“Un ambiente inclusivo attrae più talenti”

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Architetto, imprenditrice di successo che parla fluentemente quattro lingue, madre di tre figlie con un passato lavorativo in ambito internazionale, Cecilia Hugony ha lavorato per anni all’estero prima di rientrare in Italia e prendere le redini dell’azienda di famiglia, Teicos, una realtà milanese specializzata in riqualificazione energetica. Dal 2014 è diventata un punto di riferimento per le donne nel settore delle costruzioni, un ambito che conta una percentuale di donne solo pari al 9%.

Il suo impegno va ben oltre l’innovazione nel costruito: da anni lavora per promuovere l’inclusione e la parità di genere, sia all’interno della sua azienda che attraverso iniziative istituzionali come il progetto “ANChE DONNA” di Assimpredil ANCE. Nonostante in Italia persista un forte pregiudizio nei confronti delle donne imprenditrici, Cecilia è convinta che l’inclusione di genere rappresenti un vantaggio competitivo per le imprese, perché “un ambiente più inclusivo permette di attrarre più talenti, senza rinunciare al 50% del potenziale disponibile”.

Cecilia, la sua carriera è iniziata all’estero lontana dall’azienda di famiglia. Può raccontarci il suo percorso e cosa l’ha portata a rientrare in Italia?

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Il mio non è stato il classico percorso delle imprese familiari, anzi: mi sono formata all’estero e poi sono approdata all’azienda di famiglia. Dopo la laurea ho lavorato in Spagna, in Francia, in Nord Africa per circa 15 anni, con esperienze sia come progettista che in un centro di ricerca e sviluppo, ma anche in ambito museale. Poi, con la nascita della mia terza figlia, ho deciso di rientrare in Italia. E qui ho subito uno shock culturale: mi sono resa conto di quanto in Italia fosse ancora forte il pregiudizio nei confronti delle donne imprenditrici. Mentre all’estero la maternità era vista come un fatto normale, in Italia ha creato non poche difficoltà nei rapporti con i datori di lavoro. Allora mi sono trovata a fare una scelta.

Ed è a questo punto che è entrata nell’azienda di famiglia?

Sì, l’impresa fondata da mio padre era in un momento di difficoltà e ho deciso di investire lì le competenze acquisite all’estero. Non avevo esperienza nel settore e non avevo conoscenze sul mercato italiano, quindi mi sono mossa con le competenze che avevo maturato all’estero. L’azienda di famiglia si occupa di riqualificazione edilizia soprattutto nel campo dell‘efficienza energetica: ho portato innovazione e trasformazione tecnologica, acquisita sul fronte della ricerca e dello sviluppo. Questo ci ha permesso di partecipare e vincere un importante progetto europeo, creando un team specializzato e introducendo un metodo di progettazione condivisa che poi abbiamo interiorizzato come azienda e replicato con successo.

Lo avete fatto grazie anche a una squadra in gran parte femminile. Com’è essere una donna nel settore dell’edilizia?

Non è semplice. Il settore è ancora molto maschile, le donne impiegate nell’edilizia sono solo il 9%, una percentuale bassissima. E ci sono ancora pregiudizi radicati. In passato, per esempio, nelle gallerie in costruzione si credeva che la presenza di donne portasse sfortuna. Oggi le cose stanno cambiando, ma spesso capita che un direttore lavori si rivolga a un subappaltatore uomo piuttosto che alla responsabile donna, perché non la vede come interlocutrice autorevole. Questo porta le donne a dover dimostrare costantemente il proprio valore, con un carico di stress aggiuntivo.

E questo influenza il turnover femminile?

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Sì, notiamo che le donne lasciano più frequentemente degli uomini, sia per l’alto livello di burn out, che per la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Anche la maternità è ancora un nodo cruciale: nonostante programmi di supporto, molte donne si sentono in difficoltà nel gestire entrambi gli aspetti. Sono tutti fattori sui quali, come settore e come azienda, dobbiamo lavorare.

