La proposta della Toscana sul Piano Olivicolo Nazionale

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Il settore olivicolo-oleario italiano vive, ormai da diversi anni, una riduzione delle potenzialità produttive ed una perdita di competitività delle imprese olivicole nello scenario internazionale. Su tale andamento pesano alcuni elementi di debolezza, tra cui gli effetti dei cambiamenti climatici e la recrudescenza di importanti fitopatie (mosca delle olive, Xylella fastidiosa, ed altre emergenti in determinati areali.), ma anche la concorrenza di altri competitors, storici come Spagna, Grecia, Turchia, Portogallo, e più recenti, come Tunisia, Marocco e Turchia, che negli ultimi trent’anni hanno vissuto un profondo rinnovamento del patrimonio produttivo, incrementando notevolmente la quantità e la qualità delle proprie produzioni sia razionalizzando le tecniche colturali degli oliveti esistenti, sia attraverso la messa a regime di sistemi di coltivazione intensivi,.

La debolezza produttiva dell’olivicoltura italiana dipende anche dalle caratteristiche strutturali del patrimonio olivicolo stesso: la stragrande maggioranza degli oliveti sono infatti obsoleti, poco produttivi, con sesti di impianto irregolari o con scarsa densità di piante per ettaro, poco o nulla irrigati, poco o nulla meccanizzabili. Molte aree olivicole sono prossime all’abbandono.

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Inoltre, sul settore olivicolo-oleario pesano anche gli effetti della forte frammentazione fondiaria e lo scarso ricambio generazionale.

Un patrimonio olivicolo, quello italiano, assai composito, che comprende al suo interno numerose tipologie diverse di olivicoltura (al punto che si può ben parlare di “olivicolture”) per molti fattori, tra cui: pendenza del suolo, presenza di terrazzamenti, sesti d’impianto, età delle piante, impiego di varietà autoctone minori o altre di più larga diffusione incluso alcune. straniere, disponibilità di acqua di irrigazione, certificazione di origine, ecc.

Volendo semplificare l’analisi, si potrebbero individuare grosso modo tre tipologie olivicole principali: 

–        olivicoltura marginale: pendenze del suolo superiori al 25%, presenza di terrazzamenti e ciglionamenti, alto tasso di abbandono, scarsa propensione al mercato (tendenza all’autocosumo), scarsa o nulla meccanizzazione;

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–        olivicoltura tradizionale: pendenze del suolo comprese tra il 10 e il 25%, densità < 250 piante/ha, età delle piante superiore a 25-30 anni, limitata meccanizzazione, diffusa presenza di più fusti ottenutida ricacci post-gelata ’85 in Italia centro-settentrionale, limitata partecipazione al fatturato aziendale (in genere, complementare alla viticoltura), frangitura normalmente extra-aziendale;

–        olivicoltura intensiva: pendenza inferiore al 10%, densità > 250 piante/ha, età delle piante inferiore o di circa 25-30 anni, buon grado di meccanizzazione dellaraccolta o anche potatura), frequente la frangitura aziendale. In questa tipologia sono applicate ordinariamente le tecniche colturali di fertilizzazione, difesa e spesso, irrigazione.

A fronte di queste diverse tipologie di oliveti, anche le tipologie degli addetti e l’organizzazione aziendale sono assai diversificate. Si va infatti da una coltivazione “hobbistica”, che cura piccoli appezzamenti per produrre olio per l’autoconsumo, alle numerose aziende agricole di dimensioni medio-piccole, che coltivano gli oliveti ricorrendo prevalentemente alla manodopera familiare, normalmente complementari ad altre produzioni più rilevanti, alle aziende infine specializzate con salariati, che dispongono di grandi superfici olivetate.

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L’esistenza di tipologie diverse di olivicoltura (e di olivicoltori) rende necessario individuare anche strategie d’intervento diversificate, a seconda delle tipologie di oliveti e di soggetti alle quali esse sono rivolte, senza tuttavia trascurare alcuna delle tipologie esistenti, in quanto ognuna assume rilievo, vuoi per gli aspetti produttivi ed economici, vuoi per quelli ambientali, paesaggistici ed idrogeologici.

