Alla corte Costituzionale la questione di legittimità sui CPR

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1. Le ordinanze nn. 209-210-211-212/2024 pubblicate in G.U. n. 47 del 20.11.2024

Il Giudice di Pace di Roma, con quattro ordinanze di pressoché identico contenuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, secondo comma, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero: da qui in poi TUI) per violazione degli artt. 13, secondo comma e 117, primo comma, della Costituzione ed altresì per la violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, «in combinato disposto con gli artt. 10, secondo comma, 2, 13, 24, 25, primo comma, 111, primo comma e 32 primo comma della Costituzione».

Le ordinanze, emesse in data 17.10.2024, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 20 novembre scorso.

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In via di estrema sintesi, il Giudice di Pace di Roma, in quattro distinti giudizi relativi alla convalida del trattenimento presso il CPR di Roma Ponte Galeria, dopo aver verificato nel merito dei singoli casi la sussistenza dei requisiti formali per la convalida dei rispettivi trattenimenti, ha posto dubbi sulla legittimità costituzionale del trattenimento, così come succintamente disciplinato dall’art. 14 co 2 TUI: «Questa Giudicante, tuttavia, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 14 comma 2 del T.U.I. (genericamente dedicato ai “modi” del trattenimento amministrativo), posto che la convalida del decreto questorile che dispone il trattenimento amministrativo, comporta la permanenza coatta dello straniero nel C.P.R. (centro di permanenza per i rimpatri) per tre mesi, prorogabile in un periodo di complessivi diciotto mesi (v. art. 14 comma 5 del T.U.I.- Dlgs 286/1998), in stato di restrizione della libertà personale, tutelata dall’art 13 Cost., secondo modalità e procedimenti a tutt’oggi non puntualmente disciplinati da una normativa di rango primario, in violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’ art. 13, comma 2, della Costituzione italiana, della riserva rinforzata di legge di cui all’art. 10, comma 2 Cost., e in violazione altresì del principio di eguaglianza (art. 3, Cost., in relazione agli artt. 2, Cost., 13, Cost., 24 Cost., 25, comma 1, Cost., 111 comma 1, Cost.), con riferimento al caso analogo della detenzione in sede penale, disciplinata dall’Ordinamento Penitenziario (l. 354/1975), per la quale il controllo sulla legalità delle modalità di trattenimento è garantita dalla magistratura di sorveglianza, organo specializzato nella materia (art 102, comma 2, Cost.)».

Dopo la pubblicazione in Gazzetta delle ordinanze sopra richiamate, sono stati numerosi gli amicus curiae sia di Autorità pubbliche (Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale; il Garante della Regione Lazio e la Garante del Comune di Roma), sia del mondo accademico (ADiM), sia della società civile (Antigone, Arci, Asgi, Cild, SIMM). 

 

2. Sulla violazione dell’art. 13 della Costituzione

Il Giudice di Pace di Roma fa proprio l’indirizzo giurisprudenziale costituzionale che, a partire dalla nota sentenza n. 105/2001, ritiene la restrizione della libertà personale in cui si concreta il trattenimento amministrativo nei CPR, rientra a pieno titolo nella copertura dell’art. 13 della Costituzione italiana, quanto meno, nelle «altre restrizioni della libertà personale», menzionate nel comma 2 dell’art. 13, Cost.

Fatta tale doverosa premessa, il Giudice rimettente ricorda che «Il diritto alla libertà personale, solennemente proclamato inviolabile, garantito dalla riserva assoluta di legge (fonte primaria statale, v. Corte Cost. sentenza n. 22/2022), deve infatti -metaforicamente- avere dinanzi a sé unicamente il potere legislativo, attribuito al Parlamento italiano, massima espressione del sistema democratico. Pertanto, non può residuare, in ragione della proclamata inviolabilità, alcun significativo spazio, demandato alla discrezionalità di poteri diversi da quello Legislativo. E’ dunque soltanto la “legge” che può e deve individuare specificamente i “casi” (le ipotesi), e i “modi” (modalità, procedure, garanzie giurisdizionali, di controllo di legalità da parte dell’autorità giudiziaria), per le restrizioni della libertà personale, che integrano – ai sensi dell’art. 13, comma 2 Cost.- “eccezioni” alla proclamata “inviolabilità” di tale fondamentale diritto. La riserva di legge sancita dall’articolo 13 comma 2 della Costituzione è “assoluta”, la disciplina è riservata alla legge del Parlamento italiano, con esclusione di altre fonti. Come è noto, e ribadito da autorevole dottrina, nelle materie riservate in via assoluta alla legge, resta escluso l’esercizio del potere regolamentare, salvo che si tratti di regolamenti di stretta esecuzione».

