Nelle misure di welfare aziendale, utilizzate dai datori di lavoro, rientrano anche i prestiti ai dipendenti. Una misura che consente di accedere ad una linea di credito agevolata rispetto a quella a cui potrebbero avere accesso rivolgendosi al mercato creditizio. Ma quali sono gli impatti a livello fiscale e previdenziale del beneficio riconosciuto al lavoratore? I chiarimenti in materia sono stati forniti dall’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 44/E/2023, con riguardo al momento di imputazione del compenso in natura ossia del fringe benefit legato al riconoscimento del tasso agevolato, all’applicazione della ritenuta d’acconto, nonché con riferimento al caso in cui il mutuo/finanziamento sia erogato ad un familiare o cointestato con un familiare.
Misura che, indubbiamente, consente agli stessi di accedere ad una linea di credito agevolata rispetto a quella a cui potrebbero avere accesso rivolgendosi al mercato creditizio.
Come misura di welfare aziendale ma anche come fringe benefit per il singolo lavoratore, i datori di lavoro hanno la possibilità di erogare ai propri collaboratori dei prestiti in denaro, con applicazione di tassi agevolati (sovente senza alcun tasso di interesse ovvero a tasso zero) per venire incontro alle esigenze degli stessi che magari si ritrovano nella situazione di dover accedere al credito per sostenere spese non programmate o perché nell’impossibilità di richiedere il proprio TFR.
La concessione di tali prestiti, intesa come misura di fringe benefit che si aggiunge alla ordinaria retribuzione monetaria, ha la finalità di consentire l’accesso al lavoratore a condizioni di mercato più favorevoli. Inoltre, consente al lavoratore di fruire di un credito senza rivolgersi ai consueti canali bancari anche e soprattutto in un’ottica di sostenibilità sociale del datore di lavoro.
La disciplina fiscale e previdenziale del prestito
Trattandosi di un servizio che dà beneficio in capo al lavoratore che vi accede, il prestito riconosciuto rientra appieno nel principio di omnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, con una particolare valorizzazione convenzionale stabilita dal TUIR per gli interessi.
L’art. 51, comma 1 del TUIR stabilisce il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente ai sensi del quale “Tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono”.
Il termine “somma” è riferito al denaro, mentre il termine “valori” è riferito ai beni, ai servizi ed alle altre utilità fruiti gratuitamente, in tutto o in parte, dal lavoratore.
Costituiscono, quindi, reddito tassabile per il lavoratore dipendente tutte le “somme o valori” che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro, ma anche da terzi, ad eccezione di quei valori che, tassativamente, la legge esclude da imposizione fiscale, totalmente o parzialmente.
La disciplina fiscale dei prestiti concessi ai dipendenti è regolamentata dall’art. 51 co. 4 lett. b) del TUIR secondo cui, in caso di concessione di prestiti, si assume come reddito imponibile ai fini fiscali il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sul prestito da parte dell’azienda.
Per quanto riguarda l’aspetto previdenziale, a seguito dell’armonizzazione operata dal D.Lgs. n. 314/1997 che ha integralmente modificato l’art. 12 della l. n. 153/1969, la stessa base imponibile da un punto di vista fiscale corrisponderà a quella contributiva.
