La trasmissione radio partì il 16 novembre 1974 dal radiotelescopio di Arecibo, a Portorico: il contenuto fu progettato per mostrare il livello di sviluppo tecnologico dell’umanità ed è considerato uno dei primi tentativi di comunicare con potenziali civiltà extraterrestri
Toc, toc: c’è qualcuno là fuori? Semplificando al massimo, è questo il senso del messaggio che il 16 novembre 1974, dunque 50 anni fa appena compiuti, partì dal radiotelescopio di Arecibo, a Portorico. La destinazione era (ed è) l’ammasso globulare M13, distante 25 mila anni luce dalla Terra e da noi umani. Qualcosa, insomma, che è impossibile da convertire in un’idea concreta di distanza, da un punto A un punto B, e di tempo necessario a coprirla (in questo caso, però, forse pensare ai Frecciarossa aiuta).
Il «dispaccio spaziale» spedito mezzo secolo fa dall’isola caraibica rientra in un desiderio – capire una volta per tutte se siamo soli nel cosmo smisurato – sbocciato tra gli anni ’50 e ’60, lievitato sempre di più grazie ai progressi della tecnologia, e sfociato infine in una serie di iniziative e di prospettive riviste.
Proposto nel 1960 dall’astrofisico Frank Drake, il Seti Institute (dove Seti sta per Search for Extra-Terrestrial Intelligence) nacque ufficialmente nel 1984 e rimane il polo di riferimento della caccia all’Alieno. Mentre consideriamo tante ipotesi complementari e alternative – universi paralleli, varchi spazio-temporali – ancora oggi cerchiamo nella maniera più semplice e diretta (mandare segnali radio verso l’infinito, oppure spedire sonde che affronteranno viaggi senza ritorno) e valutiamo perfino il segnale più flebile che catturiamo. Un po’ speranzosi e un po’ inquieti, perché è evidente che l’eventuale fatidico incontro ribalterebbe la nostra società e i suoi schemi.
Nel 1977 sobbalzammo di fronte al famoso segnale «Wow!» – che ancora oggi rimane tra i più significativi ricevuti – mentre tra gennaio e febbraio 2011 il Seti registrò due segnali «non naturali» e «di probabile origine extraterrestre», puntando le antenne su 50 candidati pianeti scoperti pochi mesi prima dalla Missione Kepler. Non essendosi più ripetuti, si suppone che fossero dovuti a interferenze terrestri. Tuttavia il Seti continuerà a scandagliare quella regione su altre frequenze radio.
Tornando al messaggio di Arecibo, che fu anche voluto per dimostrare le capacità del radiotelescopio, il contenuto fu messo a punto proprio da Frank Drake e dallo scienziato, nonché divulgatore scientifico, Carl Sagan. Serviva ipotizzare un terreno comune per il possibile dialogo con gli extraterrestri e la base fu identificata nella matematica, disciplina che ha dei paletti davvero universali. Il risultato di questo programma di comunicazione è rappresentato da 1.679 cifre binarie, cioè il frutto del prodotto di 23 e 73, due numeri primi. «Drake, Sagan e gli altri che collaborarono al progetto – ha ricordato il Post in un articolo dedicato al “compleanno” – scelsero quel numero di cifre perché pensarono che se una forma di vita intelligente avesse deciso di ordinarlo in un quadrilatero avrebbe potuto farlo solamente producendone uno di 23 colonne e 73 righe o di 23 righe e 73 colonne: in quest’ultimo caso non avrebbe ottenuto nulla di sensato, mentre nel primo si sarebbe accorta di poter dare un senso all’informazione».
Decodificando il messaggio di Arecibo si ottiene infatti un’illustrazione molto semplice che schematicamente rappresenta ciò che noi siamo. Nella prima parte della griglia sono elencati i numeri da 1 a 10 in formato binario, seguiti dai numeri atomici degli elementi idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno e fosforo. Seguono poi indicazioni sulle caratteristiche molecolari del DNA, una rappresentazione di un essere umano e, molto stilizzata, una rappresentazione grafica della popolazione della Terra. Infine sono mostrati il Sole con i suoi pianeti (compreso Plutone, che ora non è più considerato un pianeta vero e proprio) e la grande antenna dell’osservatorio di Arecibo che aveva reso possibile l’invio del dispaccio.
Quanto abbiamo spedito nel cosmo ha percorso solo una minima frazione di quei famosi 25 mila anni luce che ci separano da M13. E anche nell’ipotesi che qualcuno capti il messaggio e voglia/possa risponderci, occorrerebbero almeno 50 mila anni per avere una replica. Domanda semplice: ne valeva la pena? Certo che sì, anche stiamo parlando di dimensioni spazio-temporali enormi. Ma queste sono applicate ai nostri schemi e alle nostre conoscenze: se ci fosse invece qualcosa che procede in altro modo e con parametri diversi?
Ad ogni modo, il messaggio è già sopravvissuto alla struttura da cui partì: la gigantesca antenna del radiotelescopio di Arecibo, infatti, nel 2020 subì crolli catastrofici e l’agenzia governativa statunitense NSF decise di non ripararla e nemmeno di creare un osservatorio simile nella stessa zona. Rimane allora il ricordo dell’avventura avviata mezzo secolo fa e resta anche il contributo del film Contact di Robert Zemeckis, con Jodie Foster, ispirato all’omonimo romanzo di Sagan. Era ambientato proprio ad Arecibo e raccontava le conseguenze di un contatto con gli Alieni. Anche se nella realtà l’eventuale risposta non potrà più essere captata in Portorico, il sogno è di riceverla, prima o poi, da qualche altra parte.
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