Negli ultimi anni le sfide legate all’invecchiamento della popolazione sono cresciute di fronte alle trasformazioni demografiche, familiari e socio-economiche, che stanno facendo emergere nuovi bisogni che solo in parte trovano risposte adeguate nel nostro sistema di welfare. Ad esempio, le carenze funzionali del sistema assistenziale rivolto alle persone anziane, messe in luce soprattutto dalla pandemia da Covid-19, richiedono di ripensare politiche e servizi che si rivolgono ad ad anziani fragili, non autosufficienti e affetti da patologie croniche. In questo quadro risulta impellente leggere trasversalmente i cambiamenti in atto attraverso le lenti del cosiddetto welfare eco-sociale, al fine di elaborare un sistema di risposte più adeguato. Ma andiamo con ordine.
I nuovi rischi sociali dell’invecchiamento
Oggi il 25% di chi vive in Italia ha più di 65 anni e secondo Istat nel 2050 questa quota aumenterà fino al 36%. Attualmente l’aspettativa di vita media è di 84 anni ed entro metà del secolo potrebbe crescere di altri 5 anni. Al momento, chi sta entrando nell’età anziana ha la prospettiva di vivere mediamente molto di più di quanto sia mai accaduto a qualsiasi generazione passata, e così pare sarà per le generazioni future.
Una buona notizia, certamente, ma bisogna anche considerare che una parte consistente di questi anni “extra” sarà vissuta in condizioni più o meno gravi di non autosufficienza. Già oggi 3,9 milioni di persone vivono nell’impossibilità di svolgere autonomamente molte attività quotidiane. Chi non è da solo riesce a compierle grazie a oltre 7 milioni di caregiver, tra familiari e assistenti familiari (badanti), che garantiscono una cura continua ad integrazione dell’assistenza pubblica. Secondo le stime Istat, nel 2030 gli anziani non autosufficienti saranno pari a 4,4 milioni, superando i 5,4 milioni nel 2050.
Sono solo i numeri elevati a fare dell’invecchiamento della popolazione un tema prioritario? Sicuramente le conseguenze di questo macro-fenomeno impattano e lo faranno sempre più sul nostro modo di vivere e ben al di là degli ambiti in cui gli effetti sono più ovvi. Si pensi ai costi della spesa sanitaria e della spesa sociale volti a coprire un aumento delle prestazioni per gli anziani. Tuttavia, è necessario considerare ulteriori elementi che hanno contribuito ad annoverare l’invecchiamento nel catalogo dei nuovi rischi sociali (Taylor-Gooby 2004; Ranci 2010). Come già accennato, i nessi causali che hanno conferito tale accezione riguardano diverse trasformazioni.
In primo luogo, la dilatazione dell’anzianità è strettamente correlata alla probabilità di insorgenza di problemi di cura: la perdita di autonomia funzionale tende ad aumentare con l’avanzare dell’età, a fronte della maggiore incidenza delle patologie cronico-degenerative di tipo invalidante che si aggiungono al normale processo di invecchiamento.
In secondo luogo, la riduzione delle risorse familiari vede un disallineamento tra il numero effettivo di caregiver – sempre più anagraficamente anziani e tendenzialmente donne – e la complessità della gestione del carico di cura. Senza contare le trasformazioni nella struttura familiare, che testimoniano una crescente diffusione di famiglie monocomponenti o monogenitoriali, favorendo il rischio di una maggiore condizione di povertà relazionale (solitudine e isolamento sociale).
A questo quadro si aggiunge un ulteriore elemento: politiche e servizi di cura carenti rispetto al sostegno di anziani non autosufficienti.
Nonostante la costante crescita della popolazione over 65 non autosufficiente, il servizio pubblico si contraddistingue per un’accentuata frammentazione – non solo delle politiche e dei servizi, ma anche rispetto alla gestione delle stesse – e un ridotto finanziamento dei servizi alla persona – oltretutto inadatti a rispondere alle peculiarità della condizione di non autosufficienza in età anziana oggi. L’assenza di un’adeguata protezione del bisogno di cura ha portato all’espansione di una nuova figura: l’assistente familiare. Tuttavia, sono diverse le complessità che abitano questo ambito professionale, che si presenta ancora fortemente dequalificato, irregolare, generando una sovrapposizione di “solitudini” tra l’anziano non autosufficiente e chi se ne prende cura.
Benché negli anni più recenti si sia assistito a uno scenario di ripensamento del sistema di tutela agli anziani, con l’elaborazione di una riforma (la Legge Delega 33/2023 e il Decreto Attuativo 29/2024) e di pressione fatta dalle 60 organizzazioni della società civile riunite nel Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, lo sviluppo di risposte efficaci appare ancora troppo debole.
