Firenze, Toscana – Un giornale di strada è una testata giornalistica a tutti gli effetti con inchieste, indirizzi utili, testimonianze e riflessioni. Ma questi giornali sono molto più che semplici riviste: la maggior parte di essi organizza programmi di solidarietà e progetti sociali per le persone che vivono o hanno vissuto “ai margini” e cioè in condizioni di disagio: senza dimora, migranti discriminati, ex carcerati che non trovano spazio nel reinserimento, donne e uomini in balìa delle tossicodipendenze. La loro distribuzione è affidata proprio a queste persone che dalla vendita dei giornali ricavano un guadagno e soprattutto uno spazio nella società.
Il primo giornale di strada della storia ha visto la luce negli Stati Uniti d’America nel 1989. Due anni dopo è arrivato il primo esemplare europeo, a Londra. Oggi, il settimanale londinese The Big Issue tira oltre 100.000 copie, mentre in Francia le diverse testate contano un milione di lettori complessivi. In Germania il Giornale dei senza tetto di Berlino ha una voce abbastanza forte da riuscire a denunciare la politica che produce povertà, mentre Tizio e Caio di Amburgo tira 120.000 copie.
In Italia il primo giornale di strada è stato Piazza Grande, nato a Bologna nel 1993. Poi, sono arrivati il milanese Scarp de’ tenis che mutua il titolo dalla mitica canzone di Enzo Jannacci, l’Osservatore di Strada a Roma, Facci un Salto a Napoli e Palermo, Foglio di Via a Foggia, Zebra a Bressanone, Fuori Binario a Firenze.
Oggi come ieri, l’editoria che nasce e cresce con una finalità sociale rappresenta una presenza autentica in tante città italiane. «Il giornalismo di strada nasce per permettere al giornalismo di esercitare una funzione sociale, aiutando le persone ai margini a riappropriarsi della loro dignità grazie al lavoro. Chi è uscito dai binari ha così un’opportunità», ci ha detto il giornalista e formatore Marco Renzi che si presenta come uno «con un grande futuro dietro le spalle».
Marco, come hai incontrato questo particolare spaccato del nostro amato giornalismo?
Da volontario. Sono stato coinvolto da un caro amico e collega, Cristiano Lucchi, che oggi è il direttore di Fuori binario, il giornale di strada della mia città, Firenze. Lui mi ha invitato a fare formazione giornalistica di base alle persone che scrivono sul suo giornale, alcune di loro sono in un percorso di reinserimento. Perciò mi sono prestato da volontario di buon grado e a quel punto sono venuto a contatto con queste realtà che già conoscevo, ma dal di dentro ne ho realizzato meglio l’importanza.
E questa cosa sta portando a dei risultati effettivi, tre o quattro di queste persone hanno completato il percorso classico, quindi prenderanno il tesserino da pubblicista per diventare giornalisti a tutti gli effetti. Sappiamo bene quante e quali difficoltà ci siano nel nostro mondo ma in ogni caso è un’opportunità in più, soprattutto per raccontare questo mondo.
Cosa, secondo te, caratterizza questo particolare spaccato di giornalismo?
Un aspetto secondo me importantissimo è che i senza fissa dimora non hanno un’identità e quindi non hanno un ruolo nella società, non hanno un medico di base e neanche banalmente un posto dove ricevere la posta. Non hanno niente. Da questo punto di vista, i giornali di strada forniscono loro una residenza, presso il giornale, che in questo modo gli permette di avere un domicilio e quindi molti diritti sociali minimi che le rendono persone e non cose da buttare nel punto più nascosto del mondo.
Può essere questa una chiave per non criminalizzare questa condizione?
È evidente che hai a che fare con persone che vivono ai margini, lo stato in cui si trovano è uno stato ultimativo: nessuno ti rappresenta, nessuno ti sostiene. Ovviamente la situazione è terribile, perciò vendere un giornale per strada può essere una possibilità di ripartenza. Il motto di Piazza Grande, il primo giornale di strada d’Italia era “tendere un giornale è meglio che tendere una mano”.
Quando penso ai vari esempi di giornale di strada, mi viene in mente una forma di recupero del protagonismo di chi vive ai margini: i cosiddetti diseredati, i migranti, i detenuti, i senza tetto tendenzialmente vengono raccontati da un mondo che è sempre più insensibile. Quando ci si siede per fare un numero quali sono i temi dominanti in un giornale di strada?
Ovviamente si parte dalle cose che capitano per strada. Per esempio, su Fuori binario non si fa cronaca – anche perché la periodicità non lo consentirebbe, visto che il giornale esce una volta al mese – ma si fa approfondimento, che è una parte addirittura più importante della cronaca. Vanno a scavare, fanno inchieste anche molto importanti. Insomma le opportunità sono enormi, la questione però resta riuscire a farli campare questi giornali, capire come trovare i fondi per sostenerli. Un giornale come Fuori binario, per esempio, ha un bilancio di 30.000 euro l’anno.
E come si fa?
Stiamo parlando di un modello di giornalismo indipendente che quindi ne condivide le difficoltà. Qualche volta per riuscire a sopravvivere o consolidarsi queste esperienze si appoggiano a un ente o associazione. Per esempio Piazza grande è stato risucchiato nella grande famiglia del sindacato, le copie cartacee praticamente sono andate a morire e adesso esce soltanto online in PDF, hanno trovato il modo per sopravvivere e prosperare ma hanno rinunciato alla vendita per strada.
Un altro esempio è quello di Osservatorio di strada, nato nel 2022 come costola dell’Osservatorio romano su impulso di papa Francesco proprio come opera di carità, dal momento in cui le persone che gravitano intorno a questo giornale hanno un posto dove stare anche fisicamente. Un altro esempio è Scarp de tenis, a Milano, è sostenuto dalla Caritas quindi ha un bel sostegno: qui non solo si retribuisce, ma addirittura si riesce ad assumere chi ci lavora.
E poi c’è Fuori binario a Firenze che esiste da trent’anni ed è totalmente volontaristico, senza nessun tipo di sostegno, e campa appunto di quello che riescono a vendere e raccogliere con cene sociali, mercatini e tutte le attività che si possono mettere in piedi. Infine, a cavallo tra questi due, c’è l’esempio di Zebra, un giornale di strada bilingue a Bressanone, un modello misto nel senso che sono una Onlus che vive di quello che riesce a raccogliere per strada, e magari partecipando a qualche bando, con il personale di base retribuito.
Anche un articolo come questo, soprattutto chi lo leggerà, può fare la differenza…
In questo paese non c’è più spazio per parlare di giornalismo eppure c’è ancora qualcuno che lo fa e sono proprio quelli di cui si parla meno. Sono realtà marginali e piccole ma non per questo meno importanti. Per questo è importante discuterne.
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