Edifici in rovina nella Striscia di Gaza, visti dal sud di Israele – Reuters
Allo scadere del mandato presidenziale di Joe Biden, che il 20 gennaio lascerà la Casa Bianca a Donald Trump, si concretizza la possibilità di un accordo fra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. «Siamo a un passo», ha detto il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jack Sullivan. E gli ha fatto eco il segretario di Stato, Antony Blinken: «Mai così vicini».
Infine, Biden ha sottolineato: «L’accordo su Gaza è sul punto di essere chiuso». Domenica il presidente americano ha sentito a telefono il premier israeliano Benjamin Netanyahu. La notte scorsa, la bozza «finale» dell’intesa è stata consegnata a Israele e ad Hamas. Quest’ultimo, citato dal Times of Israel, ha dichiarato di avere «un appuntamento con la liberazione imminente» dei suoi miliziani in carcere. Il giornalista di Axios, Barak Ravid, citando fonti informate, ha scritto che la decisione sarà presa entro oggi dal capo dell’ala militare di Hamas, e fratello del leader ucciso a metà ottobre, Mohammed Sinwar. I mediatori avrebbero chiesto la risposta «definitiva» entro la scorsa mezzanotte.
In realtà, secondo fonti egiziane, l’ok sarebbe già arrivato ma verrebbe reso pubblico solo dopo il via libera di Israele previsto in giornata, dopo il vertice convocato da Netanyahu con la squadra di governo. In una dichiarazione ufficiale, il gruppo armato ha detto di essere «propenso» ad acconsentire. Sempre oggi, il premier israeliano incontrerà il Forum dei familiari dei rapiti. A intensificare la pressione su Tel Aviv è l’inviato di Trump, Steve Witkoff. Con Hamas insiste il primo ministro del Qatar, Muhammad al-Thani che, poi, in serata, ha avuto un colloquio telefonico con Biden.
Alcuni ospedali in Israele si sono preparati alla possibilità di ricevere gli ostaggi. Tutti segnali che indicano un’accelerazione. Lo stesso Sullivan ha parlato dell’intesa entro la settimana perché giovedì – sostengono le stesse fonti – è previsto un ulteriore round a Doha per gli ultimi dettagli. E, infine, un passaggio al Cairo.
Stando a indiscrezioni, Tel Aviv avrebbe chiesto una zona cuscinetto di un chilometro e mezzo lungo tutto il confine della Striscia: non vi dispiegherebbe truppe ma sarebbe pronto a colpire chi tentasse di entrarvi. Da Londra, il giornale qatarino al-Quds al-Arabi scrive che il ritiro militare avverrebbe in due tempi. Al-Arabiya aggiunge che la prima fase durerà 42 giorni, durante i quali l’esercito si ritirerà da diverse aree consentendo il rientro dei residenti.
Secondo altre fonti, nella prima fase verrebbero liberati 33ostaggi in vita: donne, minori (non si parla dei fratellini Bibas), ammalati e ultracinquantenni. Dopo il 16esimo giorno, gli uomini in età di leva. L’accordo dovrebbe ricalcare quello in tre fasi annunciato da Biden a fine maggio: sarebbe rinviata all’ultima fase la discussione sul governo di Gaza e sulla ricostruzione. Quanto alle scarcerazioni in cambio degli ostaggi, verrebbero inclusi un centinaio di ergastolani. Incerta la loro destinazione: probabilmente Qatar, Turchia o Egitto. Al tavolo delle trattative era presente il ministro per gli Affari dei detenuti dell’Autorità palestinese, Kadora Fares, che in un’intervista ha parlato di 25 ostaggi da rilasciare subito in cambio della scarcerazione di 48 condannati per terrorismo già liberati nel 2011 (per il rilascio del soldato Shalit) e poi arrestati di nuovo.
A loro si aggiungerebbero 200 ergastolani e un migliaio fra donne, minori e ammalati. Il totale dei palestinesi da scarcerare per il rilascio di tutti gli ostaggi (98, di cui almeno 34 morti) sarebbe attorno a 3mila. L’ostacolo maggiore alla trattativa, secondo fonti del quotidiano Haaretz, sarebbe il veto di Israele sulla scarcerazione di dieci nomi “di peso” tra cui Marwan Barghuti, capo del braccio armato di Fatah e acclamato in Cisgiordania come possibile successore del presidente Abu Mazen. Per non compromettere i negoziati, la questione verrebbe rimandata alla seconda fase dell’accordo. Sempre nella prima fase, inoltre, Hamas avrebbe chiesto la restituzione del leader Yahya Sinwar. Ai colloqui hanno preso parte il capo del Mossad, David Barnea, il direttore dello Shin Bet (i servizi interni israeliani), Ronen Bar, e il responsabile dell’unità delle forze armate per gli ostaggi, Nitzan Alon. Secondo membri della delegazione sentiti dall’emittente Channel 12, «le condizioni per la chiusura di un accordo sono ottimali».
Il vicepresidente americano eletto, JD Vance, ha confermato: «Speriamo che si raggiunga un accordo verso la fine dell’amministrazione Biden, forse l’ultimo giorno o il penultimo. È chiaro che la minaccia del presidente Trump ad Hamas sul fatto che ci sarà un inferno è parte del motivo per cui abbiamo fatto progressi». Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ha confermato che «Israele vuole un accordo» e che sta «lavorando con gli amici americani». Netanyahu ha incontrato i ministri dell’estrema destra Bezalel Smotrich (Finanze) e Itamar Ben-Givr (Sicurezza) per scongiurare la loro uscita dalla coalizione e la caduta dell’esecutivo: uno scenario poco probabile, in quanto con Trump alla Casa Bianca le loro ambizioni territoriali potrebbero spostarsi da Gaza alla Cisgiordania.
Smotrich ha definito l’accordo una «catastrofe per la sicurezza di Israele» e una «resa» e ha scritto su X: «Questo è il momento di continuare con tutte le nostre forze a conquistare a purificare Gaza, prendere il controllo degli aiuti umanitari di Hamas e aprire le porte dell’inferno sulla Striscia». Nell’enclave la situazione resta instabile e pericolosa: ieri cinque soldati israeliani sono morti in combattimento nel nord; altri otto sono rimasti gravemente feriti. Quanto ai palestinesi, stando alle autorità sanitarie controllate da Hamas, in quindici mesi di guerra il bilancio delle vittime sarebbe di 46.584 morti accertati e 109.731 feriti. «Ma il ritmo con cui Hamas si sta ricostruendo è superiore a quello con cui le Forze di difesa israeliane lo stanno sradicando», ha osservato il generale di brigata a riposo Amir Avivi, sentito dal Wall Street Journal. E a gestire l’operazione sarebbe proprio Mohammed Sinwar: migliaia i giovani arruolati anche ai funerali, con la promessa di cibo, aiuti medici e assistenza alle loro famiglie.
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