Le esigenze di chi invecchia, in linea generale, ma soprattutto degli anziani non autosufficienti e dei loro caregiver sono articolate, diversificate e mutevoli nel tempo. Per essere affrontate richiedono uno sguardo capace di prendere in considerazione tutte le dimensioni nonché di leggere tutti i bisogni, anche quelli non manifesti, al fine di poter implementare azioni utili a rispondere non solo alle situazioni emergenziali, ma anche a elaborare azioni di prevenzione.
Le lenti del welfare eco-sociale
È in questo quadro che appare importante approfondire il tema del welfare eco-sociale. Un approccio che può aiutare a ripensare le scelte di policy, prendendo in considerazione i nessi tra transizione demografica, transizione climatica e le rispettive politiche sociali e ambientali (senza ovviamente dimenticare, pur rimanendo in questo contributo sullo sfondo, la transizione digitale).
Il cambiamento climatico sta mettendo in discussione le premesse storiche su cui si è fondato lo Stato sociale, basato sulla crescita economica, alti livelli di occupazione e un welfare pubblico e generoso. Oggi, la sfida climatica è diventata una condizione strutturale che interroga sempre più l’organizzazione dei sistemi di welfare, le politiche sociali e l’offerta di servizi alla persona, tra cui quelli rivolti alla popolazione che invecchia. Se nel XX secolo le politiche di welfare sono state costruite per affrontare i rischi dell’industrializzazione e della globalizzazione, nel XXI secolo devono confrontarsi anche con le disuguaglianze e le sfide causate dall’emergenza climatica.
Per comprendere il cambiamento in atto, Hirvilammi et al. (2023) hanno individuato quattro dimensioni principali utili a inquadrare sia i nessi tra la trasformazione sociale ed emergenza climatica, sia a identificare le traiettorie future di sviluppo di un welfare sempre più capace di coniugare bisogni sociali e ambientali: nuovi rischi ecosociali, nozione di cittadinanza, tenuta dei modelli di welfare e rivisitazione del concetto di benessere.
Il cambiamento climatico fa emergere nuovi rischi sociali che non sono legati solo ai cambiamenti nei mercati del lavoro o nelle strutture familiari, ma richiedono una nuova concettualizzazione, considerando che si presentano meno osservabili, molto più complessi e hanno un effetto molto più ambiguo. Non sono legati a cambiamenti nei sistemi e nelle strutture statali (e quindi delimitati a livello territoriale), bensì possono impattare allo stesso tempo – anche se non in modo uguale – su scala globale, nazionale, regionale e locale.
Questi si aggiungono ai rischi sociali esistenti, formando una complessa struttura multistrato di rischi e bisogni. I rischi associati alla crisi climatica hanno effetti diretti e indiretti, difficili da prevedere e. da contenere. Si pensi al caldo estremo nei mesi estivi e alle conseguenze sulla salute della popolazione anziana. Congiuntamente gli impatti sono a lungo termine e difficili da governare e, se non affrontati adeguatamente, mettono sotto pressione i sistemi di welfare esistenti, generando nuovi tipi di conflitti distributivi, nuove forme di ingiustizia tra i segmenti della popolazione e creando disuguaglianze tra le generazioni attuali e future.
I sistemi più vulnerabili saranno colpiti in modo sproporzionato, rendendo le disuguaglianze ancora più difficili da contrastare a causa della natura indiretta e complessa dei problemi in gioco e delle nuove sfide poste dalle politiche pubbliche di mitigazione.
Cambiare il concetto di cittadinanza sociale
Se cambiano i rischi e i bisogni cambia anche il concetto di cittadinanza sociale (Marshall 1950), riferimento per comprendere come le responsabilità e i diritti siano condivisi tra gli individui e lo Stato. Oltre ai diritti civili, politici e sociali tradizionali, la cittadinanza ecologica (Dean 2000) si aggiunge come dimensione fondamentale, legata alla responsabilità ambientale degli individui.
Le politiche sociali devono così evolversi per riflettere il fatto che le azioni individuali influiscano sul benessere collettivo e sull’ambiente. La “cittadinanza verde” spinge a ripensare la partecipazione civica e la responsabilità, incoraggiando i cittadini a ridurre il proprio impatto ambientale e a partecipare attivamente a politiche che mirano a garantire un futuro ecologico sostenibile. In questo contesto, la “pratica di prendersi cura del mondo” diventa un dovere fondamentale, non solo per le istituzioni, ma per ogni individuo come parte di una comunità globale. E può diventare un’ulteriore leva di attivazione e socializzazione che vede gli anziani protagonisti.
