Cassa integrazione e filiere non bastano, e nemmeno il Tecnopolo

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Per rilanciare l’economia nel 2025 non bastano i soliti cliché. Altrimenti dopo poco tempo ci si ritroverà daccapo e con meno possibilità di un cambiamento strutturale necessario subito

di Maurizio MoriniInnovation Manager


Gli osservatori plaudono ai risultati ottenuti dall’economia italiana e regionale nel 2024 in termini di occupazione e dinamiche delle filiere. Intanto in Emilia-Romagna le ore di Cassa Integrazione sono aumentate del 54% (dati di Regione, Cgil e Uil diffusi in gennaio scorso), dato superiore come incremento a quello medio nazionale.

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Nel contempo sono evidenti le difficoltà di interi settori strutturali per la nostra economia: situazioni problematiche riguardano il comparto dell’automotive (dove, come dice l’assessore regionale Colla, stiamo assistendo a un vero e proprio cambiamento di modello), la moda, le piccole imprese in generale anche in filiere strategiche in ambito regionale.

Tutto questo complesso scenario si aggrava con la minaccia dei dazi internazionali, soprattutto dagli Usa: su 200 miliardi di Pil regionale, il peso dell’export ha raggiunto il 43% (Rapporto Economia ER, dicembre 2024). Questo dato rende l’Emilia-Romagna la prima regione in Italia per incidenza dell’export sul Pil regionale. In Valore delle Esportazioni siamo secondi in Italia, con una quota del 13,6% dell’export nazionale. La provincia di Bologna da sola determina il 24% dell’export regionale, e gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato di destinazione, pur in misura meno accentuata rispetto al resto d’Italia.

Risottolineo ancora una volta che ragionare con strumenti concettuali del passato per interpretare una fase economica che non ha probabilmente precedenti nella storia dell’Italia e probabilmente dell’intera umanità, non serve a nulla. 

Va bene chiedere al governo di rifinanziare la cassa integrazione, richiedere investimenti nelle filiere strategiche, ed evidenziare la necessità indifferibile di pensare ai territori attualmente più deboli delle zone regionali e provinciali, ma ci sono alcuni temi strategici che vanno diversamente affrontati.

Il lavoro

Siamo di fronte a un grande cambiamento strutturale delle nostre economie, molto legate alla dimensione produttiva di scala e destinate a essere stravolte dai nuovi servizi di produzione personalizzata e di utilizzo a consumo dei beni e delle attività. Ricordo che da qui al 2030 oltre il 30% degli occupati lavoreranno in contesti e con incarichi che attualmente non esistono. Pensare di gestire questa fase con costosi interventi di sostegno pubblico all’economia significa non solo rendere ancora più pesante la situazione economica dello Stato, ma anche prolungare uno stallo che invece va affrontato con strumenti diversi. Su questo argomento bene fa il segretario regionale della Cgil a enfatizzare la crucialità dei percorsi di riqualificazione professionale, io propongo di costruire un Piano Strategico del Lavoro con le proiezioni al 2030-2035; altrimenti l’alternativa è l’impoverimento e la marginalizzazione di numerose attività professionali.

Le filiere

Esiste una concreta possibilità di crisi strutturale a breve termine di filiere strategiche (ambito meccanico e agroalimentare in primis) in ragione di un fenomeno che viene trascurato da quasi tutti gli analisti e dagli operatori stessi: l’obsolescenza anagrafica di una quota consistente di imprese che corrono il rischio di implodere per non aver realizzato il processo di passaggio generazionale (alcune di esse hanno soci e occupati dai 65 agli oltre 70 anni). Un aspetto cruciale della politica economica metropolitana e regionale dev’essere quello di mappare le situazioni critiche e attivarsi per i passaggi necessari, nell’interesse di tutti (da chi può tesaurizzare il lavoro di una vita a chi può creare una propria attività imprenditoriale, e a chi ha interesse a sviluppare tutto ciò sia in chiave di filiera industriale sia in ambito associativo).

La tecnologia applicata, le piccole imprese e i lavoratori

È fondamentale che  la Data Valley e il Tecnopolo siano resi funzionali all’insieme del tessuto economico-imprenditoriale del territorio e non rappresentino una semplice attrazione per la maggior parte degli operatori presenti. Va chiarito cosa possono ottenere anche le imprese più piccole da questi grandi asset tecnologici, e come si può gestire il necessario percorso di coinvolgimento operativo, utilizzando anche le strutture facilitatrici, come Competence Center, Hub di attivazione e facilitatori qualificati. La crescita della conoscenza diffusa permetterà di dare nuovo slancio innovativo grazie al contributo di un maggior numero di protagonisti economici maggiormente consapevoli e, laddove possibile, interconnessi.

Insomma, rifinanziare la Cig va bene, avere il Tecnopolo sul territorio è sicuramente  importante, ma da soli non sono decisivi per le sfide che ci attendono e che richiedono di agire rapidissimamente pensando al futuro e non solo fotografando il passato: individuiamo con precisione i nodi più critici e mettiamo al centro della politica economica una visione di sviluppo equilibrata, costruita in logica redistributiva, favorendo nuove politiche di valorizzazione e tutela delle persone e di tutte le forme di lavoro, per costruire un vero e proprio ecosistema integrato di valore.

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