Un sintomo evidente della situazione di grande difficoltà che interessa, in misura maggiore o minore, gran parte dell’olivicoltura marginale, ma anche quella tradizionale, è rappresentato dal progressivo dilagare del fenomeno degli oliveti abbandonati o semi-abbandonati, causati dalla riduzione (fino all’azzeramento) delle cure colturali. Tale fenomeno è legato soprattutto a motivazioni di carattere economico, consistenti nella scarsa redditività di tali oliveti e in particolare di quelli ubicati nelle zone più difficili, ma anche a situazioni di mancato ricambio generazionale o di eccessivo frazionamento degli appezzamenti. L’abbandono degli oliveti produce effetti negativi, oltre che dal punto di vista della riduzione del potenziale produttivo e del valore economico, soprattutto sul piano ambientale, per la semplificazione del paesaggio e della biodiversità, problemi di natura idrogeologica e aumento del rischio di incendio.

Da una sintetica descrizione delle principali tipologie di olivicoltura e delle problematiche esistenti, emerge quindi con chiarezza l’urgente necessità di impostare un Piano Olivicolo Nazionale Pluriennale, che parta dagli ormai improcrastinabili interventi di rilancio del patrimonio olivicolo, attraverso la realizzazione di nuovi impianti, reimpianti, o ristrutturazione di oliveti secondo criteri moderni e razionali che consentano di perseguire criteri di efficienza tecnica e di competitività economica.

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La situazione è resa ancora più delicata, se traguardata rispetto alle due principali sfide dell’agricoltura del futuro, e cioè la resilienza ai cambiamenti climatici e la sostenibilità (non solo ambientale, ma anche sociale, economica, culturale).

A fronte di tali criticità, i principali punti di forza del nostro settore olivicolo-oleario, sui quali occorre puntare per il rilancio, sono l’esperienza dei produttori nel fornire un olio di elevata qualità, un prodotto fortemente legato alla tipicità/territorialità/identità, la disponibilità di varietà autoctone di pregio (biodiversità), nonché il valore salutistico e nutraceutico dei nostri oli extra-vergini di oliva di elevata qualità. In tale ottica anche il ruolo ambientale e paesaggistico degli oliveti è un elemento di valorizzazione del territorio e quindi del prodotto.

Nell’affrontare il percorso da compiere per l’indispensabile rinnovamento del settore, bisogna quindi porsi il duplice obiettivo, da un lato di aumentare la competitività delle imprese, senza però rinunciare, dall’altro, alla qualità, alla tipicità e alla sostenibilità che qualificano i nostri prodotti. Una strategia basata esclusivamente sulla riduzione dei costi e sul collocamento dei prodotti nella fascia di prezzo più bassa ci vedrebbe infatti perdenti in partenza, se non altro per le caratteristiche morfologiche del territorio nazionale, estremamente disomogenee rispetto ai nostri principali competitors sui mercati mondiali.

Occorre sviluppare e promuovere un “sistema di olivicoltura misto”, capace da un lato di garantire, in zone vocate ad un’olivicoltura intensiva ad alta densità, alte produzioni a minori costi; dall’altro di valorizzare l’enorme patrimonio genetico di cui disponiamo e la grande variabilità ambientale, indirizzandole verso produzioni di eccellenza. Si tratta in definitiva semplicemente di applicare il corretto modello di coltivazione alle diverse situazioni.

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Il comparto olivicolo-oleario, adeguatamente ristrutturato, potrebbe rappresentare un importante volàno di crescita economica e produttiva, nell’ambito del settore primario, considerato anche che l’attuale produzione di olio di oliva e/o la produzione di olive da mensa non è nemmeno in grado di soddisfare la metà della domanda interna esistente sul mercato. Infine, nell’ultimo anno, accanto alla contrazione delle produzioni olivicole nazionali e ad un generale innalzamento dei prezzi al consumo, in molti casi triplicati, si assiste ad una contrazione dei consumi, e dell’export, che pure continua a presentare ampi margini di sviluppo, grazie anche all’effetto “sostituzione” dei grassi animali.

A testimoniare l’interesse degli operatori nei confronti dello sviluppo della filiera, giova ricordare il successo del recente intervento PNRR, che attraverso la misura “Rinnovamento frantoi oleari” ha visto la progettualità di circa 900 frantoi, con una spesa complessiva di quasi 300 M€ ed un contributo richiesto di oltre 180 M€ (a fronte dei 100 M€ disponibili). Questa misura, una volta portata a termine diventerà un evidente punto di forza della filiera nazionale.

