voto di scambio, “processare Papania” – Libero Quotidiano

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Simone Di Meo

Era uno dei big del Pd siciliano, ora è rinchiuso da settembre nel carcere Pagliarelli di Palermo e rischia di finire sotto processo per scambio elettorale politico-mafioso. Sono lontani i tempi in cui Antonino Papania sedeva a Palazzo Madama sotto le insegne del Nazareno, dopo una vita passata nei Ds. Per lui e per altri 12 imputati, il pm della Dda Piero Padova ha chiesto il rinvio a giudizio per una sfilza di reati su cui incombe, minacciosa, l’ombra di Cosa nostra. Per la Procura del capoluogo siciliano, Papania avrebbe chiesto voti per il suo movimento politico Via (Valore, impegno, azione) al boss di Alcamo, Giosuè Di Gregorio, tramite l’ex vicesindaco del piccolo centro, Pasquale Perricone.

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In particolare, l’ex senatore avrebbe pagato il padrino per rastrellare preferenze a favore del suo coordinatore provinciale, Angelo Rocca, in occasione delle elezioni regionali del 2022. Un’accusa confortata, secondo il pm, da un’intercettazione ambientale di Di Gregorio che al fratello confidava: «Dobbiamo votare questo […] il senatore mi ha preparato 2mila euro che mi darà mercoledì, Papania, hai capito?». Oltre ai soldi, c’è scritto nell’avviso di conclusione delle indagini, il pubblico ministero sospetta che Papania abbia promesso al capomafia «altre utilità» nonché la «disponibilità a soddisfare gli interessi», anche «occupazionali», di Cosa nostra.

 

Per il gip, che ne ha ordinato l’arresto sei mesi fa, il politico – già assessore siciliano al Lavoro e consigliere regionale tra i più votati dell’Assemblea – non avrebbe avuto remore a rivolgersi agli «influenti membri dell’associazione mafiosa» a «riprova della spregiudicatezza con la quale esercitava la sua influenza politica sul territorio di Alcamo e nei comuni vicini».

Un’area in cui si staglia egemone la figura criminale di Di Gregorio. Mammasantissima vecchio stile, è tratteggiato nelle informative della polizia giudiziaria come il «ministro degli Esteri» della famiglia mafiosa di Alcamo, in rapporti di buon vicinato con le altre cosche dell’isola e pure con la ‘ndrangheta calabrese. Di Gregorio deve rispondere non solo del capo di imputazione in concorso con Papania e Perricone, ma anche di diversi episodi di estorsione e di intimidazione commessi nel feudo di famiglia ai danni di cittadini inermi. Avrebbe costretto un giovane a lasciare il lavoro da buttafuori in una discoteca di Trapani, per aver litigato con il figlio di un suo amico, anche lui dipendente della struttura. Avrebbe poi obbligato un imprenditore a rinunciare alla sua quota in una società aperta con il suocero di Perricone e, infine, avrebbe assicurato a un suo picciotto cinque mesi di stipendio, versati dal datore di lavoro, nonostante questi fosse impossibilitato a svolgere una qualsiasi mansione perché finito in galera.

Papania, come tutti gli altri imputati, avrà modo di difendersi e di far valere le proprie ragioni davanti al gup ma, nel giro di qualche mese, potrebbe trovarsi a dover affrontare un’altra grana giudiziaria: starebbero, infatti, quasi per chiudersi le indagini relative a un altro filone in cui l’ex senatore dem è stato coinvolto con una misura cautelare agli arresti domiciliari, emessa nell’ottobre scorso. Don Antonino, infatti, com’è conosciuto nel suo paese d’origine, avrebbe dissanguato gli enti di formazione professionale, a lui riconducibili, utilizzandoli come un bancomat per spese voluttuarie e per rafforzare il suo movimento Via, addirittura arrivando a «comprare» i politici rivali per farli passare dalla sua parte. Scrivono i pm nella richiesta di arresti: «La pratica del trasformismo politico sarebbe lecita, atteso che l’eletto non deve rendere conto al partito che lo ha candidato o all’elettore che lo ha votato, ma non, come emerge dalle indagini, quando detto cambio di casacca sottenda illecite promesse o percezioni di utilità».

La Procura ha stimato che sarebbero stati dissipati dalla lobby di Papania oltre 800mila euro a cui ben presto si sarebbero aggiunti altri 2,5 milioni di euro di fondi comunitari stanziati per l’avvio al lavoro di disoccupati di lunga durata e giovani. Finanziamenti che, però, sono stati bloccati proprio dallo scoppio dell’inchiesta. I reati contestati ai 24 indagati sono: truffa aggravata, corruzione, malversazione e riciclaggio. In Sicilia direbbero: «Doppu ’na gran festa, veni ’u gran scunfortu». Dopo il successo, arrivano le disgrazie.

 

 

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