La crescente consapevolezza dei problemi ambientali suggerisce anche la necessità di rivedere la divisione interna del welfare e di immaginare nuovi modelli che includano la dimensione ecologica e prevedano un insieme di istituzioni e pratiche dedicate alla gestione delle interazioni tra società e ambiente, tra cui agenzie ambientali, legislazione ad hoc e organismi associati, bilanci dedicati e disposizioni finanziarie e fiscali in materia ambientale (Duit et al. 2016), così da creare una maggiore integrazione intersettoriale tra politiche, misure di mitigazione, decarbonizzazione e interventi in caso di eventi catastrofici.
Rivisitare il concetto di benessere
Veniamo infine al concetto di benessere: quest’ultimo tradizionalmente è legato alla soddisfazione individuale, ma oggi si evolve in una visione più relazionale, in cui la qualità della vita dipende non solo dalla ricchezza materiale, ma anche dalla qualità delle relazioni sociali e dalla salute degli ecosistemi. In questo nuovo quadro, il benessere umano è intrinsecamente legato alla biodiversità e alla sostenibilità ecologica, e non può più essere concepito come separato dalla salute del pianeta.
La crisi climatica solleva quindi importanti interrogativi su come ripensare il benessere, così da tenere conto dei limiti ecologici e delle disuguaglianze sociali che ne derivano. I modelli di welfare tradizionali devono essere integrati da una prospettiva che consideri le esigenze ecologiche e metta in campo politiche eco-sociali capaci di contribuire a un benessere sostenibile a lungo termine. Pertanto, territori e comunità diventano spazi in cui è sempre più necessario favorire l’integrazione tra servizi in risposta alla globalità dei bisogni.
Mandelli (2022) definisce il welfare eco-sociale come un insieme di politiche pubbliche che integrano obiettivi ambientali e sociali, affrontando le sfide del cambiamento climatico e delle disuguaglianze sociali. Questo approccio mira a promuovere una transizione giusta, garantendo che le politiche ambientali non solo proteggano l’ambiente, ma contribuiscano anche al benessere sociale e alla giustizia distributiva. In particolare, Mandelli (2022) propone una definizione operativa del welfare eco-sociale, enfatizzando la necessità di politiche che affrontino simultaneamente le questioni ecologiche e sociali. A questo scopo è importante differenziare le politiche eco-sociali secondo due dimensioni: il grado di integrazione tra approccio reattivo e approccio preventivo e il legame con la crescita economica tra funzione di protezione e funzione di investimento. Questo consente di elaborare i possibili ruoli che lo Stato sociale può svolgere di fronte alle sfide ambientali mettendo in campo, ad esempio, soluzioni preventive rispetto all’invecchiamento e alla longevità e orientate all’investimento sociale piuttosto che alla mera protezione di bisogni di non autosufficienza.
Un welfare eco-sociale che considera la sfida dell’invecchiamento tra longevità attiva e non autosufficienza è, quindi, chiamato a passare dalla difesa dello status quo alla costruzione di un welfare che prende sul serio i limiti della crescita economica; propone una concezione di benessere che include il rapporto tra esseri umani, natura e qualità della vita; pone al centro delle politiche la giustizia globale; promuove un concetto di cittadinanza volto a integrare i diritti ecologici e la partecipazione attiva alla lotta contro il cambiamento climatico.
Affrontare l’invecchiamento integralmente
Questa visione eco-sociale appare fondamentale per affrontare le sfide dell’invecchiamento sopra descritte. Per governare un sistema complesso, è necessario dotarsi di un approccio integrale in grado di implementare politiche e strategie di intervento capaci di rispondere ai bisogni specifici della popolazione anziana, in particolare della fascia che verte in una condizione di non autosufficienza.
Per scalare tale obiettivo, è necessario adottare una logica di sistema fondata su alcuni concetti chiave. Innanzitutto, risulta necessario contrastare la frammentazione attraverso l’adozione di un approccio integrato, da un lato, sul piano politico, prevedendo una convergenza tra Ministeri e istituzioni. L’integrazione di politiche, difatti, viene individuata come un vero e proprio cambiamento culturale, in cui al centro vi è quello di sviluppare un rapporto dialogico e definizioni condivise sul problema degli anziani non autosufficienti come punti di partenza per mettere in piedi un sistema di risposte adeguato.
L’ambito della cura, ormai, non riguarda solo l’area sanitaria e sociale: sarebbe una concezione riduttiva. È richiesta, pertanto, la capacità di mettere insieme diverse aree politiche (legate all’area abitativa, alla mobilità, all’urbanistica, ecc.). Dall’altro lato, è necessario parlare di integrazione rispetto alla governance e al coordinamento delle misure. Tale proposta è da esercitarsi in particolare a livello locale, in cui per il momento vige un paniere variegato di servizi formali e informali, disconnessi tra loro, che determina una sovrapposizione di interventi e una modalità disorganica della presa in carico. I servizi domiciliari ne sono un esempio, considerando che si dividono in due macrocategorie di interventi (di natura sanitaria e di natura socio-assistenziale), caratterizzati da una titolarità differente, il cui principale esito è una parcellizzazione del risposte.