Ovviamente le considerazioni che qui si svolgono riguardano l’intera filiera, non solo declinata sulla produzione oleicola, ma anche finalizzata alla produzione del prodotto da mensa; ciò anche al fine di consentire alle imprese, soprattutto nelle aree a marcata vocazionalità, di diversificarne l’offerta, così compensando anche le eventuali mancate marginalità della produzione olio.

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Per il rilancio del settore olivicolo-oleario serve quindi un Piano strategico nazionale, avente una prospettiva almeno decennale, finalizzato a sviluppare tutti gli anelli della filiera, da quelli più a monte a quelli più a valle, con un approccio “Before Farm, Beyond Fork”: 

1)  la ricerca e la sperimentazione (dalle nuove tecniche di difesa, fitoiatrica e non, all’individuazione di cloni e/o cv. più resilienti ai cambiamenti climatici e più adatte a impianti intensivi o ad altissima densità)  

2)  il vivaismo olivicolo  

3)  la realizzazione, nelle aree più vocate, di nuovi impianti o reimpianti razionali 

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4)  la realizzazione di invasi irrigui e di impianti di fertirrigazione  

5)  la cura degli oliveti a valenza ambientale e paesaggistica e il recupero degli oliveti abbandonati 6) l’ammodernamento degli impianti di trasformazione (frantoi e depositi di stoccaggio) e 

commercializzazione (già in buona parte finanziato dal PNRR, come sopra scritto) 7) l’aggregazione e la cooperazione e più in generale il coordinamento dell’offerta 

8)     la valorizzazione delle certificazioni di qualità e di sostenibilità 

9)     la comunicazione, la promozione e l’internazionalizzazione delle imprese 

10)  la formazione e l’assistenza tecnica sia pubblica che privata

 

Di seguito si riportano alcune proposte di intervento.

1.    Vivaismo olivicolo 
Il vivaismo olivicolo dovrebbe puntare:

• sulla produzione di piante che garantiscano produzioni di elevata qualità, preferibilmente adottanti sistemi di certificazione volontaria, che offrono maggiori garanzie, sia dal punto di vista genetico che sanitario;

• sull’adozione di sistemi informatici di tracciabilità e rintracciabilità totale, che dal vivaio arrivino fino al prodotto commercializzato (ad esempio attraverso l’uso di microchip, caratterizzazione genetico molecolare, ecc.) e sull’adozione e promozione di marchi di qualità delle piante che ne garantiscano l’origine, la tracciabilità, i metodi di produzione e le caratteristiche, anche attraverso il controllo di un soggetto terzo;

• sulla produzione di nuove varietà e cloni, ottenuti preferibilmente a partire però dal germoplasma autoctono, vera inderogabile ricchezza del nostro patrimonio olivicolo. A tal fine, con l’introduzione delle moderne tecniche di TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita), sarà possibile implementare la selezione di soggetti più rispondenti alle sfide imposte dal climate-change e sostenibilità, tenendo ben presente che occorrono 15-20 anni per produrre una varietà fino alla sua commercializzazione;

•  sullo sviluppo di nuove tecniche vivaistiche, come la micropropagazione in vitro, che consentano la produzione di consistenti numeri di piante di elevata qualità e la riduzione dei costi. 

2.    Nuovi impianti e reimpianti 
Il Piano deve prevedere incentivi agli investimenti per la realizzazione di nuovi impianti e reimpianti, anche in una logica di ristrutturazione e riconversione (sul modello dell’OCM Vino):

• ubicati soprattutto in aree maggiormente vocate (che con temperature più alte, le più vocate potrebbero non coincidere con quelle di attuale maggiore diffusione dell’olivicoltura) e caratterizzate da una maggiore facilità di gestione delle operazioni di potatura e raccolta (maggiore possibilità di meccanizzazione);

•  realizzati preferibilmente con l’impiego di varietà del germoplasma autoctono, dando preferenza ai genotipi che meglio si adattano alla meccanizzazione, utilizzando prioritariamente materiale vivaistico in possesso di certificazione genetica varietale e fitosanitaria, in particolare della categoria virus-esente;

• preferibilmente irrigui;

• realizzati con sesti di impianto e forme di allevamento che consentano la riduzione dei costi di produzione (possibilità di meccanizzazione parziale o totale); la meccanizzazione della potatura e della raccolta.

