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C’è anche l’Università di Sassari alla COP16 sulla desertificazione di Ryadh | Sardegna che cambia #finsubito richiedi mutuo fino 100%


Sassari – C’è anche il Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione dell’Università di Sassari alla sedicesima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sulla desertificazione (COP16 UNCCD), che ha preso avvio il 2 dicembre a Riyadh, in Arabia Saudita. Dedicata appunto alla lotta contro la desertificazione, l’importante conferenza internazionale ha tra i temi all’ordine del giorno anche la lotta alla siccità e la promozione dell’agroecologia, ovvero l’applicazione dei principi ecologici alla produzione primaria: argomenti cruciali per un vertice che nonostante l’importanza, stenta ancora a conquistare un ruolo centrale di punto d’incontro tra le altre convenzioni delle Nazioni Unite.

L’evento si svolge per la prima volta in una delle regioni del mondo più colpite da questi fenomeni, rappresentando un’occasione necessaria per rafforzare la cooperazione globale e promuovere soluzioni sostenibili, con la partecipazione di istituzioni, esperti, accademici e ricercatori, tra cui anche il Nucleo di Ricerca dell’ateneo sardo, da anni in prima linea su queste tematiche.

Staff e collaboratori del NRD Sassari
SARDEGNA TRA LE 5 REGIONI A RISCHIO DESERTIFICAZIONE

La desertificazione è un fenomeno che interessa oggi oltre il 40% della superficie terrestre, con un impatto devastante su quasi due miliardi di persone ogni anno, e stime che indicano un aumento del 29% della siccità a partire dal 2000. Le prospettive future sono ancora più preoccupanti: entro il 2050 tre persone su quattro potrebbero essere colpite dalla siccità. E in un’Isola dove la situazione critica nei bacini d’acqua ormai da anni desta preoccupazioni, con percentuali di acqua negli invasi sardi che quest’anno hanno registrato il più basso livello dell’ultimo quarto di secolo, il fenomeno della siccità rischia di consolidarsi come una minaccia sistemica, compromettendo la sicurezza idrica, l’agricoltura, l’approvvigionamento energetico e la vita.

Il processo di desertificazione lascia infatti profondi segni anche in Sardegna, tra le 5 regioni italiane a rischio desertificazione. Le motivazioni come riporta il portale SardegnaAmbiente, sono legate a un aumento dei processi di degrado del suolo e della vegetazione, ad attività antropiche ma soprattutto al cambiamento climatico e al connesso aumento delle temperature, diminuzione delle precipitazioni e aumento dell’intensità degli eventi estremi. In tutto ciò la situazione, anche per quanto riguarda gli sprechi d’acqua e le perdite nelle condotte, non aiuta: l’Isola (dati Istat) perde il 52,8% di acqua potabile nelle reti idriche, in termini assoluti 129,2 milioni di metri cubi rispetto ai 244,8 immessi in rete e i 115,6 milioni erogati.

ALLA COP16 DEGRADO DEL SUOLO E AGROECOLOGIA

Molto meno conosciuta delle altre due convenzioni sullo sviluppo sostenibile – la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e la Convenzione sulla Biodiversità (CBD) – la UNCCD è stata presentata nel giugno 1994 a Parigi ed è entrata in vigore nel dicembre del 1996. La UNCCD rappresenta la Convenzione delle Nazioni Unite con la più vasta adesione: essa conta infatti 196 paesi firmatari oltre alla UE, che rappresenta una delle 197 parti. Si tratta dell’unico accordo internazionale giuridicamente vincolante, che mette in stretta relazione le dinamiche ecologiche e quelle dello sviluppo sociale, economico e culturale.

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Il Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione (NRD) di Sassari è presente alla COP16 in veste di co-organizzatore

Tra i temi all’ordine del giorno c’è la valutazione di medio termine del quadro strategico 2018-2030 dell’UNCCD, che mira a raggiungere l’azzeramento del degrado del suolo su scala globale (Land Degradation Neutrality o LDN) entro il 2030. Ciò impegna gli stati firmatari a ridurre il tasso di degrado del territorio, ovvero la riduzione o perdita della capacità produttiva biologica ed economica della risorsa del suolo, a ripristinare i terreni degradati e all’adozione di strumenti innovativi per il monitoraggio, come l’introduzione di un indice unico di degrado del territorio. Inoltre, viene posta enfasi anche sulla promozione dell’agroecologia, considerata una chiave per la resilienza dei sistemi agricoli e alimentari.