Il Giudice di Pace di Roma rinviene quindi in un recente arresto della Corte Costituzionale la conferma del carattere assoluto della riserva non soltanto sui casi del trattenimento ma anche sui modi del trattenimento. Il riferimento è alla sentenza n. 22/2022 della Corte Costituzionale, in un caso analogo (la privazione di libertà nelle “REMS”) a proposito della quale il Giudice rimettente osserva quanto segue: «con riferimento all’analoga questione relativa alla Misura di sicurezza del Ricovero provvisorio presso una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), sulla cui esecuzione è chiamato a sovraintendere il Magistrato di Sorveglianza, nella sentenza citata (n. 22/2022 della Corte Costituzionale), si ribadisce la necessità di applicare all’intera disciplina il principio della riserva di legge». D’altronde, osserva il Giudice di Pace, proprio in tale recente arresto la Corte ha chiarito che «la legge non può non farsi carico della necessità di disciplinare in modo chiaro, e uniforme sul territorio, il ruolo e i poteri della magistratura di sorveglianza rispetto al trattamento degli internati e ai loro strumenti di tutela giurisdizionale nei confronti delle relative amministrazioni (…)».

Nel caso del trattenimento in CPR l’art. 14, co. 2 TUI (come sostituito dall’art. 3, comma 4, lett. a), D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173.), si limita a disporre che: «lo straniero è trattenuto nel centro presso cui sono assicurati adeguati standard igienico sanitari e abitativi con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, secondo quanto disposto dall’articolo 21 comma 8, del DPR 31 agosto 1999 n. 394. Oltre a quanto previsto dall’articolo 2 comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno».

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A tale quadro, ben poco aggiunge l’art. 14 comma 2 bis, prevedendo che: «lo straniero trattenuto può rivolgere istanze o reclami orali o scritti anche in busta chiusa al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale».

Le norme appena menzionate (art. 14, commi 2 e 2 bis del Dlgs 286/1998), non soddisfano i requisiti di precisione, implicitamente imposti dalla riserva assoluta di legge; risulta poi totalmente omessa l’individuazione dell’autorità giudiziaria competente al controllo di legalità dei “modi” di privazione della libertà personale, parimenti oggetto di riserva assoluta di legge (art. 25, comma 1, Cost.), con ripercussioni sul principio di eguaglianza, sul diritto di difesa, sulla tutela del diritto alla salute dei soggetti in stato di detenzione amministrativa.

La tutela del cittadino straniero che si trovi in stato di “restrizione della libertà personale” all’interno dei CPR, e per tutta la durata della detenzione amministrativa , è sostanzialmente affidata – nella situazione attuale – alla fonte secondaria (art. 21, D.P.R. n. 394/1999, intitolato “modalità del trattenimento”, richiamato dall’art. 14, comma 2 del Dlgs 286/1998), e alle altre fonti gerarchicamente subordinate, sopra richiamate.

In conclusione, l’art. 14, comma 2 del TUI, viola la riserva assoluta di legge imposta dall’art. 13, comma 2 della Costituzione, rinviando pressoché integralmente a fonti subordinate, per la disciplina dei “modi” di privazione della libertà personale, omettendo inoltre di individuare l’autorità giudiziaria competente al controllo di legalità dei “modi”, e di disciplinare ruolo e poteri di tale giudice.

In definitiva, i dubbi di legittimità della scarna cornice normativa primaria sono rinvenuti dal Giudice a quo dal contenuto non precettivo dell’art. 14 in commento che si limita «ad indicazioni generiche e di principio, e affida pressoché esclusivamente alla fonte subordinata (art. 21 comma 8 DPR 31.8.1999 n. 394), i “modi” di esecuzione del “trattenimento amministrativo” nei C.P.R., in contrasto con la riserva assoluta di legge imposta dall’art 13, comma 2 della Costituzione». Ancora, l’art. 14 omette l’elenco dei diritti dei soggetti “trattenuti” e l’annessa disciplina e «non si menzionano, né si descrivono, le modalità del trattenimento, le garanzie procedimentali e giurisdizionali, a tutela di tali diritti…-Non risultano quindi disciplinati né ruolo, né i poteri dell’autorità giudiziaria competente, rispetto al controllo dei “modi” del trattenimento dei cittadini stranieri “irregolari”, in stato di detenzione amministrativa».

