La sanità piemontese è un campo di battaglia. Da un lato i medici, sul piede di guerra, pronti a impugnare carte bollate e a minacciare ricorsi al Tar, dall’altro la Regione, con l’assessore Federico Riboldi che non arretra di un millimetro e rilancia: “L’intramoenia può essere sospesa, la legge lo prevede. Io sto dalla parte dei cittadini”. In mezzo, come sempre, i pazienti, quelli che aspettano mesi per una visita, quelli che rinunciano a curarsi, quelli che nel sistema sanitario pubblico vedono ormai solo un miraggio. Il problema è lo stesso da anni: chi ha i soldi paga e passa davanti, chi non li ha aspetta. A volte troppo. A volte troppo tardi.
La questione è esplosa quando la Regione ha ventilato l’ipotesi di uno stop temporaneo all’intramoenia, cioè alla possibilità per i medici ospedalieri di svolgere visite private all’interno delle strutture pubbliche, dietro pagamento di una tariffa. Una pratica perfettamente legale, regolata da precise norme, ma che negli anni si è trasformata in un paradosso: la sanità pubblica rallenta, le liste d’attesa si allungano e la libera professione diventa l’unica via d’uscita per chi può permettersela. L’assessore Riboldi ha scelto di affrontare il tema di petto, con toni netti, senza lasciare spazio a trattative al ribasso. “Non si può più ignorare il grido di dolore dei piemontesi. Ci sono padri che mi scrivono perché non riescono a curare i propri figli. Io non posso restare indifferente”, ha dichiarato.
Le parole dell’assessore hanno immediatamente fatto scattare la reazione furiosa dei medici, che hanno denunciato un attacco senza precedenti alla categoria, parlando di un vero e proprio ricatto.
“Si vuole scaricare su di noi la responsabilità di un sistema che non funziona. L’intramoenia si svolge al di fuori dell’orario di lavoro, dopo ore di straordinari non pagati. Questo provvedimento non servirà a nulla”, ha dichiarato Chiara Rivetti, segretaria regionale di Anaao Assomed, la sigla che raccoglie i dirigenti medici.
I sindacati sono compatti: Aaroi Emac, Cimo-Fesmed, Fassid, FpCgil e Fvm si sono già mobilitati e annunciano una battaglia senza esclusione di colpi, a partire da una diffida formale nei confronti della Regione e delle Asl. Se lo stop all’intramoenia dovesse diventare realtà, il passo successivo sarà un ricorso al Tar.
Ma Riboldi non indietreggia. Il modello è quello già sperimentato in Abruzzo, dove il commissario Thomas Schael ha imposto uno stop temporaneo alla libera professione negli ospedali, offrendo ai medici due alternative: utilizzare quel tempo per smaltire le liste d’attesa pubbliche, ottenendo un compenso extra, o restare a casa.
L’idea è che senza l’intramoenia, i professionisti sanitari possano essere impiegati per recuperare visite e prestazioni bloccate da mesi. E il Piemonte potrebbe seguire la stessa strada.
“Non vogliamo punire nessuno, vogliamo solo garantire cure a chi oggi non le ha”, ha ribadito l’assessore, sottolineando che l’eventuale stop non sarà immediato, ma verrà preso in considerazione solo dopo aver tentato tutte le altre strade.
La sanità piemontese, però, si sta spaccando. Se i medici gridano al ricatto, gli infermieri si smarcano e aprono alla proposta della Regione.
“Noi siamo pronti a lavorare di più, ma vogliamo un riconoscimento economico adeguato. Non possiamo continuare a fare sempre le stesse cose e aspettarci risultati diversi”, fanno sapere dal sindacato Nursind, che si dice disponibile a collaborare per ridurre le liste d’attesa.
Una presa di posizione che rompe il fronte del no e apre nuovi scenari: il blocco dell’intramoenia potrebbe diventare una leva per ridiscutere compensi e organizzazione del lavoro, spostando il baricentro della trattativa dal piano politico a quello economico.
Nel frattempo, il rischio di una paralisi è dietro l’angolo. Se la Regione andrà avanti con il suo piano, i medici potrebbero scegliere la strada del braccio di ferro legale, trascinando la questione in tribunale e bloccando ogni intervento sulle liste d’attesa. E mentre le parti si scontrano, i numeri restano impietosi: tra l’8 e il 12% dei piemontesi ha dovuto rinunciare a curarsi perché non poteva permettersi di aspettare o di pagare una visita privata.
Il dibattito è aperto, lo scontro è appena cominciato e il finale è ancora tutto da scrivere. Ma una cosa è certa: mentre medici, politici e sindacati discutono, i pazienti continuano ad aspettare. E in troppi, ormai, hanno perso la speranza che qualcosa possa davvero cambiare.
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