Il nuovo segretario generale di Milano della Cisl: «Non credo nel salario minimo, sul lungo periodo livellerebbe verso il basso gli stipendi»
«A Milano il problema dei salari si intreccia con i costi dell’abitare. Ma la soluzione non è il salario minimo territoriale: propongo una grande operazione per offrire case ai lavoratori». Giovanni Abimelech, 60 anni, è da poco più di un mese il nuovo segretario metropolitano della Cisl. La sua esperienza sindacale è maturata nel mondo degli autoferrotranvieri e a sua biografia è emblematicamente segnata dal lavoro in Atm.
Partiamo dalla sua storia: lei arriva a Milano alla fine degli anni Ottanta e da dipendente Atm riesce a comprare casa e a costruire una vita per la sua famiglia. Cos’è cambiato da allora?
«Lavoravo presso un concessionario d’auto e prendevo tra 1,2 e 1,5 milioni di lire al mese. Il passaggio in Atm, con turni, notti e fine settimana, mi permetteva di arrivare a quasi 2 milioni, e così un solo stipendio in famiglia è stato sufficiente per comprare un trilocale con box alle porte della città: 20 cambiali da un milione l’una, una parte di mutuo convenzionato con la Regione… Insomma, un po’ di sacrificio ma c’erano opportunità. Oggi, invece, un neoassunto in Atm con 1.400-1.500 euro al mese, non solo non può pensare all’acquisto di una casa, ma anche l’affitto in città può costare metà della sua busta paga. E allora come ci vivi a Milano?».
Appunto, come si fa, se anche i redditi da lavoro sono insufficienti a fronte dei costi? La soluzione per non svuotare la città è un salario minimo territoriale?
«No, io non credo in questo tipo di strumenti, anche perché sul lungo periodo si rischierebbe un livellamento verso il basso dei salari, proprio verso quella soglia minima. La contrattazione collettiva dei contratti, a livello nazionale, resta la via corretta per affrontare la questione dei redditi».
Allora perché non sta funzionando?
«Tanto per cominciare, ci sono settori, per esempio il commercio e gli stessi autoferrotranvieri, che in vent’anni hanno rinnovato tre soli contratti, invece di sei. E questo significa lasciare indietro almeno 300 euro, con tutto l’effetto moltiplicatore che avrebbero in quelle buste paga. E a ciò si aggiunge il fatto che, per esempio, nel commercio la contrattazione di secondo livello non riesce a intercettare tutti».
E questo spiega la situazione attuale?
«No, un momento. Facendo qualche calcolo, in effetti, salta fuori che negli ultimi trent’anni i salari hanno perso almeno il 3 per cento. Ma se anche aggiungessimo questa percentuale alle buste paga dei lavoratori milanesi, non sarebbero sufficienti a sostenere i costi di questa città. E allora torniamo al tema della casa: è questa la prima emergenza economica e sociale».
Lo dicono tutti, ma come?
«Le anticipo una proposta provocatoria che vorrei lanciare a un convegno, insieme al Sicet, il nostro sindacato degli inquilini, e al Consorzio cooperative lavoratori: un recupero immobiliare finanziato da tutti i soggetti pubblici e privati del territorio».
Spieghi meglio.
«La Mm ha migliaia di alloggi sfitti, perché sono da ristrutturare, ma non ci sono i soldi per farlo. Quindi, consideriamo 6 mila di questi alloggi e un costo di circa 40 mila euro per ciascun intervento: sono 240 milioni di euro, che il Comune, ovviamente, non è in grado di stanziare».
Quindi?
«Quindi, se riuscissimo a coinvolgere tutti i soggetti del territorio, le associazioni imprenditoriali da Confcommercio ad Assolombarda, le banche, le multinazionali i sindacati, la pubblica amministrazione, nel ruolo di garanti di un mutuo di 20 anni, il costo sarebbe di un milione al mese. A quel punto, togliendo pure un migliaio di alloggi da destinare alle emergenze sociali, ne resterebbero 5 mila che potrebbero essere riqualificati e affittati a lavoratori a circa 300 euro mensili. Se facciamo i conti, salta fuori 1,5 milione al mese, cioè mezzo milione in più rispetto al mutuo. Quindi non si tratterebbe di un’operazione in perdita».
Ma chi governa un soggetto così complesso?
«Un commissario, magari a partire da un contenitore già esistente come la Fondazione Welfare ambrosiano. È un piano ambizioso e complesso, ma Milano ha già saputo realizzare operazioni simili».
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