Pertanto, la varia provenienza dei soggetti coinvolti, la singolarità delle modalità di conferimento, la sproporzione tra gli ingenti aumenti di capitale posti in essere e la scarsa capitalizzazione delle due società italiane, in uno con l’impossibilità di individuare il titolare effettivo della società scozzese avrebbero dovuto fondare la consapevolezza circa la sussistenza dei presupposti di una segnalazione alla UIF, al fine di consentire a questa Autorità di effettuare gli opportuni approfondimenti.
Rispetto a tale complessiva operatività è ritenuto infondato il motivo di ricorso per Cassazione in base al quale, in mancanza del passaggio di un profitto illecito – suscettibile, anche astrattamente, di essere oggetto di riciclaggio – difetterebbe, in radice, il requisito base dell’obbligo di segnalazione, vale a dire il riciclaggio medesimo, effettivo o anche solo sospetto; e priva di fondamento è considerata anche la contestazione del notaio circa l’entità della sanzione amministrativa che gli era stata irrogata (100.000 euro).
Secondo la Suprema Corte, infatti, i giudici di merito avevano correttamente applicato la disciplina normativa al tempo vigente (cfr., in particolare, gli artt. 2 comma 1 lett. b) e 41 del DLgs. 231/2007).
Al momento della stipula degli atti erano presenti numerosi indici di anomalia, ossia, come già evidenziato: l’elevato valore delle operazioni; la scarsa capitalizzazione delle società italiane coinvolte; la singolarità delle modalità di conferimento, effettuato attraverso titoli obbligazionari non negoziati in mercati regolamentari ed emessi, in favore della società scozzese, da una società americana; l’assenza di indicazioni circa l’origine dei fondi utilizzati per il relativo acquisto; l’impossibilità di individuare il titolare effettivo della società scozzese.
Dati che avrebbe dovuto indurre il notaio a sospettare che stava rogando atti potenzialmente strumentali al perseguimento di obiettivi illeciti.
Ragion per cui, anche dal punto di vista dell’elemento soggettivo, era ben ravvisabile una violazione del livello minimo di diligenza richiesto (peraltro, in materia di sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 3 della L. 689/81, ai fini della responsabilità è sufficiente la colpa).
A fronte di tutto ciò, poi, è da considerare come le misure antiriciclaggio siano fondate sulla collaborazione attiva da parte dei destinatari del DLgs. 231/2007, i quali adottano idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di SOS, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia dell’osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
L’obbligo di segnalazione sorge in presenza di operazioni sospette e anomale in base ai parametri indicati dal DLgs. 231/2007 e non presuppone necessariamente che il soggetto destinatario dell’obbligo abbia acquisito (o comunque sia in possesso di) indizi circa la provenienza delittuosa dei beni e dei diritti oggetto di trasferimento.
Come già affermato dalla Suprema Corte – seppure con riguardo agli obblighi di SOS dei funzionari bancari – la segnalazione dell’operazione ha la funzione di mero filtro, attraverso il quale la UIF esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento che, prima di qualsiasi indagine di polizia giudiziaria, potrebbe anche concludersi con un’archiviazione in via amministrativa (cfr., tra le altre, Cass. n. 24396/2024 e Cass. n. 1798/2024).
Anche la contestazione dell’entità della sanzione, infine, è rigettata alla luce del principio in base al quale, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi.
Il giudice di merito non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione; e in sede di legittimità non è possibile censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e, dal complesso della motivazione, risulti che quella valutazione sia stata compiuta (cfr. Cass. n. 4844/2021).
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