcolo dei costi da compensare. Più in generale, chiarisce Calò, “l’EPR deve essere inteso non solo come responsabilità nella gestione del rifiuto, ma anche e soprattutto come responsabilità relativa all’immissione sul mercato di veicoli che siano facilmente smantellabili e riciclabili“. Non uno strumento per spostare nelle mani delle case auto il controllo economico e giuridico del settore del fine vita, ma una leva per promuovere la circolarità della progettazione.

Del resto il nuovo regolamento, chiarisce il presidente di ADA “sulla fabbricazione dei veicoli introduce molte indicazioni destinate a migliorarne la riciclabilità“. Il problema semmai, spiega Calò, “è che i veicoli immaginati dal regolamento cominceranno a essere prodotti, se tutto va bene, nel 2032 e arriveranno da noi in demolizione non prima di dieci anni. Stiamo parlando cioè di quello che succederà tra 25 anni, mentre nel frattempo noi continueremo a demolire veicoli pensati prima dell’introduzione di queste innovazioni”. Vale a dire veicoli progettati e assemblati diversamente da quelli disegnati dal regolamento, con materiali e componenti diversi e un diverso rapporto tra costi di trattamento e ricavi dalla vendita di materiali e pezzi di ricambio. Sull’EPR, così come sulla progettazione sostenibile e sul taglio alle emissioni dei veicoli, oltre a guardare al futuro l’Ue dovrà anche capire come arrivarci senza lasciare indietro nessuno.





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