3.    Irrigazione 
Occorre prevedere un adeguato sostegno agli investimenti, sia pubblici che privati, finalizzati alla:

•  realizzazione di bacini consortili di accumulo delle acque e connesse reti di distribuzione;

• raccolta e stoccaggio delle acque in invasi aziendali e realizzazione degli impianti di irrigazione localizzati

• interventi sulla semplificazione e snellimento delle procedure autorizzative per la realizzazione e la manutenzione degli invasi aziendali e consortili, pena la dissuasione delle imprese dall’accesso alle misure di sostegno all’uopo messe in campo

4.    Olivicoltura a valenza prevalentemente ambientale e recupero degli oliveti abbandonati 
Il sostegno pubblico dovrebbe essere assicurato, oltre che sui fondi propri del settore agricolo (attualmente disponibili nell’ambito delle misure agro-climatico-ambientali e per l’agricoltura biologica del FEASR e del FEAGA, oltre che dei cd. “Ecoschemi”), anche attivando nuove fonti di finanziamento disponibili per altri settori (ad esempio turismo, sociale, ambiente, infrastrutture, formazione, lavoro, ecc.).

In particolare:

•  sostenere il mantenimento e la cura degli oliveti marginali a valenza prevalentemente ambientale e paesaggistica, in modo da corrispondere alle aziende un premio annuale per Kg di prodotto, a copertura dei maggiori oneri sostenuti per impegni ambientali pluriennali che vanno oltre quelli obbligatori;

• promuovere, nelle aree maggiormente interessate dal fenomeno dell’abbandono degli oliveti, specifici progetti per il recupero di tali oliveti e della loro biodiversità, con il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati operanti in quei territori (Comuni, Enti territoriali, Camere di commercio, Università e Centri di ricerca, Consorzi di bonifica, Enti parco, Associazioni ambientaliste, Città dell’Olio, Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio, Strade dell’olio, Cooperative agricole, Cooperative sociali, Reti di imprese, ecc.), finanziati prevalentemente con risorse pubbliche destinate ai settori non agricoli, anche nell’ambito dei programmi UE, nazionali e regionali rivolti all’ambiente, al turismo, al sociale, ecc.

Su questo punto bisogna essere chiari e comprendere che molte delle situazioni marginali da recuperare o di cui bisogna prevenire l’abbandono non rientrano in aziende con p.i. e fascicolo aziendale. bisogna trovare incentivi e risorse che possano intervenire anche in queste situazioni. due esempi:

–        detrazioni fiscali per cittadini che eseguano lavori di recupero di muretti a secco e recupero di oliveti in contesti terrazzati;

–        i comuni destinino una quota anche piccola della tassa di soggiorno per intervenire o incentivare i lavori di recupero delle opere murarie e degli alberi ai fini della prevenzione del rischio idrogeologico e di incendio. ci sono comuni che incassano milioni dalle tassa di soggiorno e al territorio non torna quasi niente, mentre i fondi vanno a favorire i soli centri cittadini con feste, cantanti, babbi natale e altro.

5.    Impianti di trasformazione, stoccaggio,  imbottigliamento  e commercializzazione 
In particolare, il Piano deve prevedere incentivi agli investimenti per:

• l’ammodernamento degli impianti al fine di garantire l’incremento della qualità del prodotto finale, un corretto stoccaggio e idonee pratiche di sicurezza alimentare (già intrapreso con il PNRR, su cui però pesa il gap tra il fabbisogno e le risorse disponibili);

• la certificazione dell’olio in base a specifiche tecniche di processo;

• la diffusione e/o creazione di impianti eco sostenibili nell’utilizzo dei sottoprodotti oleari (acque di vegetazione, sansa e foglie).

6.    Aggregazione e cooperazione 
Il Piano intende sostenere l’aggregazione del prodotto, rafforzando il ruolo delle Organizzazioni di Produttori (OP) nell’ambito del PSP, e assegnando loro anche nuovi compiti, quali:  

–  l’elaborazione di progetti territoriali di ristrutturazione e di riconversione degli oliveti

–  il coinvolgimento degli olivicoltori nei progetti integrati di filiera

–  la programmazione e l’organizzazione della produzione, della qualità e dell’offerta

– la realizzazione di specifici investimenti in strutture di trasformazione e rinnovamento tecnologico degli impianti di stoccaggio dell’olio.

