L’indipendenza economica come leva per abbattere le discriminazioni e le violenze. Nella Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che ogni anno viene celebrata il 25 novembre, è bene mettere l’accento anche su un dato materiale: la dipendenza economica è strettamente legata a un maggiore rischio di subire diversi tipi di violenza e a periodi più lunghi di maltrattamenti.
Violenza sulle donne, dipendenza economica tra le cause
Senza indipendenza economica, molte donne non riescono a lasciare il partner violento, trovandosi bloccate dalla mancanza di risorse finanziarie.
Questo è un trend evidente che emerge dai dati Istat sulle donne seguite dai centri antiviolenza in Italia. Le donne chiedono di essere ascoltate e di essere accolte, ma anche di essere aiutate nella ricerca di un lavoro e di una casa.
Le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza hanno subito soprattutto violenze fisiche, psicologiche, minacce e violenze economiche, che possono durare anche da anni. Il profilo delle violenze si delinea in modo del tutto simile a quello che emerge per le vittime dei femminicidi: gli autori sono in prevalenza partner ed ex-partner (78,3%), seguiti da altri familiari (11,1%).
D’altronde, rimanendo sul piano prettamente economico, le caratteristiche del nostro tessuto socio-economico sono palesi: le donne partecipano poco, e molto spesso da posizioni instabili e di marginalità, il che aumenta la possibilità di essere vittime di violenze, fisiche e/o psicologiche.
In Italia purtroppo, ancora oggi, le imprese femminili scontano un deficit culturale di lungo periodo che frena pesantemente non solo la propria autodeterminazione, ma, in senso più macro, anche importanti opportunità di business.
Cos’è la violenza economica e come si misura
Come chiarisce anche l’Istat in uno studio pubblicato e realizzato dall’Università di Genova relativo al 2023, la violenza economica è una forma di abuso in cui il controllo delle risorse economiche viene utilizzato come mezzo per esercitare potere e controllo all’interno di una relazione. Questo tipo di violenza può manifestarsi in diversi modi, tra cui controllo del reddito, limitazione dell’accesso alle risorse finanziarie personali e familiari, costrizione a indebitarsi di frequente, esclusione dalle decisioni finanziarie.
Questo per via di radicati stereotipi duri a morire. Ad esempio quello che vuole che le donne non siano capaci a gestire il denaro o che non debbano preoccuparsi delle questioni finanziarie. In molte famiglie, gli uomini sono i gestori delle finanze e le donne hanno un accesso limitato ai conti in banca o alle altre forme di reddito. Oppure l’idea distorta che gli uomini abbiano il ruolo familiare di essere gli unici o i principali soggetti che devono mantenere la famiglia. O ancora che le donne siano meno capaci o meno interessate alle questioni finanziarie rispetto agli uomini.
Tutti questi tipi di controlli limitano fortemente la capacità delle donne di prendere decisioni economiche indipendenti, aumentando la loro dipendenza finanziaria e rendendole più vulnerabili alla violenza economica e al ricatto.
La violenza economica però si può misurare in qualche modo. Esistono strumenti e metodi per valutarla, come la SEA-12 (Scale of Economic Abuse), una scala di 12 punti sviluppata per identificare e misurare la violenza economica in una relazione. È stata progettata per essere utilizzata in contesti di ricerca e pratici per valutare l’esperienza di abuso economico. La scala include una serie di affermazioni che descrivono comportamenti specifici relativi al controllo economico e alla coercizione. Le risposte a queste affermazioni aiutano a determinare l’entità e la natura della violenza economica subita.
Le imprese femminili in Italia
Tuttavia, c’è un dato oggi in Italia che fa ben sperare. Per quanto riguarda le imprese femminili il Belpaese è ancora debole, però non va male. In Italia, nel 2023, secondo gli ultimi dati disponibili diffusi da Unioncamere e Istat, le aziende al femminile registrate sono oltre 1,3 milioni, un numero in leggero calo (-0,9%) rispetto al 2022, rappresentando quindi una quota pari a quasi un quarto (22%) sul totale del tessuto produttivo nazionale.
Riguardo alle startup, poi – e un po’ a sorpresa – il nostro Paese riesce a fare meglio di altri in Europa, dove rimane alta l’attenzione dei fondi di venture capital nei confronti delle startup a guida femminile.
Le startup al femminile in Europa: +77% di investimenti
Nell’ultimo decennio, tra il 2014 e il 2023, come svelato dal portale Dealroom, la quota d’investimenti del venture capital nelle startup femminili in Europa è passata dal 5,4% al 9,6%, con un incremento del +77%, che ha portato quasi a un raddoppio delle cifre investite. Nel 2023, sempre secondo lo stesso studio, le startup guidate da donne hanno raccolto, a livello europeo, ben 5,8 miliardi di euro di fondi di venture capital.
Per una startup e per i suoi fondatori entrare nel club degli unicorni, company che superano la valutazione di 1 miliardo di dollari, rimane un traguardo fondamentale: a livello europeo, nel 2023, sono ben 35 le startup unicorno fondate da donne – erano 14 solo 5 anni fa, nel 2019 – e, tra queste, quasi la metà (15) hanno sede nel Regno Unito, 5 in Germania, mentre sono 3 a testa gli unicorni al femminile in Francia, Italia e Svezia.
I Paesi Ue che investono di più in startup femminili
La quota di investimenti destinati alle startup al femminile si differenzia comunque molto da Paese a Paese, nel quadriennio 2019-2023: si va dal 52,8% della Lituania, ormai considerata terra avanguardista di innovazione giovanile, fino allo 0,7% di Croazia e Bosnia-Erzegovina.
Ma tra i grandi Stati Ue, il leader di questo mercato è la Spagna con il 13,3%, seguita a ruota proprio dall’Italia, che con il 10,8% fa meglio di Francia e Regno Unito (10,4%) e persino della Germania, fanalino di coda con l’8,8%, che sta attraversando peraltro una della fasi più drammatiche della sua economia dal Dopoguerra.
Interessante notare anche dove si concentrano gli investimenti delle startup fondate da donne: il settore sanitario, sempre nel quadriennio 2019-2023, conquista il gradino più alto del podio con il 19,2%, tallonato dal fintech (18,5%) e un po’ più in là dallo sviluppo software (12,7%).
A livello di focus di business dei round di finanziamento raccolti in Europa dalle startup femminili nel quadriennio 2019-2023, quasi la metà (48%) è stata destinata al Saas (Software as a service), un terzo (31%) alla manifattura e un quinto (21%) a mercato e e-commerce.
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