Sul tema dei prestiti ai lavoratori, la circolare n. 326/E/1997 ha precisato che:
– la disposizione trova applicazione a tutte le forme di finanziamento comunque erogate dal datore di lavoro, indipendentemente dalla loro durata e dalla valuta utilizzata;
– la disposizione trova applicazione sia per i prestiti concessi direttamente dall’azienda al dipendente che relativamente ai finanziamenti concessi da terzi con i quali il datore di lavoro abbia stipulato accordi o convenzioni, anche senza il sostenimento di oneri specifici da parte di quest’ultimo; rientrano nell’ambito di questa previsione, i prestiti concessi sotto forma di scoperto di conto corrente, di mutuo ipotecario e di cessione dello stipendio, mentre ne restano esclusi le dilazioni di pagamento previste per beni ceduti o servizi prestati dal datore di lavoro;
– l’importo del fringe benefit deve essere assoggettato a tassazione alla fonte al momento del pagamento delle singole rate del prestito stabilite dal relativo piano di ammortamento;
– per i prestiti in valuta estera, occorre mettere a confronto gli interessi calcolati al tasso ufficiale di riferimento e quelli calcolati al tasso di interesse effettivamente praticato, effettuando la conversione in euro sulla base del rapporto di cambio vigente alla data di scadenza delle singole rate del prestito;
– in caso di prestiti a tasso variabile (caratterizzati da una variazione del tasso di interesse iniziale) il prelievo alla fonte deve essere effettuato, alle scadenze delle singole rate di ammortamento del prestito, tenendo conto anche delle variazioni subite dal tasso di interesse iniziale;
– qualora il prestito venga concesso a tasso zero, il calcolo dell’importo da assoggettare a tassazione deve essere effettuato alle scadenze delle singole rate di ammortamento della quota capitale;
– nei casi di restituzione del capitale in un’unica soluzione oltre il periodo d’imposta, l’importo maturato va comunque assoggettato a tassazione in sede di conguaglio di fine anno.
Sempre la circ. n. 326/E/1997 ha chiarito che si applica la disciplina contenuta nell’art. 51 comma 3 del TUIR, il quale prevede che non concorre a formare reddito imponibile il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati, se, complessivamente, di importo non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro, mentre se il valore è superiore, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.
Esempio 1
Ipotizziamo di valorizzare il valore del fringe benefit di un prestito dell’ammontare di 30.000 euro concesso ad un lavoratore con tasso allo 0,5%. Il valore del TUR alla data odierna ammonta al 4% Il fringe benefit sarà così determinato 30.000 X 4% = 1.200,00 30.000 x 0,5% = 150,00 1.200,00 – 150,00 = 1.050,00 * 50% = € 525,00 A tali condizioni il prestito genera un fringe benefit da tassare in capo al dipendente, pari ad 525,00 in quanto superiore alla soglia di esenzione di euro 258,23. Qualora il lavoratore beneficiasse dell’innalzamento fino a 3.000,00 in quanto con figli fiscalmente a carico, non ci sarebbe fringe benefit. |
Esempio 2
Ipotizziamo di valorizzare il valore del fringe benefit di un prestito dell’ammontare di 30.000 euro concesso ad un lavoratore con tasso 0%. Il valore del TUR alla data odierna ammonta al 4% Il fringe benefit sarà così determinato 30.000 X 4% = 1.200,00 30.000 x 0% = 0 1.200,00 * 50% = € 600,00 A tali condizioni il prestito genera un fringe benefit da tassare in capo al dipendente, pari ad 600,00 in quanto superiore alla soglia di esenzione di euro 258,23. Qualora il lavoratore beneficiasse dell’innalzamento fino a 3.000,00 in quanto con figli fiscalmente a carico, non ci sarebbe fringe benefit. |
I chiarimenti della risoluzione n. 44/E/2023
In particolare, l’Agenzia chiarisce che
– il momento di imputazione del compenso in natura ossia del fringe benefit legato al riconoscimento del tasso agevolato e di applicazione della ritenuta alla fonte è quello del pagamento delle singole rate del prestito come stabilite dal relativo piano di ammortamento;
– ai fini dell’applicazione della ritenuta d’acconto, in base all’art. 23 del D.P.R. n. 600/73 la stessa “deve essere operata sull’ammontare complessivo di tutte le somme e i valori corrisposti in ciascun periodo di paga”, tenendo conto “del TUR vigente al termine del periodo d’imposta precedente e, salvo effettuare il conguaglio di fine anno tenendo conto del TUR vigente al termine del periodo d’imposta”.
Inoltre, chiarisce l’Agenzia delle Entrate, laddove il mutuo/finanziamento sia erogato ad un familiare o cointestato con un familiare (ad esempio, il coniuge) ai fini del calcolo del fringe benefit deve essere considerata l’intera “quota interessi”. Questo perché concorrono al reddito del lavoratore dipendente anche i beni ceduti e i servizi prestati al coniuge del lavoratore (o del pensionato) o ai familiari indicati nell’articolo 12 del Tuir, anche se non fiscalmente a carico.
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