Anche nella prima questione proposta dal Giudice rimettente (relativa al solo art. 13 e senza rinvii all’art. 3 della Costituzione) il riferimento costante che viene proposto è alla realtà carceraria che, ,di contro, trova una puntuale disciplina sui modi del trattenimento nell’ordinamento penitenziario (legge 354/1975) «che regola puntualmente le modalità in cui deve svolgersi la detenzione in sede penale, e le connesse garanzie, in conformità con la riserva di legge assoluta prevista dall’art. 13, comma 2 Cost. (v. Corte Cost., n. 26/1999), e con gli artt. 24 Cost., 25, comma 1, Cost., 111, comma 1, Cost. (l’O.P., per il caso analogo, contempla anche ruolo e poteri della magistratura di sorveglianza: v. artt. 68 e seguenti della legge 354/1975). Al contrario, per la detenzione amministrativa, l’unica fonte primaria (art. 14 del Testo Unico Immigrazione, Dlgs 286/1998), non prevede né i “modi”, né i procedimenti a garanzia dei diritti del trattenuto, né individua l’autorità giudiziaria competente al controllo dei “modi” di privazione della libertà personale, per tutto l’arco temporale in cui si protrae il trattenimento all’interno del C.P.R.».

 

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3. Sulla violazione dell’art. 3 della Costituzione

Il giudice a quo dubita altresì della legittimità costituzionale dell’art. 14 comma 2 del TUI, per violazione del principio di eguaglianza sancito nell’art. 3, Cost., nella parte in cui, omettendo di disciplinare i “modi” del trattenimento amministrativo nei C.P.R., ed omettendo di prevedere la competenza, il ruolo e i poteri dell’autorità giudiziaria deputata alla tutela dei diritti dei soggetti in stato di detenzione amministrativa, attua una ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento, con la situazione, sostanzialmente identica, dei soggetti in stato di detenzione “penale” nelle strutture carcerarie, puntualmente disciplinata dall’Ordinamento Penitenziario (l. 354/1975).

Il Giudice a quo in primo luogo denuncia come nel caso dei CPR il giudice di pace è competente al controllo dei “casi” di trattenimento amministrativo, mentre, in relazione ai “modi” del trattenimento amministrativo, la fonte primaria tace del tutto. 

Sussiste dunque un vero e proprio vuoto normativo (fonte primaria), realizzato dall’art. 14, comma 2 del Dlgs 286/1998, in forza del quale, i “modi” del trattenimento all’interno dei CPR, l’esercizio e la tutela dei diritti degli stranieri trattenuti nei CPR, sono demandati alla discrezionalità di Prefettura, Questura, ed enti privati gestori dei C.P.R., senza la garanzia di un effettivo controllo giurisdizionale del trattamento: risulta infatti omessa anche la previsione di un controllo giurisdizionale analogo a quello esercitato dalla magistratura di sorveglianza, prevista dall’Ordinamento penitenziario (v. artt. 68 e seguenti, legge n. 354/1975). 

I tre aspetti cruciali di tale disparità di trattamento tra limitazione della libertà personale in ambito penale e in ambito amministrativo sono individuati sempre nella scarna previsione dell’art. 14 che ad avviso del Giudice di pace:

– non individua gli standard minimi di tutela (anche con riferimento al fondamentale diritto alla salute), dei soggetti trattenuti nei CPR., in relazione ai quali, il parametro di legittimità è senza dubbio costituito dalla normativa contenuta nell’Ordinamento Penitenziario (legge 354/1975), e dalla CEDU, che il legislatore italiano è tenuto a rispettare (art. 117, comma 1, Cost.);

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– omette di indicare le modalità di tutela dei suoi diritti fondamentali (incluso il diritto alla salute), all’interno dei CPR, e durante tutto il periodo del trattenimento; i procedimenti di audizione e decisione riguardanti il trattenuto, i rimedi giurisdizionali avverso le violazioni di tali diritti, potenzialmente perpetrate all’interno dei CPR.;

– omette di individuare l’autorità giudiziaria (specializzata), competente alla tutela dei diritti del soggetto in stato di detenzione amministrativa nei CPR., e competente rispetto alla gestione e al trattamento di tali soggetti; omette quindi anche di disciplinare ruolo, compiti e poteri dell’autorità giudiziaria in questione.

