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GLI ULTIMI ANNI, soprattutto dopo la pandemia, hanno visto un’importante evoluzione della politica economica a livello globale. Ursula von der Leyen, nel discorso al Parlamento europeo che l’ha confermata alla Presidenza della Commissione per il prossimo quinquennio, ha ulteriormente ribadito l’obiettivo della neutralità climatica al 2050 e il target intermedio al 2040 della riduzione del 90% delle emissioni nette di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990. Allo stesso tempo, il Digital Europe Programme con un budget di 7,6 miliardi di euro, ha introdotto nuove politiche per promuovere l’innovazione digitale, migliorando la competitività e l’efficienza delle imprese europee attraverso investimenti in infrastrutture digitali, intelligenza artificiale e cybersecurity. L’ultimo rapporto 2024 sul ’Digital Decade’ della Commissione europea mostra come ancora ci sia molta strada per le imprese: rispetto all’obiettivo del 90% delle Pmi con almeno un livello base di digitalizzazione, oggi si è raggiunto il 64%.

In questo quadro, il legame tra innovazione e internazionalizzazione assume un ruolo centrale per la competitività del tessuto produttivo europeo. L’innovazione è infatti uno dei principali fattori che determinano le esportazioni e l’aumento della produttività, come evidenziato da vari studi. Due teorie fondamentali nella letteratura spiegano l’importanza di questa relazione: ’Apprendimento attraverso l’esportazione’ e ’Autoselezione nell’esportazione’. La prima suggerisce che le imprese aumentano la loro produttività dopo aver iniziato a esportare, grazie all’esposizione a nuove idee, tecnologie avanzate e migliori pratiche. La seconda evidenzia che solo le aziende più produttive e innovative possono permettersi di esportare, coprendo i costi aggiuntivi associati alla comprensione dei nuovi mercati, all’adattamento dei prodotti e alla gestione della logistica. In pratica, sono due gli elementi legati all’internazionalizzazione e all’innovazione che destano particolare interesse. Il primo riguarda la necessità di creare hub internazionali che fungano da punti nevralgici per il commercio globale, aumentando la competizione e migliorando la produttività delle imprese locali, favorendo l’adozione di tecnologie avanzate e l’accesso a nuovi mercati. Le aziende presenti in questi hub traggono vantaggio dalla vicinanza geografica e dall’interazione con altre realtà innovative, creando un ambiente propizio per il trasferimento di conoscenze e competenze. Il secondo elemento riguarda l’importanza dell’innovazione digitale e verde per migliorare la competitività internazionale.

L’adozione di tecnologie digitali avanzate permette alle imprese di superare le barriere tradizionali all’entrata nei mercati esteri, migliorando l’efficienza operativa. Parallelamente, lo sviluppo di prodotti e processi sostenibili, aumenta la competitività delle aziende, allineandole agli standard ambientali a livello mondiale e rispondendo alla crescente domanda globale di soluzioni green. È soprattutto quando innovazione digitale e verde si incontrano che le imprese ottengono i maggiori benefici in campo internazionale. Secondo i dati di un’indagine del Centro Studi Tagliacarne su 2.500 imprese manifatturiere tra 5 e 499 addetti, presentati nell’ambito del workshop ’Innovazione, digitalizzazione e competitività internazionale: Il ruolo delle politiche per l’internazionalizzazione delle imprese italiane’ organizzato dal Luiss Institute for European Analysis and Policy (Leap), la quota di imprese esportatrici cresce passando dalle imprese che non hanno innovato negli ultimi tre anni (di queste il 20% esporta) o che hanno fatto una sola innovazione tra digitale e green (il 28% esporta), alle imprese che invece hanno puntato sulla duplice transizione sia in campo tecnologico che in quello della sostenibilità ambientale (il 41% esporta). Non solo, questa tendenza emerge osservando anche gli effetti della innovazione verde e digitale sulle performance nei mercati internazionali: un aumento dell’export nello scorso è stato registrato solo dal 26% delle imprese che non hanno innovato, sale di poco al 28% tra quelle che hanno innovato solo in una delle due sfere, per invece balzare al 34% tra le imprese che hanno investito in entrambe. Quindi, le politiche che promuovono l’adozione di tecnologie digitali e pratiche sostenibili possono creare un ambiente favorevole per le imprese, facilitando l’accesso a nuovi mercati e migliorando la loro capacità di competere a livello internazionale. Gli incentivi fiscali, i finanziamenti per la ricerca e sviluppo e le partnership pubblico-privato sono esempi di misure che possono sostenere l’innovazione e la competitività delle imprese. Sarà, tuttavia, necessario abbinare i sostegni agli investimenti con quelli per la formazione. L’indagine evidenzia, infatti, come l’innovazione abbia un effetto positivo e fortemente significativo sulla capacità di esportare solo quando è accompagnata dalla formazione, mentre senza quest’ultima la stessa innovazione perde totalmente la forza.

Il piano Transizione 5.0 e gli obiettivi del Pnrr sembrano andare in questa direzione. Sarà, però, determinante riuscire a coinvolgere non solo le aziende attualmente più competitive, ma anche, e soprattutto, tutte quelle che fino ad oggi non sono riuscite ad investire nella transizione digitale e sostenibile. Il ruolo delle Istituzioni pubbliche, in particolare quelle territoriali, può essere chiave nel raccogliere i fabbisogni delle imprese e nel mettere a terra le politiche industriali.

* Direttrice di Leap

Testo realizzato con il contributo di Marco Pini (Istituto Tagliacarne) e Roberto Urbani (Leap)

 

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