7.    Certificazioni di qualità (DOP e IGP) e di sostenibilità (biologico, integrato, ecc.) 
Il Piano intende:

–  potenziare gli incentivi per i sistemi di certificazione già affermati (DOP e IGP, ma anche biologico, prodotto di montagna, integrato SQNPI, Equalitas, ecc.)

–  Integrare sistemi strumentali di monitoraggio della qualità che siano rapidi, oggettivi, sicuri e replicabili, per l’individuazione analitica dei principali attributi sensoriali e nutraceutici, volti a valorizzare le produzioni di alto pregio;

– sviluppare altre certificazioni per la sostenibilità sociale e per gli aspetti salutistici dei prodotti (ad esempio l’elevato contenuto di biofenoli, importanti sostanze antiossidanti naturali normalmente presenti negli oli EVO di alta qualità)

– sviluppare la produzione e commercializzazione di oli monovarietali, per contribuire a far apprezzare la ricchezza della biodiversità presente nei nostri oliveti

– intensificare i controlli sulla conformità dei prodotti immessi in commercio e sui prodotti conferiti alla GDO e sulla loro etichettatura, affiancando ai normali programmi di controllo sugli operatori del settore dei controlli straordinari sugli operatori del trade e dell’ecommerce

8.      Promozione/internazionalizzazione delle imprese 
Il Piano intende:

–  potenziare le iniziative già intraprese, favorendo altresì le attività di formazione, informazione, divulgazione, educazione e comunicazione, volte favorire la diffusione della conoscenza presso il consumatore dell’olio extra vergine di oliva, e in particolare delle produzioni certificate DOP e IGP, evidenziandone le qualità, le peculiarità, gli elementi di tipicità, di legame con il territorio, il valore (prim’ancora che il prezzo), oltre che le proprietà nutritive e salutistiche. Tali iniziative sono rivolte alla GDO e ai consumatori, con particolare attenzione per alcune categorie (giovani, scuole, ristoranti, mense, ecc.) e per le nicchie di mercato caratterizzate dalla disponibilità a pagare prezzi più elevati per prodotti di qualità, sostenibili e con elevati contenuti di sostanze benefiche per la salute

–  sviluppare la tematica dell’oleoturismo e delle strade dell’olio e dei sapori

–  sviluppare la formazione e l’informazione rivolta alle attività di ristorazione

– potenziare le attività di educazione nelle scuole

– attivare una campagna di educazione al consumo, anche sui mercati esteri, essenziale per far percepire al consumatore il valore “culturale” del prodotto

–  verificare l’opportunità di realizzare piattaforme market-place nazionali o regionali, finalizzate soprattutto alla valorizzazione delle filiere sostenibili e certificate

– prevedere un’apposita cabina di regia che operi in stretto raccordo con il MAECI e gli Uffici ICE e Assocamerestero, per progettare e realizzare specifici interventi nell’ambito del Programma “Patto per l’export”, che passino non solo attraverso la consueta partecipazione a fiere e mercati, ma che guardino anche ai format innovativi di matching B2B e B2C.

9.      Innovazione e ricerca  
Il Piano, tenendo conto sia degli aspetti tecnici che economici, favorisce le azioni di ricerca, innovazione e trasferimento, volte a individuare:

• le aree maggiormente vocate, le varietà autoctone che più si adattano ad una intensificazione colturale (per entrata in produzione anticipata, ridotta vegetazione, ecc.), ai cambiamenti climatici (alte temperature, siccità) e che sono meno suscettibili alle principali avversità dell’olivo (mosca, Xylella, ecc.);

•  le forme di allevamento e i sesti di impianto più adatti in relazione all’esigenza di meccanizzare la potatura e la raccolta;

•  le tecniche di irrigazione che consentano il più razionale utilizzo delle limitate risorse idriche disponibili;

•  le tecniche di gestione del suolo, di concimazione, di lotta ai principali parassiti più adeguate al contenimento dell’uso di prodotti chimici di sintesi, anche attraverso l’adozione di tecniche di agricoltura di precisione

•  nuove molecole caratterizzate da una buona efficacia nel controllo della mosca, da un basso impatto ambientale e da una bassa tossicità nei confronti dell’uomo e degli animali

• eventuali portinnesti nanizzanti

• approfondimento sulle caratteristiche qualitative degli oli extravergine di oliva, sulle caratteristiche edonistiche e nutraceutiche per l’identificazione di oli extravergini di alta qualità;

• impronta di carbonio e olivicoltura: creare linee guida chiare e standardizzate per la valutazione dell’impronta di carbonio nei diversi sistemi olivicoli.

