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Il fisco può escutere il socio di una società nei limiti dell’attivo patrimoniale percepito #finsubito prestito immediato


Il socio di una società di capitali può essere escusso nei limiti dell’attivo patrimoniale percepito in sede di liquidazione, indipendentemente dalla previa notifica dell’avviso di accertamento notificato alla società partecipata.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29333 dello scorso 13.11.2024, ha ritenuto non fondato il motivo del contribuente che riteneva violati l’articolo 36, D.P.R. 602/1973, e gli articoli 2495 e 2697 cod. civ., in quanto i giudici d’appello avrebbero considerato corretto l’operato dell’Ufficio, senza considerare che alla fattispecie era inapplicabile il disposto di cui all’articolo 28, D.Lgs. 175/2014, nella parte in cui prevede il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società nei confronti del creditore erariale, applicabile solo a partire dal 13.12.2014. Nella specie, nessun atto impositivo era stato notificato alla società, mentre l’accertamento nei confronti della società doveva essere inteso come presupposto dell’accertamento della responsabilità del socio.

Per la Cassazione il motivo è infondato in quanto, una volta cancellata la società, dei relativi debiti risponde il socio limitatamente responsabile che abbia percepito dell’attivo dal bilancio di liquidazione, in aderenza alle prescrizioni dell’articolo 2495, cod. civ.

Prima dell’entrata in vigore dell’articolo 28, D.Lgs. 175/2014, pertanto, nessun atto impositivo successivo alla cancellazione poteva essere notificato all’ente ormai estinto, ma andava ovviamente notificato direttamente al socio responsabile. Così testualmente il giudice di Cassazione: “La disposizione che si ritiene (ed in effetti è) inapplicabile ratione temporis alla presente fattispecie, semplicemente consente l’emissione nei riguardi della società estinta degli atti di liquidazione, accertamento contenzioso e riscossione nei cinque anni successivi alla cancellazione, ma ciò non comporta, come vorrebbe il ricorrente, che per il pregresso non sia possibile accertare il debito sociale nei confronti del socio in caso di avvenuta cancellazione, con la conseguenza che solo per il fatto che la società sia stata cancellata il debito non sarebbe più accertabile mancando ormai il soggetto passivo diretto. Come detto, proprio il disposto dell’art 2495  cod. civ. autorizza invece il creditore della società estinta ad accertare il credito nei riguardi del socio, sol che ricorrano le condizioni in esso prescritte (la percezione di attivo patrimoniale)”. Inoltre, sempre per la Cassazione, non appare violato neppure l’articolo 36, D.P.R. 602/1973, nella parte in cui limita, sempre in base alla versione normativa ratione temporis, la responsabilità del socio alla sola Ires e non agli altri tributi (Iva, Irap), in quanto tale allargamento di responsabilità non deriva dall’articolo 36, D.P.R. 602/1973, ma dall’articolo 2495, cod. civ., che non distingue tra i diversi tributi, raccordando la responsabilità solo sul piano del quantum (nei limiti della percezione dell’ attivo patrimoniale beneficiata dal socio).

La conclusione della sentenza della Cassazione appare condivisibile anche se, a parere di chi scrive, sono necessarie talune sottolineature. In ordine all’autonomia delle prescrizioni dell’articolo 2495, cod. civ., in tema di latitudine di responsabilità dei soci, appare ineccepibile il relativo passo della sentenza in esame, in quanto è la stessa versione letterale del citato articolo 36, comma 3, D.P.R. 602/1973, a fare salve le maggiori responsabilità stabilite dal Codice civile, con un valore da intendere come ricognitivo anche per il passato. L’Erario è da parificare ad ogni altro creditore e, quindi, le prescrizioni di garanzia contemplate nel diritto generale a favore dei creditori sociali non possono non valere anche per il Fisco.

La precisazione che si ritiene doverosa riguarda, invece, la diretta notifica dell’avviso di accertamento al socio ante l’entrata in vigore dell’articolo 14, D.Lgs. 175/2014, nel caso esso riguardi il solo debito societario, senza l’inclusione dei fondamenti costitutivi della responsabilità dei socio medesimo, Anche se l’impugnazione dell’atto impositivo – recante la sola rappresentazione dell’illecito fiscale perpetrato dalla società con il correlato calcolo liquidatorio delle imposte – è raccordabile, per ormai consolidato scrutinio processuale, all’interesse del socio, legittimato, quindi, ad agire con la rituale impugnazione, allo scopo di evitare il consolidamento dell’atto presupposto che di riflesso si riverserebbe in danno al socio medesimo responsabile per il debito tributario societario, qualora però l’atto erariale non contempli anche i motivi causali della responsabilità del socio (la percezione indebita dell’attivo patrimoniale), l’avviso di accertamento non dispone con automatismo di effetti espansivi nei suoi confronti.

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In altri termini, il socio ha interesse ad impugnare l’atto, nonostante esso sia espressivo dell’obbligazione tributaria della società estinta, allo scopo di impedire che acquisisca definitività e di conseguenza non sia più contestabile da parte del socio medesimo l’an ed il quantum debeatur relativo all’obbligazione tributaria della partecipata, che funge da presupposto della sua eventuale conseguente responsabilità. Tuttavia, in mancanza di evidenza nel medesimo atto dei fattori costitutivi della personale responsabilità del socio, l’Amministrazione finanziaria dovrà necessariamente procedere con la notifica di uno specifico avviso di accertamento, secondo le modalità dell’articolo 60, D.P.R. 600/1973.



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