IL RUOLO DEL NUCLEO DI RICERCA SARDO ALLA COP16

Come nelle precedenti edizioni, il Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione (NRD) dell’Università di Sassari è presente alla COP16 in veste di co-organizzatore, insieme al network DesertNet International (DNI), al Comitato Scientifico Francese sulla Desertificazione (CSFD) e alla UN University for Peace (UPEACE), di due importanti eventi. Il primo attorno al ruolo della ricerca e dell’istruzione nella lotta contro il degrado del suolo, e il secondo sulle opportunità e i rischi delle strategie di “desert greening” e dei cambiamenti nell’uso del suolo. «In Sardegna abbiamo diversi ambiti di intervento nel settore della desertificazione e degrado dei suoli», spiega Quirico Migheli, dirigente del Nucleo di Ricerca.

«Dalle zone minerarie abbandonate all’area di Arborea, dove ci sono problemi di inquinamento delle falde da nitrati, penetrazione del cuneo salino durante i periodi siccitosi e altro. Ma pensiamo anche al problema della desertificazione sociale, tra campagne abbandonate, scarsa cura del territorio e la sempre più forte necessità di mantenere la gente in campagna per occuparsi del territorio: gran parte dei problemi di desertificazione derivano dall’abbandono delle terre».

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Fondato nel 2000, il Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione (NRD) dell’Università di Sassari è un centro interdipartimentale nato con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo e la gestione di progetti di ricerca e di cooperazione internazionale per la lotta alla desertificazione e al degrado ambientale. Con progetti pionieristici come MEDALUS, che ha identificato le Aree Sensibili dal punto di vista ambientale attraverso un approccio multifattoriale basato sulla conoscenza generale e locale dei processi ambientali in atto, e DesertNet, che ha esteso a diversi Paesi dell’area del Mediterraneo la metodologia con l’obiettivo di costituire una piattaforma comune nella lotta contro la desertificazione, il NRD è diventato un attore di riferimento nel panorama globale.

Attività che hanno contribuito a creare piattaforme comuni per l’implementazione di politiche nazionali ed europee in linea con la UNCCD e che nel tempo hanno distinto il NRD per il suo approccio multidisciplinare: anche grazie alla partecipazione di ricercatori competenti in idrogeologia, l’attività di NRD si è progressivamente estesa all’ambito della gestione delle risorse idriche, dell’attività agro silvo-pastorale, delle problematiche relative ai reflui degli allevamenti zootecnici, alla fragilità delle aree costiere o all’inquinamento delle falde.

CONSAPEVOLEZZA, INNOVAZIONE, INTERCONNESSIONE

Nonostante sia stata spesso considerata una “sorella minore” rispetto alle convenzioni sul clima e sulla biodiversità, la UNCCD alla COP16 riveste un ruolo fondamentale per il futuro del pianeta. Suoli sani non solo sequestrano maggiori quantità di anidride carbonica, ma aumentano la fertilità, la biodiversità e la produttività agricola, migliorando l’accesso a cibo di qualità. Ma ciò che è necessario ancora prima di qualunque azione di riequilibrio ambientale, è una consapevolezza che spinga a una presa di responsabilità collettiva delle problematiche che lentamente – e inesorabilmente – erodono suolo, ambiente e comunità.

cop16

Per quanto riguarda il fenomeno della siccità nell’Isola, per il dirigente del NRD Quirico Migheli «purtroppo non si è ancora diffusa – o meglio, si è persa negli ultimi cinquant’anni – la consapevolezza che l’acqua è preziosa e che non è una risorsa inesauribile. La scarsità di precipitazioni e l’aumento della evaporazione dovuto alle altissime temperature estive ci hanno messo davanti a una crisi che non era evitabile ma che almeno in parte, sarebbe stata mitigabile. Pensiamo agli sprechi di acqua potabile nelle condotte, alle possibilità di risparmio che, con le dovute cautele, potrebbe comportare il riutilizzo delle acque grigie, delle cosiddette acque non convenzionali».

«Se ci fosse una raccolta differenziata delle acque di uso domestico, in modo che non venissero mescolate alle acque nere (come avviene attualmente, ovvero l’acqua con cui ad esempio si è lavata l’insalata viene raccolta insieme all’acqua dello sciacquone), queste potrebbero essere riutilizzate in agricoltura. L’attività agricola nella zona del Mediterraneo utilizza più del 70% dei consumi idrici. Necessaria è anche la manutenzione dei bacini, altrimenti non potranno essere usati al meglio delle loro potenzialità».

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«Ma serve anche interconnessione – conclude Migheli – anche se questo già in gran parte c’è in Sardegna ed è un bene. Quello che sta succedendo anche da noi in questi anni, altrove succede da millenni, e mi sembra il caso di iniziare ad imparare anche dalle altre culture, che hanno più esperienza rispetto a noi. Insomma, non possiamo cambiare il clima, ma possiamo sfruttare al meglio gli eventi meteorici, anche utilizzando tecniche innovative».



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