• nuove tecnologie per la valorizzazione dei sottoprodotti ottenuti nei frantoi

•  metodi strumentali per l’individuazione analitica dei principali attributi sensoriali, nella prospettiva, di affiancare e snellire il metodo della valutazione organolettica, affiancandolo con sistemi di rilevazione rapidi, più affidabili e ripetibili, da utilizzare, ad esempio, in screening di massa sui prodotti presenti in commercio e per valorizzare le produzioni di più alto pregio

•  modelli d’impianto intensivi ad alta densità con cultivar autoctone (300-800 piante/ha) e super-intensivi (>800 piante/ha) idonei alla potatura e raccolta meccanica in continuo

• mezzi tecnici e strategie volte ad una gestione più sostenibile degli oliveti tradizionali

• innovazioni organizzative che consentano di aggregare piccoli produttori, dando loro la forza di competere in contesti di mercato diversi e di maggior soddisfazione economica

• riuso dei sotto-prodotti di origine olivoleica (dalla cosmetica, alla nutraceutica, alla farmacopea, ecc.)

Resta inteso che la ricerca e la messa a punto di innovazioni nel settore olivicolo-oleario richiedono necessariamente una tempistica di medio-lungo periodo, a maggior ragione per quanto riguarda le esperienze inerenti l’impianto di oliveti di nuova concezione.

D’altro canto potrebbe utilmente essere messa a sistema l’esperienza che in maniera puntiforme ed autonoma si è sviluppata sul territorio, andando a valutare pregi, difetti e risultati conseguiti dai nuovi modelli olivicoli realizzati nelle diverse aree.

Un’analisi di questo tipo permetterebbe probabilmente di fare a priori scelte più efficaci, orientandosi sui modelli che hanno già dimostrato maggiori potenzialità.

10. Formazione e consulenza 
Il piano intende:

–  rafforzare le misure finalizzate alla formazione degli operatori del settore (tecnici, potatori, produttori, frantoiani, consumatori, ristoratori, cuochi, ecc.), così come quelle destinate alla consulenza ed al trasferimento dell’innovazione

– implementare la formazione di tecnici in grado di garantire il corretto approccio e applicazione alle attività innovative nel settore dell’olivicoltura avanzata, la precision farming, quindi negli specifici campi del vivaismo, della coltivazione, dell’estrazione e del marketing

–  valutare la possibilità di introdurre nell’ordinamento degli Istituti Tecnici Agrari, un nuovo indirizzo in olivicoltura ed elaiotecnica, così come avvenuto nel passato per il settore viticolo ed enologico

– favorire la diffusione di una serie di tecnologie 4.0 e agricoltura di precisione, finalizzate al monitoraggio, all’efficientamento e l’ottimizzazione della produzione

– valorizzare i comitati di assaggio professionali degli oli, attraverso i quali è possibile organizzare corsi di formazione qualificati e sessioni di degustazione di esercitazione

–  sviluppare campagne di marketing, mirate a promuovere e valorizzare l’olio extravergine d’oliva di alta qualità, prodotto secondo criteri sostenibili, evidenziando oltre alle caratteristiche nutraceutiche, anche la responsabilità ambientale e sociale

– mantenere sul territorio una rete di assistenza tecnica in grado di garantire il trasferimento dell’innovazione e la consulenza alle aziende agricole sulle tematiche di maggiore interesse (fitopatologiche, agronomiche, qualità dell’olio, etichettatura, ecc.).

In linea generale, il settore olivicolo-oleario dovrebbe essere considerato prioritario e le misure sopra indicate dovrebbero essere attivate – anche congiuntamente – nell’ambito di una progettazione di tipo integrato, che punti con determinazione a risolvere le principali criticità del settore medesimo. 

Fonte: Accademia dei Georgofili



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