A riguardo è determinante abbandonare una logica meramente prestazionale e settoriale per lasciare spazio a un’organizzazione multidimensionale e multidisciplinare delle prestazioni (Longo e Maino 2021). In altre parole, è necessario passare da servizi volti a rispondere a singoli bisogni a un sistema della cura in grado di avere uno sguardo complessivo rispetto alla condizione dell’anziano e dei molteplici fattori di fragilità, nonché dei familiari caregiver e dell’onere del carico di cura.
Il paradigma della collaborazione tra enti
Adottare un’ottica disciplinare chiama inevitabilmente in causa il paradigma della collaborazione tra enti pubblici, privati e del privato sociale, ossia un approccio di “secondo welfare”, in cui tutti i soggetti coinvolti vanno sviluppando sinergie per migliorare la capacità di intervento rispetto ai bisogni emergenti, in particolare valorizzando le competenze dei territori (Guarna e Maino 2024).
In questa direzione, negli ultimi anni sono aumentate le co-progettazioni tra attori diversi, al fine di erogare una risposta unitaria e di qualità. Sarebbe auspicabile rendere strutturali e sostenibili nel tempo tali progettualità, ma ancora di più aumentare le occasioni di co-programmazione dei servizi, con la finalità di poter agire un sistema condiviso della cura, attraverso un ampio coinvolgimento delle comunità. Queste ultime non vanno più considerate come un soggetto che fruisce in modo passivo le misure, bensì come un attore coinvolgibile all’interno dei processi partecipativi, in particolare sollecitando le diverse risorse che ne fanno parte e che possono attivamente essere impiegate per far fronte ai problemi sociali che le abitano (Vicari Haddock 2005).
Infine, in una logica eco-sociale, il grande cambiamento è quello di realizzare non solo interventi riparativi che rispondano a una prospettiva di breve periodo e mirino a offrire una risposta a bisogni manifesti, ma di implementare sia interventi preventivi – che riflettano una prospettiva di medio periodo e mirino a prevenire le situazioni di disagio conclamato, intercettando precocemente le situazioni di vulnerabilità – sia interventi innovativi – che in una prospettiva di lungo periodo guardino alla promozione del benessere delle comunità in senso ampio, in grado di rispondere ai bisogni tenendo conto di tutto il ciclo di vita.
La lente eco-sociale ci stimola ad andare oltre ai “perimetri” del welfare tradizionale a cui siamo abituati, e a costruire – attraverso l’integrazione, le pratiche collaborative e partnership multi-attore – un vero e proprio welfare della longevità.
Per approfondire
- Dean H. (2000), Green citizenship, in “Social Policy & Administration”, vol. 35, n. 5, pp. 490-505, doi. org/10.1111/1467-9515.t01-1-00249
- Duit A., Feindt P.H. e Meadowcroft J. (2016), Greening Leviathan: The rise of the environmental state?, in “Environmental Politics”, vol. 25, n. 1, pp. 1-23, doi.org/1 0.1080/09644016.2015.1085218
- Guarna A.R., Maino F., (2024), Agire insieme per cambiare il welfare: quale ruolo per le pratiche collaborative?, Impresa sociale, 2/2024, p. 13
- Hirvilammi T., Häikiö L., Johansson H., Koch K. e Perkiö J. (2023), Social Policy in a Climate Emergency Context: Towards an Ecosocial Research Agenda, in “Journal of Social Policy”, doi:10.1017/S0047279422000721
- Longo F. e Maino F., a cura di, (2021), Platform Welfare. Nuove logiche per innovare i servizi locali, Egea, Milano
- Mandelli M., (2022), Understanding eco-social policies: a proposed definition and typology, in “Transfer: European Review of Labour and Research”, vol. 28, n. 3, pp. 333-348
- Marshall T.H., (1950), Citizenship and Social Class, in Class, Citizenship, and Social Development, Anchor Books, New York
- Ranci, C., (2010) Social vulnerability in Europe, in Social Vulnerability in Europe, Palgrave Macmillan, Londra
- Taylor-Gooby P., (2004), New risks, new welfare: the transformation of the European welfare state, OUP Oxford.
- Vicari Haddock S., (2005), La rigenerazione urbana: frammentazioni e integrazioni, in L. Bifulco (a cura di), Le politiche sociali, Carocci, Roma
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link