Si può vivere solo per raccontare. I costi dell’economia della trama

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Tradizionalmente, le scelte che facciamo sono guidate dalla logica, dall’efficienza, dall’analisi delle conseguenze e dai desideri. «Fallo per la trama», invece, pone al centro il puro valore narrativo delle azioni

Do it for the plot. «Fallo per la trama». Agisci cioè in maniera insensata, allo scopo di arricchire la trama della tua vita, o anche solo delle tue giornate.

Questa espressione gira ormai da tempo su TikTok e fuori da TikTok, ed è usata specialmente fra i ragazzini. La filosofia di fondo ha a che fare col vedersi protagonisti della propria esistenza, prendendo decisioni audaci (anche ironicamente tali), con l’obiettivo di arricchire appunto la “trama” di quel che si vive. Una visione che mescola umorismo, narrazione e desiderio di autorealizzazione, e che è radicata nella cultura digitale contemporanea.

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Tradizionalmente, le scelte che facciamo sono guidate dalla logica, dall’efficienza, dall’analisi delle conseguenze e dai desideri. «Fallo per la trama», invece, pone al centro il puro valore narrativo delle azioni: «Cosa può rendere la mia vita più singolare? Perché agisco in questo modo apparentemente irrazionale? Be’, una ragione c’è: lo faccio per la trama».

L’èra della narrazione

Non penso serva discutere la centralità della narrazione nel mondo di oggi. Sono anni che non ne possiamo più della parola “narrazione” usata in un certo modo, ma rassegnatevi, la parola è qui per restare, sicuramente ancora per anni, e se l’umanità non salterà per aria prima forse resterà per tutto il secolo e oltre.

Siamo immersi nelle storie, dai film alle serie tv, dai contenuti social alla politica. Adottare la mentalità della trama significa trasformare ogni momento della vita, anche il più banale, in un potenziale racconto degno di essere condiviso. In un contenuto. Non c’è nulla che valga più del contenuto. Anche perché una parte assai significativa dell’economia contemporanea è basata sulla produzione di contenitori tecnologici (telefoni e dispositivi) e di piattaforme. Questa economia brama la produzione di contenuti. Altrimenti non sta in piedi.

I rischi di “vivere per la trama” sono facili da immaginare. Comportamenti impulsivi o rischiosi. Costi emotivi, sociali o finanziari quando la trama giocosa si trasforma in un disastro reale. Inoltre, avere l’obiettivo di creare una storia affascinante nutre la mentalità performativa.

L’autenticità viene sacrificata a favore di ciò che appare più avvincente agli occhi degli altri. La trama, del resto, è sempre qualcosa che costruiamo per un pubblico.

Naturalmente l’approccio ha anche dei vantaggi, e pure una sua nobiltà artistica. Vivere per raccontarla è il titolo di un libro di Gabriel García Márquez uscito più di vent’anni fa, narra di un periodo fondamentale nella vita dell’autore, l’infanzia e la giovinezza, gli anni in cui si formò l’immaginario che diede vita a tanti suoi romanzi. Del resto molti scrittori e scrittrici (non tutti) sono da sempre interessati a questo approccio (si vive perché così poi si scrive, magari trasfigurando).

Con una differenza fondamentale: di norma (ma con luminose eccezioni) chi scrive non forza la realtà per trasformarla in una trama. Di norma, scrivi facendo tesoro dell’accaduto, e ricostruisci trama e senso a posteriori. Però, certo, se siamo onesti il rapporto fra scelte di vita e racconto resta ambiguo. Rompere la prevedibilità, vivere con un pizzico di esuberanza irrazionale, è anche un modo per esplorare la realtà e dare senso a decisioni folli, con l’idea che forse vivremo un’esperienza degna di essere raccontata.

Antitrama

Ma qual è il contrario di vivere per la trama? La chiamerò “filosofia dell’antitrama”. Un approccio alla vita orientato alla funzionalità. Il valore delle azioni non è determinato dal loro potenziale narrativo, ma dalla loro capacità di garantire stabilità, sicurezza e benessere. L’antitrama rivaluta il significato delle scelte semplici, come costruire una routine stabile, coltivare relazioni profonde e durature, perseguire obiettivi pratici. Non c’è bisogno di drammatizzare alcunché.

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Chi adotta l’antitrama non vive per gli altri o per creare una storia interessante. Le scelte sono guidate da esigenze interiori, non dal desiderio di costruire una narrazione da condividere. Si evita l’ansia da prestazione. Si gioisce dei momenti ordinari. Naturalmente, l’antitrama può scivolare nella passività. Una vita monotona, priva di stimoli o cambiamenti significativi. Troppa contemplazione.

Curiosamente, questo approccio alla vita è simile, di nuovo, a quello di molti scrittori e scrittrici. Non di quelli che vivono per raccontarla, ma di quelli che vivono per immaginare, scrivendo dal profondo della propria stanza, oppure per rielaborare il poco o nulla che hanno vissuto, proiettandolo su uno schermo deformante e trasformativo.

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