Al contrario, la situazione dei soggetti detenuti all’interno delle strutture carcerarie, è puntualmente disciplinata dall’Ordinamento Penitenziario (fonte primaria, legge n. 354/1975), che in sintesi prevede e disciplina i diritti dei detenuti, le garanzie sul trattamento penitenziario, i rimedi giurisdizionali, e prevede la competenza della magistratura di sorveglianza (“specializzata”), deputata al controllo sulla legalità delle modalità della restrizione della libertà personale, alla tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti.

Sussiste quindi una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento, tra situazioni sostanzialmente eguali (trattenuti nei CPR, a titolo di “detenzione amministrativa”, ai sensi dell’art. 14, comma 1 del Dlgs 286/1998; detenuti negli istituti penitenziari ex art. 59, legge 354/1975, a titolo di “detenzione penale”), in violazione dell’art. 3, Cost., con riferimento al diritto alla libertà personale proclamato inviolabile dagli artt. 2 Cost. e 13 Cost., al diritto di difesa dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale, precostituito per legge (art. 24, Cost.; 25, comma 1, Cost.; 111 comma 1, Cost.), e al diritto alla salute (art. 32, Cost.).

Del resto, la limitazione della libertà fisica all’interno dei CPR, al pari di quella che avviene all’interno delle strutture carcerarie gestite dallo Stato, si protrae per un significativo arco temporale (attualmente, massimo 18 mesi), nel corso del quale possono naturalmente verificarsi gli episodi più disparati, che inevitabilmente coinvolgono molteplici diritti fondamentali dell’uomo (salute, libertà fisica e morale, diritto di difesa).

La situazione in cui si trovano le due categorie di soggetti, è quindi sostanzialmente identica, concretandosi nella restrizione della libertà personale, che rientra nell’alveo di applicazione dell’art. 13, comma 2 Cost.

Il giudice a quo, ritiene al riguardo che l’evidenziata e notevole disparità di trattamento di cui si discute, sia ingiustificata ed irragionevole, poiché non necessaria per il perseguimento di “fini costituzionali”: «La difesa dei confini nazionali dall’immigrazione “irregolare”, con i rischi che essa indubbiamente comporta per la sicurezza pubblica, anche se intesa quale legittimo “fine costituzionale”, non potrebbe che essere considerato “subalterno”, rispetto alla necessità di tutelare e garantire il bene supremo della libertà personale dell’individuo, diritto inviolabile che spetta agli uomini in quanto tali, in eguale metaforica “misura”. E l’eguaglianza, come insegnato, costituisce presupposto essenziale dei diritti inviolabili dell’uomo, tra cui spicca la libertà personale. Per tali motivi, la necessità di contrastare l’“immigrazione irregolare”, non può essere considerata valido criterio di differenziazione, per l’adozione di discipline diverse, ostandovi l’inviolabilità, con efficacia erga omnes, del diritto alla libertà personale, riconosciuto all’essere umano in quanto tale».

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4. Sulla impossibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata

La possibilità di una interpretazione conforme a Costituzione del menzionato articolo 14, comma 2, Dlgs 286/1998, non risulta percorribile, in considerazione della natura stessa del dubbio in oggetto, che riguarda fondamentalmente la violazione della riserva di legge assoluta, prevista dall’art. 13, comma 2 Cost., alla quale consegue la violazione dell’ art. 3 Cost., con riferimento agli artt. 2 Cost., 13, Cost., 32, Cost., 24, Cost., 25, comma 1, Cost., 111, comma 1 Cost., per le ragioni evidenziate.

Si dubita infatti della legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2 del Dlgs 286/1998, per la violazione della competenza esclusiva del Parlamento della Repubblica, per violazione della riserva assoluta di fonte primaria, imposta dall’art. 13, comma 2 Cost., nel senso sopra esposto.

