Fronteggiare il jihadismo, un’industria di morte globale – Israele.net

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Come il 7 ottobre, anche l’attentato che lunedì scorso ha ucciso tre israeliani non ha niente a che vedere con “l’occupazione”: basta ascoltare alti esponenti palestinesi come Jibril Rajoub

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

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Lunedì scorso tre ebrei sono stati assassinati in Cisgiordania. Non si è trattato di un assassinio scaturito dalla lotta contro l’occupazione o l’oppressione, come alcuni amano sostenere: esattamente come hanno sostenuto, con analoghe giustificazioni, dopo per il massacro del 7 ottobre 2023.

Questi assassini non cercano la pace né uno stato palestinese. Fanno parte di una battaglia molto più ampia condotta da jihadisti che producono solo morte, distruzione e devastazione.

Non è necessaria nessuna occupazione per motivarli. Tant’è vero che il 95% delle vittime della jihad sono musulmani e africani depauperati.

Bisogna essere, sordi e ciechi e stolti per credere che stiano combattendo per la libertà e l’indipendenza. Coloro che descrivono questi agenti del terrore, in tutte le loro forme, come combattenti contro l’oppressione o l’occupazione non fanno altro che promuovere il prossimo attentato, il prossimo omicidio e il prossimo massacro.

Uno dei più alti esponenti dell’Autorità Palestinese, Jibril Rajoub, dopo il massacro del 7 ottobre ha dichiarato: “L’ebreo è un criminale, un terrorista e una distorta incarnazione del fascismo e del nazismo del secolo scorso”.

Rajoub ha abbandonato gli eufemismi che potevano garantirgli una parvenza di correttezza politica. Non dice “israeliano” o “sionista”: dice “ebreo”. Anche lui mette in chiaro che non si tratta di una lotta per la pace, la liberazione o l’indipendenza.

Aliza Reiss, Rachel Cohen ed Elad Winkelstein, assassinati a sangue freddo da terroristi palestinesi il 6 gennaio nei pressi di Kedumim

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Coloro che negano il diritto di Israele a esistere sono gli stessi che etichettano gli ebrei come nazisti. È antisemitismo col timbro d’approvazione progressista.

Dal 7 ottobre, milioni di persone sono scese in piazza per sostenere Hamas, interpretando il ruolo di cheerleader del terrorismo. Rajoub e i suoi compari hanno capito quanto funzioni, oggi, sputare veleno antisemita per guadagnarsi l’abbraccio del cosiddetto mondo illuminato. Quando è stata l’ultima volta che avete visto un palestinese ricevere attestazioni di sostegno e autorevoli tribune sostenendo la pace con Israele basata su due stati per due popoli?

Rajoub non è il solo. Siti come MEMRI e PMW, che monitorano i media arabi e palestinesi, mostrano una quantità sempre crescente dello stesso tenore. Il fatto è che la cosa rende, giacché oggi un razzismo così sfacciato viene accolto con comprensione e persino applausi.

Questa istigazione, questa coalizione di jihadisti e progressisti radicali, comporta un costo. Tale costo include il massacro del 7 ottobre, l’attacco dell’altra settimana a New Orleans dove sono stati uccisi 15 americani, e l’attacco di lunedì scorso costati la vita a tre ebrei.

Indipendentemente da cosa facciano questi vili assassini decisi a uccidere gli infedeli e a dominare il mondo, troveranno sempre sostegno tra gli occidentali che hanno trasformato il loro odio per l’Occidente in una moda accademica e culturale dominante.

Rimane un dilemma da risolvere: come affrontare questa ondata di violenza omicida, che persiste da fin troppo tempo?

È un errore pensare che sia un problema di Israele. Come dimostrano il massacro del 7 ottobre e l’attentato di lunedì scorso, Israele subisce i colpi della jihad. Ma la jihad – da Hamas e Rajoub, all’ISIS, ai Talebani – è un problema globale.

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Solo la scorsa settimana, 27 abitanti del posto sono stati assassinati a Kabila, in Sudan, e altri 21 a Fayu, accompagnati da stupri. Negli ultimi 30 giorni, gli affiliati al jihadismo hanno ucciso 771 persone. Intanto, la copertura globale di questi incidenti è quasi zero.

La domanda irrisolta rimane: come possiamo affrontare un male così distillato?

Ci eravamo aggrappati all’illusione che lasciare la striscia di Gaza (nel 2005) avrebbe spinto i palestinesi a investire nella loro prosperità: sviluppo, industria e crescita. Per la prima volta nella storia avevano ottenuto completa autonomia. Eppure hanno scelto la strada opposta, respingendo tutte le proposte internazionali volte a revocare il blocco (dovuto ai controlli di sicurezza ai confini ndr). Hanno invece abbracciato quella che lo stesso fondatore della Fratellanza Musulmana, Hassan al-Banna, aveva chiamato “l’industria della morte” (o “arte della morte” ndr).

Anche la destra israeliana nutre pericolose illusioni. Dopo l’attentato di lunedì scorso, Bezalel Smotrich ha minacciato che Nablus e Jenin dovrebbero fare la fine di Jabaliya, oggi in rovina. Ma da quando in qua i jihadisti sono scoraggiati dalla rovina? La distruzione è la loro strategia fondamentale, la chiave di volta delle narrazioni palestinesi e delle ideologie jihadiste. La posizione di Smotrich non farebbe che dar loro proprio ciò che vogliono. Non limiterebbe il terrorismo, servirebbe solo a isolare ulteriormente Israele sulla scena globale.

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Non esiste una soluzione magica alla questione palestinese. Sia la sinistra che la destra devono liberarsi da paradigmi obsoleti. Il ritiro non ha funzionato: ci ha portato il 7 ottobre. L’integrazione delle popolazioni non ha funzionato: ci ha portato gli attentati come quello di lunedì scorso.

La via più praticabile prevede sia la separazione delle popolazioni, sia il mantenimento della sicurezza. Non è certo una soluzione ideale. Ma, date le circostanze, è l’opzione meno peggio.

(Da: YnetNews, 7.1.25)



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