Come gestite il tema della conciliazione del lavoro con la maternità?

Abbiamo sviluppato percorsi di accompagnamento per le madri, flessibilità lavorativa e programmi per ridurre la pressione nei primi mesi di vita del figlio. Ad esempio, permettiamo alle madri di ricollocarsi in una posizione lavorativa più adatta alle sue esigenze quando nasce un figlio. Nonostante questo, tante donne altamente qualificate, dopo essere diventate madri, faticano a conciliare il lavoro con la gestione familiare, che spesso non è equamente condivisa con il partner. Questo le spinge a scegliere ruoli meno stimolanti, con meno responsabilità, per avere maggiore equilibrio. Cerchiamo soluzioni per supportarle e aiutarle a non abbandonare il proprio percorso professionale, evitando scelte di cui potrebbero pentirsi in futuro. E questa più che una questione aziendale, è tema sociale che richiede un cambiamento culturale più ampio.

Nella sua azienda si può concretamente parlare di parità di genere?

Siamo stati tra le prime aziende a ottenere la certificazione per la parità di genere secondo la PDR 125-2022, per cui abbiamo scelto di adottare procedure e strumenti per promuovere e tutelare la diversità e le pari opportunità sul luogo di lavoro, misurandone gli stati di avanzamento e i risultati. Abbiamo un tasso di quote rosa pari a quasi il 50% (escludendo gli operai) e pari opportunità di crescita professionale. E sensibilizziamo tutto il team, uomini compresi, sui pregiudizi di genere.

E per quanto riguarda la parità salariale?

In ingresso non esiste un gap salariale tra uomini e donne. Ma nel tempo emerge una differenza: le donne tendono a chiedere meno aumenti rispetto agli uomini. In alcuni casi interveniamo direttamente, e ripristiniamo una situazione di equità, aumentando lo stipendio anche a chi non lo ha chiesto di modo da assicurarci che il gap non aumenti.

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Secondo lei, maggiore inclusione femminile significa maggiore efficienza aziendale?

Assolutamente sì. I team misti sono più collaborativi e meno competitivi, il che favorisce la condivisione delle informazioni e quindi una migliore qualità del lavoro. Le donne hanno una forte capacità di adattamento e una grande creatività che si traducono nella disponibilità alla collaborazione con tutti i colleghi, con pochissima competizione interna. Inoltre, un ambiente più inclusivo consente di attrarre più talenti, senza rinunciare al 50% del potenziale disponibile.

Lei è anche rappresentante di Assimprendil ANCE per l’imprenditoria femminile nella Camera di commercio di Milano Lodi Monza Brianza, e consigliere delegato del Progetto Donne di Assimpredil ANCE “ANChE Donna”.

E’ un progetto che punta a valorizzare il ruolo delle donne settore delle costruzioni. L’obiettivo è quello di creare un network di donne imprenditrici capaci di confrontarsi su come aumentare il tasso di occupazione femminile nel settore edile, andando oltre gli stereotipi, per far sì che si traduca in opportunità lavorative di maggiore qualità, sia attraverso un lavoro sugli aspetti contrattuali sia sviluppando operazioni di welfare dedicate. Bisogna trovare dinamiche e modalità per conciliare l’essere donna, senza alcuna preclusione della propria vita personale, e preservare la grande professionalità e il valore aggiunto che la donna può fornire all’azienda e al Paese in generale.

Quali passi devono compiere le aziende per raggiungere una reale parità di genere?

È fondamentale promuovere la condivisione delle responsabilità familiari. Le aziende possono fare molto, ma serve un cambiamento culturale che parta dall’educazione. Dobbiamo superare stereotipi che vedono la madre come unica responsabile della cura della famiglia e incentivare politiche di congedo parentale anche per gli uomini. E le donne devono avere fiducia nel loro valore, non sentire addosso il peso di tutto ciò che le circonda ma credere sempre nelle proprie capacità, ignorando i pregiudizi.

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