Il viaggio sartoriale di Satoshi Kuwata, guest designer della nuova edizione di Pitti Immagine Uomo

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La porta-portale, che da uno dei tanti cortili vecchia Milano mi ha catapultato a Kyoto, mi ha lasciato senza parole. È vero che l’olfatto fa viaggiare con la mente e così mi è successo quando, entrando nello studio di Satoshi Kuwata, sono stato investito dall’odore dei tatami impilati all’ingresso – un profumo inconfondibile che arriva dalla paglia di giunco di cui sono fatti e si sente soltanto nelle machiya (le abitazioni tradizionali di legno tipiche soprattutto dell’antica capitale del Paese del Sol Levante).

Il padrone di casa è il fondatore e mente creativa di Setchu, brand italiano con anima giapponese, guest designer dell’edizione di gennaio 2025 di Pitti Immagine Uomo e già vincitore del LVMH Prize nel 2023. Nato a Kyoto nel 1983, ha studiato alla Central Saint Martins di Londra e ha girato il mondo passando da Parigi, New York e Milano, dove ora vive, senza che la sua anima nipponica si contaminasse, anche se lui un po’ pensa di sì. «Ho lasciato la mia terra a 21 anni e con il trascorrere del tempo mi manca sempre di più. Ora», mi spiega, «quando vi torno, la vedo sia da straniero sia da nativo, a seconda delle situazioni: forse è per questo che cerco un equilibrio costante tra est o ovest».

Il nome Setchu deriva da “way setchu”: l’espressione definisce uno stile che mescola (setchu) qualcosa di giapponese (wa) e occidentale (y ). «Lo sforzo si concentra su un bilanciamento che non sopraffaccia il design, soprattutto perché lavoro con la tradizione dell’abbigliamento di qui, non con i kimono, quindi mi sfido a integrare organicamente le due estetiche».

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Satoshi Kuvata

Il suo peregrinare ha portato Satoshi anche dallo storico H. Huntsman and Sons, in Savile Row, dove ha imparato tutti i segreti della sartoria inglese arricchendo la sua conoscenza delle tecniche artigianali. «Viaggiando sono attratto dalle combinazioni di colori che mi circondano, da ciò che indossano le persone e ovviamente dal cibo. Sono elementi che catturano la mia attenzione, anche perché sono le cose essenziali della vita: esistere, vestirsi, mangiare».

Il cibo ricorre spesso nella conversazione, ha un’affinità con il modo di lavorare di Satoshi: «Progetto un po’ come in cucina. Immagina aglio, olio e peperoncino, è semplice. Ma, se aggiungi vongole e prezzemolo, diventa pasta con vongole. È identico nella cucina nipponica: si parte con salsa di soia, sake e acqua, ma il risultato cambia a seconda delle proporzioni e puoi preparare infiniti piatti. Io faccio lo stesso: ho la mia base e aggiungo elementi giapponesi, aggiustando fino a quando non mi soddisfa. Quando ho iniziato volevo creare qualcosa di unico e che gli altri non fanno. Per esempio, le pieghe sono rare nella sartoria occidentale, ma comuni nell’abbigliamento del mio Paese. Ogni kimono le ha e per la stessa funzione le ho applicate alla mia giacca origami: non sono solo decorative, ma guidano la piegatura rendendola perfetta per i viaggi».

In generale la sua progettazione è manuale: «Tutto inizia proprio dall’origami che mi fa esplorare infinite possibilità. Faccio esperimenti piegando e ripiegando e da lì traggo ispirazione», mi spiega mostrando il foglio di carta giapponese usato per questa arte, ma mi confida che si avvale di qualunque cosa, persino di un post-it.


Da bi a tridimensionale, un classico della loro cultura vestimentaria, insito nel dna di ogni giapponese, ma reinterpretato ogni volta diversamente, uno su tutti Issey Miyake. «Per questa stagione sono partito dal concetto di metà, tutto diventa più corto o più lungo, così è nata l’idea di capi che possono essere accorciati, o capovolti, per rivelare forme diverse».

Si rammarica di come i brand ormai utilizzino tecniche simili che restituiscono capi con costruzioni quasi identiche appiattendo creatività e identità. «L’aspetto controcorrente del mio lavoro, rispetto ai tempi della moda di oggi, è che richiede tempo, dato che è tutto fatto a mano, ma è il mio concetto di sostenibilità: favorire relazioni a lungo termine con i miei collaboratori e fornitori. Proprio come nel tech, dove gli aggiornamenti sono graduali, io faccio lo stesso con miglioramenti incrementali, anziché cambiamenti radicali. Apple non è passata subito a iPhone 16», ironizza. La meticolosità è la sua routine; il bagaglio di conoscenze lo mette in condizione di maneggiare cultura orientale e occidentale con destrezza, senza mai essere banale, così gli chiedo se c’è qualcosa che lo ispira, ma che non si esplicita in superficie.


La risposta è sorprendente: «Mi influenza molto il Rinascimento e il modo in cui dipingevano la volta celeste con quei colori delicati. Penso», prosegue, «che sia perché quando avevo 17 anni ho rischiato di morire dopo essere rimasto coinvolto in un incidente stradale. Mi sono rotto il cranio e ricordo di aver avuto la visione di un cielo che sembrava come quei dipinti, mia madre che mi teneva in braccio da bambino e altre scene della mia vita. Mi sono svegliato dal coma e quei rosa, azzurro, giallo pastello sono rimasti con me per sempre entrando nel mio design e portandomi a vedere le cose da una prospettiva diversa», racconta mostrandomi i pannelli con i look e i colori della collezione che verrà presentata a Pitti.

Così, ovviamente, chiedo se ci sarà qualcosa di speciale e anche stavolta non delude: «Presenterò un nuovo progetto sull’updating dei vestiti. Pensa all’aggiornamento dell’iOS di iPhone: si potranno riportare i capi da noi per un restyling o redesign. Voglio offrire qualcosa per cui chi ci compra possa tornare sempre, permettendo di rinnovare gli abiti e di creare un legame personale. Sono consapevole che i nostri prezzi sono elevati, ma tutto è fatto a mano in Italia, così è un modo per dare loro un’altra vita». Ricorda Savile Row, «dove il rapporto tra cliente e sarto si protrae per generazioni. Non ho fretta di crescere, voglio essere sostenibile e rispettoso del mestiere e di chi ci lavora. La mia innovazione non è spingere al consumo, ma dare priorità a valori duraturi». Cosa che il mercato oggi ha dimenticato.

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