Il futuro dell’informazione nell’era della post-verità. — Il Domani d’Italia

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A volte i paradossi aiutano a capire meglio la realtà, e le iperboli immaginifiche ne amplificano la comprensione. Se oggi il barone Charles de Montesquieu dovesse riformulare la sua teoria della tripartizione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – nella lungimirante intuizione che è alla base del sistema istituzionale moderno e dello stesso concetto di Stato (che si va sgretolando nella cosiddetta “postmodernità”), non potrebbe ignorare l’incidenza dell’informazione. Questa, intesa come un insieme indefinito e complesso di mezzi e fini – dalla mera comunicazione alle relazioni umane più ampie – si configura come un vero e proprio “quarto potere”. Un potere trasversale ai primi tre: talvolta oggettivo, talvolta strumentale, altre volte paradossalmente labile, in un’epoca dominata dalle connessioni globali, dai media, dai social e dall’intelligenza artificiale.

È un potere forte che – a differenza dei tradizionali, percepiti come sintesi di competenze e responsabilità, pur con frequenti conflitti e debordamenti – sfugge alle coordinate spazio-temporali di una società complessa o “liquida”, come l’ha definita Bauman. Simultanea e pervasiva, spesso svincolata dal controllo delle fonti e dal discernimento tra vero e falso, l’informazione esercita un peso etico, culturale e sociale enorme, che si ramifica in ogni aspetto della nostra vita.

Ritengo che l’uso intensivo delle tecnologie, la capillarizzazione dei mezzi di informazione e le innovazioni scientifiche, che aprono scenari persino distopici, ci spingano a riconsiderare il concetto di “liquidità” e a sostituirlo con quello di “apparenza”. Questo termine mi sembra più attuale per definire la società contemporanea. L’informazione è oggi l’elemento che più ibrida realtà e finzione, teoria e pratica, ortodossia e fake news. Mai come ora abbiamo bisogno di verità, oggettività, riscontrabilità e verifica nelle informazioni. La globalizzazione ha generato una proliferazione e sovrapposizione di notizie incontrollabili.

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Kepios, società di consulenza strategica che studia i cambiamenti nei comportamenti digitali, fornisce dati significativi: gli utenti attivi sui social sono 4,88 miliardi, pari al 60,6% della popolazione mondiale (che ha superato gli 8 miliardi). Questo numero si avvicina ai 5,19 miliardi di utenti internet, pari al 64,5% degli abitanti del pianeta. Questi dati offrono solo una pallida idea delle dimensioni gigantesche e inarrestabili della navigazione online.

In questa situazione incerta, credo che il giornalismo della carta stampata, pur subendo l’assalto della rete e la rapidità dell’accesso alle notizie, mantenga uno spazio e una ragion d’essere come punto di riferimento. Non penso che si tratti di una sfida persa: la lettura – sia essa di un’autorevole rivista o di un buon libro – conserva una specifica originalità e una capacità unica di stimolare una fruizione misurata e approfondita. È una delle ultime frontiere della libertà individuale, prima che i nostri cervelli siano condannati a un’omologazione di massa.

Viviamo davvero la stagione della “democrazia della parola”? Oppure esistono regie occulte che tessono ordito e trama di un gigantesco e incontrollato network dell’informazione? La forza di penetrazione delle fake news è devastante: facilitata dai social e dalla digitalizzazione, raggiunge ogni angolo del pianeta e influenza istituzioni, trasparenza e privacy. Per questo è necessaria un’etica della responsabilità.

Non esiste solo un problema di qualità dell’informazione, ma anche una questione etica, deontologica ed educativa. È essenziale controllare questa qualità. Qui emerge la potenzialità della stampa: il giornalista, attraverso la trasparenza e il report sui fatti, ha la possibilità di valutarne gli esiti e l’impatto sul pubblico, esercitando una professione socialmente utile ed eticamente ispirata. Paradossalmente, più si diffonde la rete e la libera circolazione delle notizie, più si crea un mercato globalizzato in cui la fruizione dell’informazione assume una forte connotazione individuale. La rete diventa spesso una compensazione per le solitudini e l’incomunicabilità.

Al contrario, un buon giornale può svolgere un’importante funzione di socializzazione, favorendo lo scambio di idee e relazioni umane. Non siamo condannati a vedere nei nuovi media solo apportatori di cattive notizie o diseducazione. Dobbiamo accettare la sfida e utilizzare ogni canale possibile per diffondere contenuti positivi.

Ricordo l’insegnamento del filosofo Pietro Prini: non rifiutare la modernità, ma utilizzarla per realizzare il bene. La carta stampata e soprattutto il buon giornale hanno ancora la possibilità di svolgere un ruolo informativo e formativo, stimolando una lettura aperta a tutti gli apprendimenti della vita.



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