Carrara e Donizetti rimasti senza guida artistica: l’ex Capitale ora deve evitare l’involuzione
In equilibrio precario tra continuità e necessità di rinnovare progetti e persone rispetto al decennio di Giorgio Gori, Elena Carnevali è incappata subito in un paio di grosse buche, proprio in uno dei settori trainanti in questi anni di crescita della città. La cultura è l’ambito in cui il cambio di amministrazione si manifesta con i segni più vistosi. E non sono segni positivi.
Le dimissioni di Martina Bagnoli certificano che in questo momento la sindaca, e chi con lei prende le decisioni sulle istituzioni culturali bergamasche, non vede alternativa alla continuità. Pur essendo la vicenda Carrara chiaramente più complessa di così, non è sbagliato ridurre il senso del consiglio d’amministrazione straordinario di giovedì sera in un «o lui o me». La direttrice Bagnoli chiedeva di ridimensionare il ruolo del general manager dell’Accademia, Gianpietro Bonaldi, e di poter assumere con pienezza la guida della pinacoteca, cosa che evidentemente da quando è arrivata a febbraio non sentiva di aver fatto. Per ragioni complicate, politiche, economiche, dei soliti legami personali che intrecciano tra loro la politica e il mondo degli affari bergamaschi, strappare su qualcuno che è presente e lavora alla Carrara da anni si è però dimostrato impossibile, o almeno questo Cda non se l’è sentita. Bonaldi resta, come aveva stabilito Gori a maggio prolungandogli il contratto. E resta però anche una cicatrice profonda nell’immagine dell’Accademia Carrara. Una domanda a questo punto, è inevitabile: chi mai dopo Martina Bagnoli, con un curriculum come quello della Bagnoli (ultima tappa alle Gallerie Estensi passando dalla Johns Hopkins University) penserà di venire a Bergamo a fare il direttore di museo? Bisogna chiederselo, anche considerando che pochi anni fa una cosa molto simile accadde con Emanuela Daffra, altra storica dell’arte a capo della Carrara per pochi mesi prima di gettare la spugna per incompatibilità ambientale.
Il caso Micheli
La Carrara è per altro il gioiello culturale cittadino che ancora non è riuscito a essere valorizzato come meriterebbe. A differenza, per esempio, del teatro Donizetti. Le due storie negli ultimi anni sono state parallele: restauro della struttura, ripensamento della governance, uno sforzo per rilanciare con operazioni di marketing la figura di Gaetano Donizetti e le bellezze contenute dalla Carrara. L’operazione è riuscita meglio sulla lirica, grazie al lavoro del direttore artistico Francesco Micheli, che però pure lui ora se ne va, e non in modo così pacifico come le versioni istituzionali hanno voluto insistentemente ribadire. La verità è che anche nella Fondazione Donizetti qualcosa tra direzione artistica e il polo della gestione economica si è spezzato. Le richieste di investimento su progetti costosi, magari non così immediati nella resa commerciale, da parte di un direttore della lirica, così come di una direttrice di museo, alla fine hanno dovuto soccombere di fronte alla griglia dei conti da far rispettare.
L’impressione è che questo tipo di tensioni fosse presente tanto al museo quanto al teatro anche prima, ma che la precedente amministrazione, tra il sindaco e l’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti, avesse coltivato con grande costanza un terreno in cui si potessero trovare le risorse necessarie a superare gli scontri. Spiazzati dall’addio di Micheli (ma fino a un certo punto perché lo sapevano da luglio), la sindaca Carnevali e il suo vice Sergio Gandi, da pochi mesi incaricato anche della cultura, devono ora gestire due partite molto complicate. Elena Carnevali nel Cda straordinario della Carrara ha giocato la carta della sua autorità chiedendo ai due fronti, Bonaldi e Bagnoli, di rientrare nei ranghi. Perché questo era ciò di cui necessitava il museo. Un appello caduto nel vuoto. E, viene da dire, giustamente. Perché se una direttrice di museo ha delle richieste concrete, precise e per lei essenziali, non può poi recedere solo per puro rispetto istituzionale. Se la situazione al museo è insostenibile, dal punto di vista di Bagnoli, la risposta non può essere «state buoni per il bene della città, non rompiamo il giocattolo».
