Per chi come me si è battuto tanto contro l’idea leghista di una secessione dei ricchi venduta da una propaganda subdola come un’autonomia differenziata è del tutto evidente che la recente decisione della Corte Costituzionale in merito al ricorso di alcune regioni sulla legge Calderoli riporta il Paese a una riflessione sull’approssimazione con cui l’attuale governo scrive i provvedimenti legislativi.
Ricordo che già il “Porcellum” dello stesso ministro venne dichiarato parzialmente incostituzionale nel gennaio 2014.
Sulla legge 86/24 siamo al momento davanti a un comunicato stampa e dovremo attendere alcuni giorni per poter leggere la sentenza nella sua interezza.
Sebbene la Consulta non abbia ritenuto incostituzionale l’intero provvedimento, dichiarandone tuttavia illegittime sette disposizioni su undici e rimandando la loro correzione al Parlamento in pratica ha affossato l’intero progetto del Governo per le ragioni che cercherò di chiarire.
Viene anzitutto dichiarata illegittima la possibilità che si possano determinare e aggiornare i Livelli Essenziali delle Prestazioni con un decreto del Presidente del Consiglio limitando se non estromettendo il Parlamento da ogni decisione al riguardo.
Inammissibile anche che si possano modificare le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali con un semplice decreto interministeriale.
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Incostituzionale la pretesa di blindare le intese tra Governo e Regioni imponendo al Parlamento di prenderne unicamente atto.
In pratica la Consulta restituisce centralità al potere legislativo.
Si precisa ancora che la devoluzione, pure prevista dall’art. 117 della Carta Costituzionale, non può avvenire sulle intere 23 materie, ma solo su specifiche funzioni legislative e amministrative che devono avere una precisa giustificazione e rispettare gli articoli della Costituzione sui principi di eguaglianza dei diritti in tutto il territorio della Repubblica ponendo al centro di ogni decisione il principio di sussidiarietà.
Nel comunicato c’è poi una precisazione fondamentale che riporto integralmente e che, dopo aver richiamato il ruolo fondamentale delle due Camere in una democrazia parlamentare, fissa anche l’importante funzione della Corte Costituzionale.
“La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”.
Si tratta di un chiaro ammonimento al rispetto della divisione dei poteri in una democrazia nella quale non si può accettare il domino della maggioranza soprattutto nelle decisioni che riguardano l’assetto dello Stato e la garanzia dei diritti che deve sempre seguire il principio di eguaglianza.
È per questo che risulta davvero rilevante un altro passaggio del comunicato in cui si afferma che i trasferimenti di competenza anche su materie che non necessitano la definizione dei LEP “non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
In buona sostanza dal comunicato della Consulta si desume che il principio di autonomia resta chiaramente salvo, ma va applicato in maniera costituzionalmente orientata in tutte le disposizioni di una legge applicativa.
Ho più volte scritto che quello sull’autonomia differenziata è uno dei provvedimenti più disastrosi che siano mai stati scritti nella storia politica del nostro Paese e la sua attuazione costituirebbe lo smembramento dell’unità dell’Italia e la completa negazione dell’uguaglianza dei diritti per i cittadini che non possono essere posti in relazione al territorio di residenza.
Qualche giorno fa in un confronto con studenti italiani Sergio Mattarella ha ammesso di aver promulgato leggi che non condivideva.
Questa sull’autonomia differenziata aveva profili di incostituzionalità palesi, rimarcati oggi dalla Corte Costituzionale e sottolineati in una lettera al Presidente datata 8 marzo 2024 dal Comitato Spontaneo “Autonomia Differenziata, l’Italia che non vogliamo” costituito a Campobasso subito dopo l’approvazione della L. 86/24 in Senato.
Mi chiedo come mai dopo il varo della stessa anche alla Camera Mattarella non abbia esercitato al riguardo la sua facoltà di rinviarla alle Camere per una nuova deliberazione prevista in Costituzione nell’articolo 74.
Calderoli e in generale il Governo cercano ora di arrampicarsi sugli specchi, ma le decisioni della Consulta affossano il provvedimento che dovrebbe rappresentare per la Lega il nuovo escamotage per una forma mascherata di secessione voluta da una borghesia davvero miope ed egoistica.
Grave che in un’intervista al Corriere della Sera alla domanda se il Parlamento è tenuto a conformarsi alle decisioni della Corte Calderoli risponda che in linea di principio ciò è dovuto, ma “finché non si interviene, si procede a legislazione vigente” perché a suo avviso la legge sarebbe stata giudicata costituzionale nella sua interezza.
