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Annualmente l’Inps pubblica un Rapporto in cui fa il punto della situazione sugli aspetti più rilevanti della previdenza sociale e del mercato del lavoro in Italia. Tra i temi affrontati troviamo ad es. l’Assegno di inclusione, la Naspi, la cassa integrazione e altre tutele per i lavoratori.

Ovviamente nell’indagine l’istituto tratta anche del delicato e spinoso tema delle pensioni, offrendo una prospettiva che va oltre i confini nazionali e che porta a riflettere sull’impatto che avrà – in termini economici – il momento della conclusione della propria esperienza lavorativa, con il pensionamento.

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La preoccupazione di non pochi lavoratori è infatti legata al calo di potere d’acquisto, con il passaggio dallo stipendio all’entrata costituita dalla pensione. Quanto pesa o peserà questo cambiamento nelle tasche degli italiani? E a livello europeo qual è la situazione? Scopriamo insieme alcuni dati e numeri interessanti, grazie al contributo di Inps nel suo XXIII Rapporto annuale, ma vediamo prima come fare a non perdere troppi soldi al momento del pensionamento.

Pianificazione pensionistica e strategie per un futuro sereno

Come spiegheremo meglio tra poco, nel nostro paese il tasso di sostituzione pensione-salario è una sfida per chi si avvicina al pensionamento, con il pericolo concreto che il reddito mensile cali in modo considerevole. Ma ci sono almeno tre soluzioni per mitigare questa riduzione e assicurare una maggiore stabilità economica durante gli anni della vecchiaia.

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Vediamole in sintesi:

  • scegliere un piano di previdenza integrativa, con l’iscrizione ad un fondo pensione ad hoc, consentirà di integrare la pensione pubblica con una rendita supplementare. Tali piani danno vantaggi fiscali e la possibilità di mettere da parte risorse nel tempo, diversificando gli investimenti. In sostanza, la previdenza complementare è un’ottima opzione per chi desidera mantenere il proprio tenore di vita;
  • optare per investimenti in prodotti finanziari a lungo termine, come ad es. obbligazioni, azioni, fondi comuni di investimento, assicurerà rendite aggiuntive. In altre parole, creare un lungimirante portafoglio d’investimenti permetterà di compensare la riduzione della pensione pubblica e di conservare un buon flusso di reddito. Anzi diversificare le fonti di reddito e iniziare a investire il prima possibile genererà un capitale utilizzabile in futuro, per compensare il calo della pensione;
  • valutare una maggior contribuzione durante la carriera lavorativa, optando ad es. per i contributi volontari o per il riscatto degli anni di studio universitario ai fini pensionistici;

Inoltre, considerare l’idea di lavorare dopo il pensionamento, ad es. svolgendo un lavoro part time o consulenziale, potrebbe aprire le porte ad una effettiva integrazione del reddito pensionistico.

Perché le pensioni costano così tanto

Al 31 dicembre 2023 i pensionati erano circa 16,2 milioni, di cui 7,8 milioni di maschi e 8,4 milioni di femmine. Nell’indagine dell’istituto si precisa altresì che l’importo lordo delle pensioni complessivamente erogate era di 347 miliardi di euro. Numeri che sicuramente spiccano per dimensioni e che portano l’Inps a fare alcune interessanti osservazioni.

Nell’indagine citata l’ente previdenziale sottolinea che l’elevato livello di spesa per le pensioni, riflette due caratteristiche del sistema previdenziale del nostro paese. Anzitutto c’è l’età di pensionamento, infatti:

nonostante l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia sia a 67 anni, il livello più alto nell’Unione europea, l’età effettiva di pensionamento è ancora relativamente bassa (64,2), a causa dell’esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro.

In sintesi, prima si va in pensione e maggiore sarà il numero di anni in cui lo Stato dovrà versare i trattamenti pensionistici maturati dagli aventi diritto.

Non solo. Gli alti costi delle pensioni sono legati alla generosità del sistema pensionistico italiano, che – come indica Inps nel suo Rapporto:

può essere misurata in termini di tasso di sostituzione delle pensioni, ovvero di rapporto tra pensione e ultimo stipendio percepito prima del pensionamento. Si tratta di una misura del potere d’acquisto una volta terminata la vita lavorativa, che riflette l’efficacia di un sistema di previdenza nel fornire un reddito pensionistico in sostituzione di quello da lavoro.

Tasso di sostituzione salari-pensioni, confronto tra Italia e Ue

Proprio il tasso di sostituzione ha un rilievo chiave. Come appena accennato, esso indica la differenza tra l’ultimo salario maturato e ricevuto e il primo assegno pensionistico. Più alta è questa differenza, minore sarà l’ammontare della pensione rispetto al reddito da lavoro.

In Italia – indica l’istituto di previdenza nel suo Rapporto – è stimato sul 59% in media, restando tra i più elevati dell’UE (quasi 14 punti percentuali sopra la media del continente), nonostante la diminuzione registrata negli ultimi anni e riconducibile alle riforme adottate dagli anni ’90.

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Si tratta però di riforme che sono state implementate in modo graduale, perciò l’effetto del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo si nota visibilmente soltanto in questi ultimi tempi. Come intuibile, la spesa in relazione al Pil è crescente nel tasso di sostituzione, perciò nei paesi meno generosi – in cui la pensione è una frazione contenuta del salario – la spesa in rapporto al Pil è minore.

Se in paesi come Grecia e Spagna, il tasso di sostituzione tocca rispettivamente il 75,9% e il 74,8%, molto meno bene va in altri paesi considerati tradizionalmente ad economia forte, come Francia e Germania. I transalpini infatti hanno un tasso di sostituzione pari al 39,5%, mentre ancora peggio va ai tedeschi che si devono accontentare del 36,6%. In sostanza, un cittadino di questi paesi otterrà una pensione pari a poco più di un terzo del suo ultimo stipendio.

E ancor peggio va in alcuni paesi del Nord Europea, ritenuti ‘virtuosi’. Ad esempio la Svezia ha un tasso di sostituzione pari al 33,4%, la Danimarca pari al 29,2% e l’Olanda un misero 27,2%. Ricordiamo che tali percentuali sono state ricavate dalle stime Eurostat sull’andamento della popolazione nei vari paesi europei.

Inflazione, calo demografico e speranza di vita

Diminuzione della fecondità, aumento della speranza di vita e pressione dell’inflazione sono fattori che non giovano allo scenario pensionistico del nostro paese. Inps nella sua analisi spiega altresì che la pressione inflazionistica negli ultimi due anni ha fatto lievitare la spesa previdenziale, per effetto degli adeguamenti delle prestazioni all’incremento del costo della vita.

Mentre, d’altro lato, la crescita economica modesta non ha permesso un aumento della contribuzione per far fronte alla maggior spesa. L’istituto però fa notare al contempo che i citati fattori si ritrovano anche nei sistemi pensionistici degli Stati membri UE, a conferma che la questione previdenziale non è soltanto italiana, ma continentale.

Inoltre Inps nel suo rapporto rimarca che, in base alle previsioni Eurostat, la spesa pensionistica italiana in rapporto al Pil è destinata a crescere ulteriormente nel prossimo decennio, andando a gravare ulteriormente sui conti pubblici e imponendo una drastica revisione dei requisiti per il pensionamento.





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