Un passaggio delicato
Probabilmente gestendo le cose in questo modo è proprio quello che invece succederà: il giocattolo rischia di rompersi. Parliamo di una città che si è ritrovata Capitale della Cultura nel 2023 sull’onda emotiva del dramma della pandemia, ma che ha saputo sfruttare al meglio quell’occasione, puntando da un lato sulla riscoperta delle proprie risorse culturali antiche, quindi appunto Donizetti in primis (Micheli è stato protagonista indiscusso della cerimonia dell’inaugurazione dell’anno della Capitale), dall’altro con scelte all’insegna della novità. Alcune efficaci, altre meno, in generale però Bergamo ha dato anche all’esterno l’immagine di una città viva, che sa immaginare percorsi culturali, trovare i soldi per realizzarli e promuoverli. Può anche essere vero, come dice l’ex conservatore della Carrara, Giovanni Valagussa, che il 2023 è stato più l’anno del turismo che della cultura. Ma tutti quei turisti hanno tenuta accesa la macchina, motivato pubblico e privato ad aumentare le iniziative. E, si può sperare, in molti di quei turisti è stata seminata l’ispirazione a leggere, scoprire, conoscere che è la base della cultura. Se adesso nel giro di pochi mesi le due principali istituzioni culturali pubbliche di Bergamo si ritrovano a dover ripartire da zero, sul piano della direzione artistica, c’è il rischio serio di essersi infilati in una macchina del tempo che va solo all’indietro. E il problema è di chi governa la città.
Scelte politiche
Non bisogna ridurre tutto alla capacità o meno della sindaca di imporsi in certe situazioni, ma è altrettanto chiaro che qualcosa sta sfuggendo di mano. Qual è la voglia di investire sulla cultura di questa amministrazione? Non è una domanda retorica e non richiederebbe le solite risposte permalose o di circostanza. Esemplare il caso del bando per un consulente sulle strategie dell’assessorato alla Cultura, guidato da Gandi. Non sarà sicuramente così, ma vista dall’esterno potrebbe sembrare una modalità un po’ raffazzonata per garantire il posto di lavoro a una persona che già lavorava da otto anni come collaboratrice nello staff dell’assessore Ghisalberti, che poi ha partecipato a quel bando (tra l’altro valido per un part-time e solo per pochi mesi) e guarda caso l’ha vinto. Se queste sono le risorse che ci sono da mettere in campo, in un momento in cui poi dal governo arriveranno meno soldi per gli enti locali, in bocca al lupo a chi deve gestire la partita cultura a Bergamo nei prossimi anni, in particolare all’assessore.
Sergio Gandi merita una parentesi finale tutta sua. Il vicesindaco un anno fa rinunciò a candidarsi per succedere a Gori. Un recedere a vita privata dal sapore di antica Roma repubblicana. Non c’è da scherzarci su, fu una scelta molto sofferta. Ma Gandi dopo qualche mese si fece coinvolgere in pieno nella campagna elettorale. Ha fatto per dieci anni il vice di Gori con generosità, si è speso sul tema sicurezza, con risultati non apprezzati da tutti, ma sempre mettendoci la faccia: le 981 preferenze sono lì a testimoniarlo. Anche alla luce di questo, come ha fatto a farsi rifilare tutto quel cumulo di deleghe? Fino a maggio doveva gestire Sicurezza e Bilancio, ora Bilancio, Cultura e Commercio. È troppo, soprattutto per uno che si sentiva a fine ciclo e ha uno studio legale molto ben avviato da gestire. In un momento così, con scelte strategiche importanti che dovranno essere fatte nei prossimi mesi — e non solo su Carrara e Donizetti, c’è una Gamec da costruire e riempire di opere e progetti — serve la massima presenza e concentrazione. Altrimenti, se l’iniziativa su scelte che muovono milioni di euro non la prende la politica, c’è sempre qualcun altro capace di indirizzarle a proprio piacimento. E non è giusto: quando si parla di cultura, si parla dell’anima della città.
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