D’altronde, anche i timidi recenti tentativi del Legislatore non hanno colmato le denunce di incostituzionalità puntualmente delineate nelle quattro ordinanze gemelle in commento. Si fa riferimento, in particolare, all’intervento additivo avuto con il Decreto legge n. 130/2020 che ha aggiunto il citato comma 2-bis all’art. 14 del Testo Unico, con riferimento alla possibilità per lo straniero trattenuto di poter rivolgere istanze e reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale. Occorre però innanzitutto rilevare che tale rimedio è per definizione di natura non giurisdizionale e pertanto inidoneo a risolvere la temuta illegittimità costituzionale di una normativa che non prevede garanzie e tutele efficaci in caso di lesione dei diritti fondamentali dei trattenuti all’interno dei CPR. 

In proposito, seppure non esplicitamente citate nelle ordinanze in commento, significative sono le argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale nella sentenza 26/1999 circa la natura non giurisdizionale del reclamo (proponibile al magistrato di sorveglianza) allora oggetto della questione di legittimità, del tutto sovrapponibili nella sostanza al reclamo introdotto nel 2020 nei CPR (ma affidato esclusivamente ai Garanti, in assenza di un’autorità giurisdizionale che svolga nei CPR funzioni analoghe a quelle assolte della magistratura di sorveglianza negli Istituti penitenziari): «la decisione che accoglie il reclamo si risolve in una segnalazione o in una sollecitazione all’amministrazione penitenziaria, senza forza giuridica cogente e senza alcuna specifica stabilità, e che avverso la decisione del magistrato di sorveglianza non sono ammessi né ulteriori reclami al tribunale di sorveglianza né, soprattutto, il ricorso per cassazione. Da tutto questo si trae che il reclamo di detenuti o internati, ancorché rivolto al magistrato, non si distingue da una semplice doglianza, in assenza di alcun potere dell’interessato di agire in un procedimento che ne consegua. Ciò che si presenta, senza necessità di alcun’altra considerazione, contrario alla garanzia che la Costituzione prevede nel caso della violazione dei diritti».

Ne consegue che, come correttamente osservato dal Giudice a quo, nessuna interpretazione costituzionalmente orientata può colmare la lacuna dell’assenza dei modi del trattenimento e dell’assenza di un Giudice in caso di loro violazione, essendo entrambe le materie coperte da riserva assoluta di legge. 

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5. Conclusioni

Le questioni costituzionali formulate dal Giudice di Pace afferiscono un ambito, quello della detenzione amministrativa, che sin dal suo avvio (1998) si è materialmente caratterizzato per la sistematica violazione dei diritti fondamentali, tanto da essere definiti i CPR “buchi neri” del diritto, dove alla violazione dei diritti non consegue alcuna forma di tutela giurisdizionale. L’assenza di garanzie primarie e secondarie è stata da ultimo denunciata nel rapporto pubblicato lo scorso 13 dicembre a firma del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa. Il rapporto fa riferimento alle visite avvenute ad inizio 2024 in 4 CPR italiani (Roma, Gradisca, Potenza e Milano) e restituisce un quadro allarmante di diffusa e reiterata violazione del diritto alla salute e di altri diritti fondamentali.

D’altronde è lo stesso giudice rimettente a ricordare che sempre nel corso del 2024 l’Autorità italiana ha subito reprimende anche dall’autorità giudiziaria del Consiglio D’Europa: «Emblematico, al riguardo, il recente caso, oggetto di censura della Corte Europea dei Diritti Umani, la quale, con decisione n. 17499 del 3 luglio 2024, ha accolto una istanza ai sensi dell’art. 39 del Regolamento della Corte, di emissione di provvedimento cautelare in via di urgenza, a tutela del diritto di salute di una cittadina straniera trattenuta all’interno del C.P.R., con violazione degli standard imposti dall’art. 3 CEDU (caso cagionato, in estrema sintesi, dalle evidenziate, macroscopiche lacune legislative, anche con riferimento alla mancanza di una autorità giudiziaria specificamente deputata alla tutela dei diritti dei trattenuti -tra cui il diritto alla salute- dotata di validi strumenti di tempestivo controllo)».

Dunque, le questioni costituzionali analizzate in questo scritto, lungi dall’avere solo interesse dottrinario e formale, rappresentano un vulnus sostanziale di diritti, e annesse garanzie, che devono trovare soluzioni immediate ad opera del Legislatore onde evitare che altre tragedie siano consumate mentre i trattenuti sono affidati al potere statuale. 

Stefano Anastasia, docente di filosofia e sociologia del diritto nell’università di Perugia 
 
Gennaro Santoro, avvocato del foro di Roma

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