Il ministro non solo ha fatto orecchie da mercante rispetto alle dissuasioni giunte dalla CEI, dalla Banca d’Italia e soprattutto dalla richiesta di referendum di oltre un milione di cittadini, ma persiste nella sua saccenteria anche di fronte alle decisioni della Consulta che con le sette bocciature lascia una legge praticamente azzoppata che ha necessità di una riscrittura e di un nuovo passaggio parlamentare.
Nonostante i tanti rilievi di incostituzionalità, Calderoli e Zaia continuano a sostenere che possono andare avanti le intese su materie che non prevedono i LEP e il presidente del Veneto aggiunge che per arrivare all’autonomia differenziata i veneti sono pronti anche a modificare la Costituzione.
Il ministro addirittura è giunto a dichiarare che “una volta fatto tesoro degli indirizzi della sentenza, le opposizioni taceranno e mi auguro che taceranno per sempre”.
Oltre tali gravi e irricevibili dichiarazioni penso che chi crede nei principi che lo Stato si è dato democraticamente con una grande maggioranza allargata debba operare perché nell’attuale Governo si pongano le basi per una maggiore assunzione di responsabilità politica capace di portare tutti fuori dagli egoismi di parte.
Abbiamo già sperimentato il decentramento caotico di funzioni a livello regionale come ad esempio sulla sanità e sappiamo bene sulla nostra pelle come è stato ridotto un tale servizio soprattutto in alcune aree geografiche.
Al di là di qualsiasi posizione ideologica pregiudiziale io credo che certe prestazioni fondamentali debbano essere di competenza statale proprio per mantenerle eguali ed efficienti su tutto il territorio nazionale.
Sulle funzioni amministrative degli stessi poi si può e si deve discutere su come attuarli razionalmente a livello locale salvaguardandone comunque dappertutto i livelli di adeguatezza.
Il problema che si pone ora è se sullo scheletro che rimane della legge sia ancora possibile celebrare il referendum richiesto dai cittadini.
In proposito il tema è stato discusso in un convegno tenuto nei giorni scorsi all’Università La Sapienza di Roma con la presenza di un nutrito numero di costituzionalisti.
Ribadisco quanto da me già scritto all’epoca.
La richiesta da parte delle cinque regioni di un’abrogazione parziale oltre a quella totale della legge sull’autonomia differenziata ha rappresentato un colossale autogol che ora crea appunto problemi.
La decisione in merito passa ora alla Cassazione che dovrà dire se su ciò che resta della legge Calderoli possa essere celebrato ancora il referendum.
Il Governo ovviamente confuta tale possibilità sostenendo da sempre che ciò è negato dal fatto che la legge è collegata alla finanziaria e il referendum poi non avrebbe più senso dopo la sentenza della Corte Costituzionale.
Nordio aggiunge in merito “A spanne, con prudenza, direi che questa sentenza dovrebbe eliminare almeno per ora la possibilità del referendum”
In realtà il legame con la legge di Bilancio nel caso specifico è solo formale poiché il provvedimento sull’autonomia differenziata prevede l’invarianza finanziaria.
Al convegno di Roma sono prevalse le ragioni dell’ammissibilità del referendum sostenute soprattutto da Massimo Villone e Gaetano Azzariti secondo i quali i cittadini continuerebbero anche dopo le eventuali modifiche del Parlamento ad avere il diritto di esprimersi sulle parti residue della legge Calderoli sia pure con un’eventuale riformulazione del quesito referendario.
Anche il costituzionalista Michele Ainis è convinto che la possibilità del referendum ci sia ancora tutta.
Ottimisti in proposito anche i sindacati.
Gli scenari politici che si prospettano sono complessi.
Non sappiamo quali saranno e se il Parlamento potrà o vorrà in tempi brevi modificare correttamente la legge seguendo le indicazioni che la Consulta esprimerà in maniera analitica nella sentenza che dovrebbe essere resa pubblica quanto prima.
In ogni caso, dopo l’elenco impietoso su ben sette profili di incostituzionalità su undici che tra l’altro riguardano il fulcro del provvedimento, è chiaro che esso rimane un guscio vuoto sul quale proprio per questo mi auguro che la Cassazione consenta di celebrare il referendum chiesto dai cittadini.
Ciò non potrà e non dovrà impedire di uscire dalle posizioni egocentriche e preconcette per orientare le decisioni politiche verso sintesi capaci di far prevalere le logiche della solidarietà su quelle della competizione.
(Umberto Berardo)
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